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guerra, per mezzo a quali accidenti andò oltre, e a che termine riuscì, i Greci poi e que' tra' Romani, che non militarono, siccome non leggevano, che adulazioni o menzogne, così ne restassero totalmente all'oscuro.

III. Eppure a scritti di simil fatta s'ardisce dar nome di storie, quando, oltre al non avere una parte in sè, che sia sana, parmi altresì, che non dian nel segno, conciossiache mentre vogliono sublimare i Romani, abbassano sempre e avviliscono, quanto spetta a' Giudei ; e non veggono, come mai esser puote, ch'altri compaja grande per aver vinto un dappoco. V'ha di più, che non pongono mente nè alla lunga guerra, che si fu questa, nè alle molte truppe romane, che vi si fiaccarono intorno, nè alla grandezza de' capitani, a' cui larghi sudori sparsi sotto Gerusalemme, quando la loro impresa (2) si minuisca, si toglie, come

ogni gloria.

a me pare,

IV. Non è però, che col mio contrappormi a coloro, i quali la parte esaltano de' Romani, io intenda d'amplificare la nostra. No io vado minutamente sponendo i fatti dell' una parte e dell'altra, e se ai fatti aggiungo parole del mio, ciò è per concedere qualche sfogo all'animo disturbato e dolente per le calamità della patria. Che poi sia vero, che una domestica sedizione la distrusse, e malgrado ancor de' Romani, i tiranni furono de' Giudei, che si trassero dentro il Tempio santo di Dio le destre e il fuoco nimico, n'è testimonio lo stesso Tito Cesare, che mandòlla in fondo; il quale scntiva pietà del popolo, perchè sostenuto da sediziosi ; e spesse fiate differì a bella posta di prendere la città,

è mandò in lungo l'assedio, per ravvedimento di chi n'era autore. Che taluno ne ascriva a difetto, quanto piagnendo le calamità della patria diciamo in tuon risentito contro i tiranni e le lor ruberie, deh perdoni questa violazione di storiche leggi al dolore. Perciocchè d'infra quante città fur soggette a' Romani, la nostra sola e pervenne al più alto della felicità, e indi precipitò nel più basso delle miserie. Tutte pertanto le disavventure, che a memoria d' uomo accadettero, a paragon delle incolte a' Giudei, mi sembra che restino loro al di sotto; con questo di soprappiù, che chi n' ebbe la colpa non fu straniero; onde impossibile mi pareva frenare i lamenti. Che se avrò a giudice una persona, che sia alla pietà insensibile, ebbene questi attribuisca i fatti alla storia, e allo storico le querele.

V. Io per altro ben a ragione vorrei sgridare i più eloquenti fra' Greci, i quali in mezzo ad avvenimenti dell'età loro sì grandi, che se confrontinsi colle guerre de' tempi andati, queste pajono picciolissime, fanno da giudici maltrattando coloro, che studianvi intorno, cui, s'essi avanzano in eloquenza, non pareggiano in buon volere, eglino poi si rivolgono a scrivere degli Assiri e de' Medi, come se gli scrittori antichi trattato ne avessero men che bene. Eppure altrettanto son loro al di sotto in valore, quanto lo son nell' idea. Conciossiachè ognun di quelli presero a scrivere delle cose de' tempi loro, ove l'essersi forse trovati presenti ai fatti rendevane più accertata la sposizione, e il mentire a persone, che ben sapevano tutto, era cosa vituperosa. D'altra parte il mettere in luce materie pria non sapute, e il

raccomandare alla posterità gli avvenimenti dell'età propria è cosa degna d'approvazione e di lode. Quegli poi si può dire industrioso, che non l'ordine e 'l divisamento degli altrui scritti travolge, ma col dir cose nuove compone egli ancora del suo un corpo di storia. Io certo con grandi spese e fatiche, benchè straniero, ho a' Greci tutto insieme ed a' Barbari conservata la ricordanza d'illustri imprese; mentre all'opposito que' del paese, se trattisi di guadagni e di liti, aprono tosto la bocca ed hanno sciolta la lingua, se di storia, dove bisogna dire la verità, e con molta fatica raccoglierne la materia, son muti, e lasciano a gente più debole e ignorante l'incarico di narrare le geste de' capitani. Sia dunque da noi pregiata la verità della storia, poichè dai Greci non è curata.

VI. Ora il farsi da' primi tempi ad esporre, che fossero i Giudei, come uscissero dell' Egitto, per quanto paese aggirassonsi pellegrinando, quali terre poi occupassero, e come fossero portati altrove, io l'ho creduta per ora un'impresa fuor di proposito, e forse ancora disutile. Mercecchè e i parecchi Giudei compilarono esattamente prima di me le storie de' padri loro, e alcuni Greci rendendole nel lor paterno linguaggio non andarono troppo errati dal vero. Quindi ove e gli scrittori di quelle e i profeti nostri finirono, di là io darò cominciamento alla mia; in cui, quanto s'apparterrà alla guerra fatta a' miei tempi, sporròllo più stesamente colla possibile accuratezza; quanto poi è avvenuto nelle età andate, lo scorrerò brevemente.

VII. Dirò dunque, come Antioco chiamato Epifane,

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presa per forza Gerusalemme e tenutala tre anni e sei mesi, cacciato ne fu da' figliuoli d'Asamoneo. Indi come i discendenti di questi venuti tra loro a contesa del regno tirarono nella lite i Romani e Pompeo; poi come Erode figliuol d'Antipatro col soccorso di Sosio distrusse il loro principato, e come il popolo, morto Erode, tumultuò, essendo imperadore Augusto, e governando il paese Quintilio Varo; e infine come l'anno duodecimo di Nerone scoppiò la guerra, coll' accaduto sotto il governo di Cestio, e con quanti luoghi sul primo bollir della guerra corser coll' armi i Giudei.

VIII. Qui descriverò, com' essi fortificarono le città convicine; e come Nerone, dopo le rotte avute da Cestio, temendo danni maggiori affidò a Vespasiano l'incarico della guerra; e come questi col suo figliuol primogenito entrò in Giudea, e quante truppe romane seco vi trasse, e quante confederate furon disfatte per tutta la Galilea. Indi, come le sue città parte furono onninamente e a viva forza distrutte, parte avute a patti. Qui tratterò e della buona ordinanza, in che vanno nel guerreggiare le armate romane, e della disciplina, in che si mantengon le truppe: parlerò inoltre della grandezza e delle qualità d'ambedue le Galilee, porrò i confini della Giudea, e v'aggiugnerò del paese le produzioni più proprie, i laghi, e le fonti, e ciò, che ai prigioni fatti in qualsivoglia città intravenne di doloroso, e tutto con esattezza trarrò da quanto io stesso vidi o soffersi; nè fia ch'io taccia pur una delle sciagure a me incolte, se non per altro, per ciò almeno, ch'io debbo parlare a gente, che n'è troppo bene informata.

IX. Poscia, come prendendo oggimai le cose de' Giudei trista piega, muore Nerone, e Vespasiano già in cammino verso Gerusalemme n'è richiamato, perchè s' addossi l'impero: qui dirò i prodigi avvenuti per animarvelo, e le rivoluzioni, che accaddero in Roma, e com' egli fu mal suo grado acclamato dalla milizia imperadore. Indi, come, partito lui verso Egitto per l'amministrazion dell'impero, furono da sedizioni sconvolti i Giudei; e come levaronsi di que' tempi sopra il lor capo i tiranni, colle discordie, che nacquero tra

costoro.

X. Dopo questo narrerò, come Tito partitosi dall'Egitto venne per la seconda volta in Giudea; e in che modo e dove e quante truppe raccolse; e come la città, lui presente, fu travagliata da sedizioni, e quanti assalti ei diede, e quanti argini innalzò, dove si dirà del triplice giro di mura, della loro dimensione, della fortezza della città, e dello stato del luogo (3) sagro e del Tenpio. Con questa occasione porterassi la lor misura, e quella ancor dell'altare, il tutto con esattezza; e riferirannosi alcune usanze de' giorni festivi, e le sette purificazioni, e i ministerj de' sacerdoti, colle lor vestimenta e con quelle del sommo Pontefice: indi qual fosse il luogo più santo del Tempio, senza celare od aggiugnere cosa alcuna oltre a quelle, che ognun già vide.

XI. Farò parola eziandio della crudeltà de' tiranni contro i lor nazionali, e della benignità de' Romani verso persone straniere; e quante fiate Tito desideroso di veder salva la città ed il Tempio invitò alla pace i sediziosi, ben conoscendo il miserabile stato e doloroso del

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