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» dell'empio mio fallo; tu poi quel veleno, che avuto » da Antipatro in danno di lui conservi presso di te, » qua mel reca, e sotto a'miei occhi distruggilo, onde » io non abbia a meco portar colaggiù una coscienza » che mi martorii. Ubbidii a' suoi voleri, e recatolo ne » consumai, lui veggente, la maggior parte; e per me »> ne ritenni un tantino contro ogni caso avvenire; e » per lo timore, che aveva di te ». Così dicendo trae fuori un bossolo, in cui si chiudea un pochissimo che di veleno.

V. Il re allora volse gli esami sopra la madre e il fratello d' Antifilo; e confessaro, che Antifilo avea recato quel bossolo dall' Egitto, e aggiunsero aver egli avuto il veleno da un suo fratello medico in Alessandria. L'ombre intanto d' Alessandro e Aristobolo s' aggiravan per tutto la reggia, ne cercavan ogn' angolo, traevano a luce le cose occulte, e strascinavano a' tribunali le più credute e meno sospette persone. Quindi si trova fra' complici del tradimento ancor la figliuola del gran Sacerdote Mariamme; e palesaronlo i suoi fratelli posti al tormento. Il re punì l'attentato materno anche sopra il figliuolo; il figliuolo; e dal testamento cassò tosto il nome d'Erode nato di lei, e dichiarato già successore d'Antipatro,

CAPITOLO XXXI.

Batillo accusa Antipatro. Egli non lo sapendo ritorna da Roma. Erode gl' intima di comparire in giudizio.

I. Oltre a ciò Batillo ancora concorse a scoprire la verità, e fu l'ultima prova a convincer per vere le trame d'Antipatro, di cui era liberto. Esso veniva con seco un altro tossico, ed era composto di velen d'aspidi e di bave d'altri serpenti; onde, se il primo veleno non bastava all'intento, di questo Ferora e sua moglie s' armassero contro il re ; e per giunta del suo ardir contro il padre produsse una lettera lavorata da Antipatro per la rovina de' suoi fratelli Archelao e Filippo figliuoli del re, ch' educavansi in Roma fanciulli sì, ma di spiriti assai generosi. Questi, che facean ombra alle sue speranze, studiandosi Antipatro di levarsi dinanzi, egli finge contr' essi lettere a nome degli amici di Roma, e gli amici di Roma trae con denari a scrivere che i garzoni bestemmiavano spesso il padre, e a chiare voci piagnevan la sorte d' Aristobolo, e d'Alessandro, e avevano forte a male la lor chiamata: poichè già il padre li richiamava, e ciò era, che dava assai che pensare ad Antipatro. Ancor prima della sua dipartenza, quando trovavasi nella Giudea, comperava da Roma di tali lettere contro i fratelli, e perchè non cadesse sospetto sopra di lui, andando sovente dal padre prendeva a difenderli dalle accuse or menzogne dicendole, di chi scriveva, ora colpe di gioventù.

II. La prova poi, che poteva dare contro di lui il tanto ed immenso denajo speso da lui a pagar gli scrittori contro i fratelli, s' ingegnò di confonderla col comperar ch' egli fece al tempo medesimo robe di gran valore, e tappeti vaghissimi, e bicchieri d'argento e d'oro, e più altri arredi, perchè tra 'l moltissimo speso a tal fine si nascondessero le mercedi de' traditori. In somma a dugento talenti montò la spesa da lui dinunziata, e fornigliene il più forte pretesto la causa contro

a Silleo.

III. Or mentre le sue magagne tutte allora più lievi restavano dalla maggiore coperte quando e tutti gli esami ad alta voce chiamavanlo parricida, e le lettere ultimamente ancor fraticida, pure non v'ebbe persona delle tante che andavano a Roma, la quale gli desse parte delle avventure della Giudea, benchè tra 'l convincerlo reo e 'l suo ritornare da Roma andassero sette mesi. Tanto era l'odio in che tutti l'avevano ; se non che forse l'ombre degli uccisi fratelli turaron la bocca anco a quelli, che avrebber voluto fargliene motto. Egli adunque scrive la lieta nuova, che partirà quanto prima da Roma, e che Cesare gli avea data onorevol licenza. Il re impaziente d'aver nelle mani l'insidiatore, et mendo, che forse antisaputolo non se ne guardasse, s' infinse ancor egli nella sua lettera pieno di tenerezza per lui, e confortavalo a venir prestamente; che il suo affrettare farebbegli por giù eziandio i disgusti, che recati gli avea sua madre; giacchè Antipatro non ignorava lo scacciamento di lei. Prima però di questa avea in Taranto ricevuta una lettera, che la morte portava

te

gli di Ferora, e ne fece un gran piagnere; il che fu da parecchi, siccome si trattava d'un zio, commendato; ma s' io non erro quello scompiglio, che ne mostrò, fu per lo andargli, che quindi facea fallito il suo tradimento, e fu dolore di chi piagnea non Ferora, ma in lui un ministro. Gli era anche entrato nell'animo qualche timore, sopra quanto trovavasi già di compiuto, onde mai non seguisse, che fosse scoperto il veleno.

IV. Ma ricevuta allora appunto la lettera, che abbiam detta dal padre in Cilicia, accelerò la sua gita, Preso terra a Celenderi indovinandogli già il suo animo di per se l'avvenire, le disavventure materne gli diedero qualche pensiero. Quindi gli amici più accorti gli suggerivano a non trovarsi prima col padre, che non sapesse di certo il perchè ei l'avesse cacciata; temer essi forte, che non dovesse egli pure andar dietro per giunta alle accuse di lei. Ma altri meno avveduti, e più impazienti di rivedere la patria, che premurosi del bene d'Antipatro lo consigliavano ad affrettare anche per ciò, che la sua ritardanza non desse al padre occasione di reo sospetto, e troppo agio a' calunniatori; giacchè, se or si è fatto contro di lui movimento, egli è stato certo nella sua lontananza; che, lui presente, non si sarebbero arditi a tanto. Assurda cosa poi essere per incerti sospetti rinunziare a un bene infallibile a seguirne, e non ricondur piucchè in fretta se stesso al padre, e riceverne il regno; che appoggiato a lui solo fortuneggiava.

V. A questo parere ei s'appiglia, perciocchè il cielo

ve lo traeva; e passando oltre dà fondo nel porto Sebasto di Cesarea. Quivi trovòssi incontro, cosa per lui stranissima, una gran solitudine, poichè tutti il fuggivano, e niuno osava d'approssimarglisi, mentre tutti l'odiavan del pari, che prima, ma l'odio allora aveva libertà di prodursi, e molti s' erano colla volontà alienati da lui per timore del re, essendo la città tutta quanta già piena di male voci dei fatti d' Antipatro, benchè egli solo ignorasse ciò, che correva di se. ᎠᎥ fatti, siccome persona non fu accompagnata con più splendore di lui, allor quando parti per Roma, così a nessuno non furon mai fatte accoglienze peggiori; ed egli già sospettava delle rivoluzioni domestiche; con tutto ciò astutamente fingeva, e sebben dentro morivasi di paura, sforzavasi però di mostrare in viso franchezza. Non v' era più luogo a fuggire, nè scampo da' circostanti perigli. Nulla però di sicuro neppure in quel luogo gli fu riportato da casa sua, attese le minacce fatte correr dal re. Quindi restavagli una più lieta speranza, che per ventura o non fosse venuto in campo ancor nulla, o se pur l' era, l'avrebbe sventato colla sfacciatezza e coll'arte, uniche vie, che restavangli, di salute.

VI. Guernitosi dunque di tal difesa, entrò nella reggia senza gli amici fino in sul primo vestibolo vergognosamente rispinti. Trovavasi per ventura là entro Varo governator della Siria. Vien egli adunque dinanzi al padre, e fatto forza col suo ardire a se stesso gli si avvicina, come per abbracciarlo. Quand' egli colle mani distese verso di lui e col capo chino « ancor questo,

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