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DELLA GUERRA GIUDAICA LIB. II. CAP. I.

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che a

d'eser

funerale banchetto sontuosissimo (costumanza,
molti Giudei fu cagione d'impoverire, per lo mangiar
che si dava a un intero popolo; nè senza bisogno;
mercecchè il lasciarlo a difetto recavasi di pietà) ripi-
glia le bianche vesti, ed entra nel Tempio accoltovi
con dimostrazioni moltiplici d' allegrezza dal popolo.
Quivi egli da un'alta aringhiera, e da un trono d'oro
trattata cortesemente la moltitudine li ringrazia sì del-
l'affetto, che nel funerale del padre mostrarono, si
degli onori, che han fatti alla sua persona, quasi a re
già sicuro. Egli però rimanevasi
per al presente
citarne la podestà, e d'assumerne il nome, finattanto
che Cesare dichiarato dal testamento signor di tutto
non gliene confermi la successione, e quantunque l'eser-
cito colà in Gerico posto gli abbia il diadema in capo,
egli per or no voleva. Ciò non ostante di questa loro
prontezza e benivoglienza saprà ben rendere alla milizia
del pari ed al popolo un pien guiderdone, quando da
chi lo puote fia raffermato sul trono. Perciocchè studie-
rassi di comparire a'lor occhi in qualunque occorrenza
miglior del padre. Lieta di tali espressioni la plebe fe'
tosto prova con grandi inchieste, di che qualità animo
egli avesse. Mercecchè altri gridavano, che scemasse le
imposte,
altri che affatto levasse i tributi, e taluni,
che ritornasse in libertà i prigioni; ed egli per cattivarsi
la moltitudine si mostrò pronto a ogni cosa. Indi fatto
a Dio sagrifizio si mise a tavola cogli amici.

II. Ma verso la sera di questo medesimo giorno certi, (e non erano pochi), che aspiravano a novità, quando il lutto comune sopra la morte del re fu cessato, die

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dero al proprio cominciamento, facendo di gran querimonie sopra i puniti dal re in vendetta dell'aquila d'oro per lor tolta via dalla porta del Tempio. Nè taciturno era il loro dolore, ma per tutto la città risonavano chiari lamenti e compianti e lagrime manifeste, siccome per gente, cui essi dicevano assassinata per cagion delle patrie leggi e del Tempio: doversi, gridavano, vendicare il lor sangue con quel di coloro, che s'eran venduti a'denari d'Erode; e prima d'ogni altra cosa volersi rimuovere il gran Sacerdote creato da lui, e sceglierne un più religioso e più puro. A queste proposizioni s'inacerbò Archelao; non però mise mano al gastigo, atteso la fretta che avea di partire, temendo, che se veniva con quella moltitudine all'armi, il loro contrasto nol trattenesse. Laonde più colle buone maniere ingegnavasi di comporre gli animi sollevati, che colla forza, e per mezzo del suo generale, che vi mandò, li pregava a star cheti. Ma si fu questi appena innoltrato nel Tempio, che i sediziosi, anzichè proferisse parola, ne do rispinsero colle sassate, e a quant' altri v' andarono dopo lui per sedarli (e Archelao ne mandò loro parecchi risposero sempre con disdegnose maniere, e vedevasi apertamente, che se guadagnassero a lor favore la moltitudine, non si terrebbero solo in parole.

III. In questo stante venuta la festa degli azzimi (Pasqua si chiama presso i Giudei), giorno d'una quantità assai grande di sagrifizj, mentre da tutti intorno i paesi della provincia traeva un immenso popolo agli esercizj di religione, i piagnitor de' sofisti Tempio cercando esca alla lor ribellione. Del che en

stavan raccolti nel

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trato in qualche pensiero Archelao, anzichè in tutto il popolo s'apprendesse la rea infezione, spedisce con una compagnia un tribuno, e spenga ancor colla forza i principj di quel sollevamento. Ma contro a questi s'accese tutta la moltitudine, che co' sassi uccise la parte maggior de' soldati, e il tribuno ferito fuggìssi con salva a stento la vita. Indi, come se nessun male fosse avvenuto, si volsero a' sagrifizj. Archelao però chiaramente vedeva, che senza sangue non era oggimai più possibile raffrenare la moltitudine; onde le manda sopra tutto il suo esercito, la fanteria in un corpo per la città, e per la campagna i cavalli; che giunti loro addosso improvviso, mentre sagrificavano, ne fanno un macello d'intorno a tremila, e il restante del popolo sparpagliòssi per entro le vicine montagne. Ma tennero loro dietro i banditor d' Archelao con ordine, che ciascuno si ritirasse in sua casa, e tutti abbandonata la festa n'andarono.

CAPITOLO II.

Archelao con gran moltitudine di congiunti va a Roma. Ivi accusato da Antipatro presso Augusto ne parte assoluto mercè di Niccolò, che il difende.

I. Egli poi colla madre e gli amici Popla, Niccolò, e Tolommeo prende la via del mare, lasciata a Filippo la cura del regno e il pensiero de' suoi privati interessi. Gli si accompagnò coi figliuoli Salome, e vennero con essa i fratelli del re e i congiunti, in apparenza per

ispalleggiare Archelao a ottenere la successione nel reguo, ma in sostanza per accusarlo delle profanazioni commesse nel Tempio.

II. S'avviene in loro presso di Cesarea Sabino procuratore della Siria, che andava in Giudea per tenere sotto guardia il denajo di Erode. Ma fègli divieto d'ire più oltre Varo, che lo raggiunse, chiamatovi da Archelao, che per mezzo di Tolommeo caldamente ne lo pregò. Sabino adunque per condiscendere a Varo ně si die fretta per ora d' occupare le fortezze, nè chiuse ad Archelao i tesori paterni; e promise, che a muoversi aspetter ebbe la decisione di Cesare. Intanto si fermò in Cesarea. Ma appena de' due, che gli si opponevano, I' un si fu mosso verso Antiochia, e l'altro cioè Archelao incamminato alla volta di Roma, senza più spintosi a Gerusalemme prende la regia; e mandato pe'castellani ed economi regj tentò di sapere, a che somma montasse il denajo, e d'avere in sua mano le fortezze. Ma i castellani non dimenticarono le commissioni di Archelao, e tutte le custodirono lealmente, recandone per ragione il risguardo che avevano più per Cesare che per Archelao.

III. In questa nasce per Archelao una nuova opposizione dal lato di Antipa, che gli mette in disputa il regno, e pretende, che più del secondo testamento abbia ad esser valevole il primo, in cui egli era chiamato re. Salome e con essa molti congiunti, che navigavano in compagnia d' Archelao, gli avevano già impromesso di spalleggiarlo. Conduceva egli seco la madre, e Tolommeo fratello di Niccolò, parendogli, che dovesse

dar qualche peso alla sua parte il gran credito, in che egli era stato appo Erode, il quale mai non avea d'altro amico avuta la stima, che di lui. Il più però della sua fidanza l'avea riposta nell' oratore Ireneo, per l' uomo della gagliarda eloquenza, ch' egli era, mediante il quale avea smossi fino a coloro, che persuadevanlo, attesa l'età più avanzata e il posterior testamento, a cede re ad Archelao. In Roma poi si rivolse a sostenerlo il furore di tutti i parenti, i quali guardavano con mal occhio Archelao. Soprattutto però ciascun d'essi bramava di reggersi colle proprie leggi sotto il governo d'un presidente romano; che se questa brama tornasse lor vana, intendevano, che il re loro fosse Antipa. A questo ajutavali ancor Sabino colle sue lettere, nelle quali accusava Archelao, e ad Antipa dava gran lodi. Adunque la fazione di Salome, uniti tutti in un solo volume i delitti dell'avversario, lo diedero in mano a Cesare; e dopo essi Archelao gli manda per Tolommeo i capi delle sue ragioni scritte di propria mano, e con essi l'anello del padre, e i conti dell'amministrazione passata. Cesare considerate tra se e se le ragioni d'ambe le parti, e la grandezza del regno, e la quantità delle rendite, e oltre a questo la numerosa famiglia, ch' era quella d' Erode, e letto ciò, che da Varo e Sabino de' fatti loro si era scritto, chiamò ad assemblea i senatori romani, ove fece sedere la prima volta Gajo nato d'Agrippa e di Giulia sorella sua, e suo figliuolo adottivo, e diè alle parti campo di ragionare.

IV. Allora Antipatro figliuolo di Salome, il dicitore più gagliardo, ch' avessero gli avversarj d' Archelao, rit

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