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vedevan possibile la resistenza. Ma ben presto entrò in cuore a tutti il timore. Perciocchè giunto omai il nimico esercito a Tolomaide, città a' confini della Galilea fabbricata sul lito del mare presso il Gran Campo, ed è all'intorno difesa da' monti, a levante discosta sessanta stadj da que', che appartengono alla Galilea, a mezzodi dal Carmelo centoventi stadj lontana; e a settentrione dalla più alta montagna di que' contorni da' terrazzani chiamata Scala de' Tirj, e le è cento stadj da lungi. A due stadj poi dalla città corre un fiume di meschinissimo letto, che ha nome Beleo, alle cui sponde si vede il sepolcro di Mennone, presso il quale è uno spazio di cento cubiti degno d'ammirazione. Egli è circolare e profondo, e un' arena produce, che è vetro; e appena le molte navi, che approdanvi, n'han votato quel luogo, n'è pieno di nuovo, ricacciandovi dentro i venti, come se il facessero a bella posta, la bianca sabbia, che è di fuori, e la miniera issofatto la cangia tutta in vetro; quello però, che a me sembra più degno di maraviglia si è, che quel vetro, che spandesi fuor delle sponde del luogo, convertesi novamente in sabbia comune. Di tal fatta natura sorti questo luogo.

II. Ora i Giudei una colle mogli e i figliuoli raccoltisi nella pianura vicina a Tolomaide supplicarono caldamente a Petronio prima per le lor patrie leggi, poi per le stesse lor vite, ed egli alla moltitudine de' supplicanti e alla forza delle preghiere rendutosi lascia l'esercito insieme e le statue in Tolomaide. Indi entrato egli solo nella Galilea, e chiamato il popolo e tutti i primarj signori in Tiberiade, cominciò a por loro di

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nanzi agli occhi il poter de' Romani, e le minacce di Cesare; poi discese a mostrare, ch'era irragionevole la lor domanda. Perciocchè, mentre le nazioni suddite tuttequante a fianco di quelle degli altri lor dei innalzavano nelle città le statue ancora di Cesare, il contrapporsi, che soli essi facevano a questo, era quasi un dichiararsi ribelli, e far onta al lor principe. Al che opponendo quelli la legge e la patria usanza, e non era lor lecito non pur nel Tempio, ma in nessun luogo profano della provincia ergere simulacro che d'uomo, ma neppure di Dio, Petronio appigliatosi alle medesime lor ragioni, « ebben, disse, anch' io » dover vuole, che guardi le leggi del mio padrone » che se in grazia vostra le trasgredisco, e'mene andrà » giustamente la vita, e a voi farà guerra non già Pe»tronio, ma chi mandòllo; perciocchè io pure, non » men che voi, son costretto a ubbidire >>.

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III. Qui tutta la moltitudine prese a gridare, che per la legge sosterrebbero volentieri ogni danno. Petronio allora, quietatone lo schiamazzo « voi dunque ripigliò, » siete pronti a far guerra con Cesare »? I Giudei gli risposero, che per Cesare e pel Popolo romano due volte ogni giorno offerivano sagrifizj; ma, s'egli intende di collocare fra loro le sue statue, e' conviengli prima scannare tutti i Giudei, quanti sono; ed essi medesimi insiem colle donne e figliuoli daran prontamente il collo alla scure. A tai sentimenti fu Petronio compreso da pietà tutto insieme e da maraviglia, veggendo e l'insuperabile religione di quella gente, e il franco animo, ch'essi mostravano incontro alla morte. Quindi per al

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presente senza diffinir nulla si licenziò l'assemblea. Nei dì seguenti or da solo a solo co'grandi, or in pubblico ragionando con tutto il popolo radunato, quando pregavali, quando gli consigliava, e le più volte li minacciava aggrandendo e il poter de' Romani, e le furie di Gajo, e la stretta, a che era per questo egli stesso. Ma perciocchè non cedevano a niun cimento, e scorche le terre correvan pericolo di non essere seminate, avendo la loro gente nella stagione appunto del seminare passati in ozio cinquanta giorni, finalmente adunatisi disse, « e' conviene, ch' io pur m' esponga a » qualche pericolo. Conciossiachè o col divino ajuto io » ottengo di muover Cesare, e volentieri sarò salvo con » voi, o egli dà nelle furie, e sarò pronto per sì bella » cagione a sagrificar la mia vita; » e in così dire licenziò il popolo, che gli diede mille benedizioni.

IV. Petronio adunque con esso l'esercito da Tolomaide si ricondusse in Antiochia, e di là scrisse tosto a Cesare e la sua entrata in Giudea, e le suppliche della nazione, talchè se non intendeva insieme colle persone di disertare ancor la provincia, dovevasi necessariamente permettere, ch'essi ubbidissero alla lor legge, e dimenticare il comandamento lor fatto. A questa lettera Gajo rispose in maniera assai alterata, minacciando a Petronio la morte in pena del tardo esecutor ch'era stato de' suoi voleri. Ma i portatori di questa lettera avvenne, che per fortuna di mare spesero nel viaggio tre mesi, e gli altri, che gli recavan la morte di Gajo ebbero prosperevole navigazione. Quindi a Petronjo giunsero ventisette di prima le lettere intorno a Gajo, che le dannevoli alla sua persona.

CAPITOLO XI.

Dell' impero di Claudio e del

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regno

d' Agrippa.

Morte d' Agrippa e d' Erode, e lor figli.

I. Tolto dopo tre anni e otto mesi d'impero insidiosamente Gajo di vita, da quelle truppe, che in Roma allor si trovavano, fu portato Claudio sul trono. Ma il Senato ad istanza de' consoli Senzio Saturnino e Pomponio secondo, data a guardar la città a tre coorti, che tenevansi alla loro ubbidienza, si raccolse nel Campidoglio, e atteso il disumanato uom, che fu Gajo, stava sul decretare, che si dovesse far fronte a Claudio coll'armi, perciocchè reggerebbonsi ad Aristocrazia, come avevano fatto già tempo, o affiderebbono a'voti comuni la scelta del più degno all' impero. Ora avvenne nel tempo medesimo, che ad Agrippa trovantesi in Roma mandò per consiglio il Senato, e Claudio anch' egli dal campo per averne giovamento al suo uopo. Ma Agrippa avvisando, che questi per forze omai era Cesare, ne viene a Claudio, il quale lo manda ambasciadore al Senato, perchè gli palesi le sue intenzioni; ch' egli primieramente era stato contro sua voglia rapito dalla milizia, è che nè volea la ragione ch' egli non si curasse del loro affetto, nè sicuro stimava ancora il suo stato; perciocchè anche il nome d'imperadore era cosa rischievole per chi il portava: indi, ch' egli governerebbe da principe affettuoso, non da tiranno; a lui bastava l'onore del titolo; nella risoluzione poi degli affari si ri

metterebbe ogni volta al parere di tutti; perchè quan d' anche non fosse d' indole naturalmente discreta, la morte di Gajo gli era un ammaestramento assai forte di moderazione.

II. Agrippa riferì questi sensi; e il Senato affidandosi nelle truppe e nella buona sua causa rispose, che spontaneamente non soggettavasi a servitù. Claudio, udite le intenzioni del Senato gli rimandò per Agrippa dicendo, che non sofferrebbe mai di tradire, chi aveva giurata a lui fedeltà, e che, mal suo grado, farebbe guerra, a chi meno l'avria voluto; doversi adunque assegnar prima il campo della battaglia fuor di città; giacchè empia cosa sarebbe per gli stravolti loro consigli lordare di sangue cittadinesco le patrie mura ed i templi. Agrippa riportò a' senatori cotai sentimenti.

III. In questo mezzo un soldato di quelli, che tenevan da' padri, tratto fuori il pugnale, « commilitoni gridò, » quale affronto ci spigne a voler morti i nostri fra» telli, e a correre addosso a' nostri congiunti, che » son con Claudio? e ciò, mentre abbiamo un impe» radore, a cui non può apporsi veruna taccia, e tanti » doveri ci stringono a quelli, contro de' quali noi siam » per muovere coll' armi in mano ». Così dicendo, per mezzo il Senato uscì fuori, traendosi dietro tutta la soldatesca. Allora i patrizj veggendosi abbandonati temettero fortemente; e però, siccome il resister più oltre non parea loro sicuro, s' incamminarono dietro a'soldati alla volta di Claudio. Uscirono loro incontro presso alle mura con in mano le spade ignude coloro, che più del dovere imbaldanzivano per la presente fortuna;

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