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nare la città. Ora il popolo consigliandosi di placarne lo sdegno uscì incontro ai soldati con lieti viva, e già s'era disposto a ricevere Floro cortesemente. Ma egli mandato innanzi con cinquanta cavalli il centurione Capitone intimò loro: diano addietro, nè di chi hanno tanto vituperosamente svillaneggiato piglinsi giuoco colle presenti accoglienze: se son di cuor franco ed intrepido, ora è il tempo di morderlo, mentr' è presente; nè alle parole soltanto, ma in faccia ancor delle armi si mostrino quegli amanti, che già furono, di libertà. Atterrita con tal dinunzia la moltitudine, al primo muoverle incontro i cavalli del seguito di Capitone si sbarattò, anzichè niun saluto facesse a Floro, nè alla milizia il solito complimento, e ricoltisi nelle lor case vegliarono tutta notte impauriti e confusi.

VII. Floro intanto ricovera nella regia. Il dì vegnente piantato davanti a lor tribunale s'asside; e furongli tosto a fianco i pontefici, i grandi, e tutto il meglio della città. A questi Floro intimò, che gli dessero nelle mani, quanti detto gli avevano villania, aggiugnendo, che se non traevangli innanzi i rei, la vendetta cadrebbe sopra il loro capo; essi all' incontro affermavano il popolo in generale nodrire sentimenti di pace, e pregavanlo di dono , per chi era tropp' oltre trascorso in parole; conciossiachè in moltitudine così grande non dover essere maraviglia, che alcuni sien più sfacciati degli altri, e colpa dell' età, men prudenti; nè il divisare i colpevoli dai non tali essere cosa oggimai più possibile; mentre ognuno è pentito, e nega ciò, donde teme qualche disastro: provvegga egli piuttosto al pacifico stato della na

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zione, e pensi a mantener le città alla divozione de' Romani, e in risguardo de' molti innocenti faccia anche grazia a que' pochi colpevoli, che vi sono, anzichè per alcuni pochi ribaldi mettere sottosopra tante persone dabbene. A questi detti inasprito vie maggiormente grida a soldati, mettano a ruba la piazza detta alta, ed uccidano, quanti dan loro nelle mani. Quella canaglia per avidità della preda, che ne trarrebbono, abbracciato il comando del generale, non pur saccheggiarono il luogo, ove furon mandati, ma dentro gettandosi a tutte le case ne scannavano gli abitanti. Quindi una fuga universale per tutte le strade, un sanguinoso macello, di chi era preso, e tante sorti di ruberie, che non se ne ommise pure una sola. Oltre a ciò arrestate molte persone di qualche affare condusserle a Floro, ed egli dopo straziatele co' flagelli le mandò a pendere sulla croce. Or tutto il numero de' periti in quel giorno, compresovi donne e bambini (giacchè non furono risparmiati neppure i pargoli) montò intorno ai tremila e secento. Quello però che più grave fece parer la sventura, si fu il nuovo genere di crudeltà ne' Romani. Mercecchè ciò, a che prima non si era ardito persona, osò allora di cominettere Floro, cioè flagellare dinanzi al suo tribunale gente dell'ordine equestre, e inchiodarla poi sulla croce; che, s'era giudeo il lor sangue, il grado però, che li rivestiva, era tutto romano.

CAPITOLO XV.

Berenice indarno supplica a Floro, che perdoni ai Giudei. Come spentasi la sedizione Floro la riaccende.

I. Verso questa stagione trovavasi il re Agrippa in cammino per Alessandria, ove andava a congratularsi con Alessandro dell' affidare, che avea fatto Nerone al suo reggimento l'Egitto datogli da governare. Intanto Berenice di lui sorella, ch'era in Gerusalemme, e coi suoi occhi vedeva le ribalderie de' soldati, sentivane gran dolore, e più volte per suoi tribuni e sue guardie mandava pregando Floro, che omai desistesse dal sangue. Ma colui nè alla moltitudine degli uccisi mirando, nė alla qualità della nobil donna, che lo pregava, ma solo al vantaggio, che dal rubare venivagli, non degnò di ascoltarla. Anzi il furor de' soldati imbestiali perfin contro la stessa regina; onde non pur, lei veggente, straziavano ed uccidevano gl'infelici presi da loro, ma avrebbero ancora tolta a lei stessa la vita, se non si fosse sollecitamente ricoverata dentro la reggia; dove passo' vegliando tutta la notte guardata da' suoi, e sempre in timore, che non l' entrassero in casa i soldati.

II. Ella trovavasi allora in Gerusalemme, venuta di lontano a sciogliere un voto a Dio: perciocchè costumanza, di chi fu travagliato da malattia o da qualche altro sinistro accidente, si è passar trenta giorni in orazione prima di rendere il sagrifizio che debbono a Dio,

e astenersi dal vino, e tosarsi i capelli. Alle quali cose soddisfacendo allor Berenice scalza nel piede si presentò supplichevole al tribunale di Floro, e oltre il niun rispetto, che s'ebbe alla sua persona, ci corse pericolo la sua vita. Intravvennero queste cose il sedicesimo dì d'Artemisio. Il di appresso la moltitudine addolorata concorse nell' alta piazza, e con istemperati schiamazzi piagnea gl' infelici già uccisi; ma le lor voci erano per lo più offensive di Floro, laonde impaúritane la nobiltà e i pontefici si stracciaron le vesti, e pigliandoli ad uno ad uno pregavanli a rimanersene, nè per giunta ai mali già sostenuti volessero accendere irreparabilmente lo sdegno di Floro. Il popolo ne rimase ben presto capacitato tra per rispetto delle persone, che lo ammonivano, e per isperanza, che Floro non adoprerebbe più nulla in lor danno.

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III. Ma a lui dolse forte, che fosse spenta la sedizione e però con intendimento di riaccenderla chiama a se i pontefici co' personaggi di più alto affare, e dice, che l'unico segno di non pensare più il popolo a novità, sarebbe l'uscir essi incontro a' soldati, che allora tornavano da Cesarea, ch' erano due coorti. Ora intanto che quelli chiamavano a parlamento la plebe, Floro mandò significando a'centurioni delle coorti, che ai sudditi loro intimassero di neppur rendere a' Giudei il saluto; e dove niente dicessero contro la sua persona, valersi delle loro armi. I pontefici adunque raccolti i cittadini nel Tempio, li confortavano ad ire incontro ai Romani, e a voler anzi fare a'soldati cortesi accoglienze, che tirarsi sul capo un malanno che non ammettesse

FLAVIO, t. VI. Della G. G. t. I.

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compenso. A queste insinuazioni chiudevano i rivoltosi gli orecchi, e il popolo per lo dolore, che davagli la memoria de' trucidati, piegava dietro a più animosi. Allora tutti i sacerdoti, tutti i ministri di Dio fuori traendo il sagro vasellamento, e con esso l'arredo, in cui solevano esercitare il lor ministero, e dietro ad essi i sonatori e i cantori cogli strumenti prostrandosi innanzi al popolo scongiuravanlo a volere salvo il loro sagro arredo, e a non invitare allo spoglio de' divini tesori i Romani. Vidersi in quell' occasione i pontefici stessi col capo sparso di cenere, e colle vesti squarciate sul petto andar qua e là supplicando per nome ciascuno de' nobili, e tutta insieme la moltitudine, che per un leggerissimo fallo non abbandonassero in man di gente la patria, che non voleva altro più che distruggerla. E valesse la verità; qual vantaggio portava a' soldati il saluto, che avrebbono da' Giudei, o qual riparo al passato il loro non muoversi presentemente? Che se, come pur si costuma, accogliessero con maniere cortesi gli omai vicini soldati, a Floro torrebbono ogni pretesto di guerra, e in mercede per se ne avrebbono salva la patria, e le loro persone in sicuro per l'avvenire. D' altra parte il darsi a seguire alcuni pochi cervelli inquieti, dove sarebbe mestieri, che il gran popolo, ch' essi sono forzassero quegli ancora ad unirsi con seco, era segno di troppo grande stoltezza.

IV. Ammollita con queste ragioni la moltitudine trassero nel medesimo tempo a più savj consiglj quai con minacce e quai per vergogna di lor medesimi i sediziosi. Indi schieratisi quietamente e in buona ordinanza

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