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parte appiattatisi entro le fogne colà si tenevano ascosi, e parte insieme co'Regj ricoveratisi entro la reggia posta più alto serraronne prestamente le porte, tra i quali trovavasi Anania il pontefice, Ezechia suo fratello, e gli ambasciadori andati già ad Agrippa. Quindi colore paghi per al presente dell' ottenuta vittoria e del disertamento fatto col fuoco non mosser più oltre.

VII. Il giorno appresso, ch' era il quindicesimo di di Loo (36), si spinsero contro Antonia, e dopo due giorni d'assedio presero la guernigione, l'uccisero, ed abbruciarono la fortezza. Indi passaro alla reggia, ove s'erano rifuggiti i Regj, e divisa in quattro corpi la loro gente tentarono di pigliarne le mura d'assalto; ma que'd' entro, avvegnaché non bastasse l'animo a niun di loro di far sortita pe' troppi, ch'erano gli assedianti, pur ripartitisi su per li bastioni e le torri ferivano gli assalitori, e cadevano morti appiè delle mura un gran numero di malandrini. Non s' intermetteva il combattere nè di në notte, sperando dall' una parte i ribelli di poter trarre alla disperazione que' dentro colla mancanza de' viveri, e dall' altra que' dentro altrettanto degli assedianti colla stanchezza.

VIII. In questa certo Manaemo figliuol di Giuda soprannomato Galileo filosofo terribilissimo (37), che ai tempi già di Cirenio rimproverò a' Giudei il lor sottomettersi dopo Dio a' Romani, con parecchi di grande affare volò a Massada; ove apertasi l'armeria del re Erode ne fornì, oltre a'suoi popolani, altri ancora, che erano malandrini, e di questi valendosi per guardacorpo si ricondusse non altrimenti che un re in Gerusalemme;

dove creato general de' ribelli ordinava l'assedio. Eravi scarsità di difizj, e il cavar sotto alle mura in palese non era possibile pel saettar, che facevano d'alto i nimici. Cominciata pertanto ben dal lungi la mina condusserla sotto una torre, cui puntellarono; indi messo il fuoco in que'legni, che le facevano da puntelli, uscirono. Consunti dal fuoco i sostegni, rovinò improvviso la torre; ma issofatto comparve da più indentro un'altra muraglia innalzatavi di rincontro. Perciocchè gli assediati, avuto sentore della lor frode, e ciò per ventura dal traballar della torre al cavarsi, che le si faceva al di sotto, fabbricaronsi incontanente un secondo riparo. A questa non aspettata veduta i ribelli, che già si credevano d'aver vinto, rimasero stupiditi. Ciò non ostante que' dentro mandarono richiedendo Manaemo e i caporion de' ribelli, che sotto la fede loro potessero uscire; il che a' soli Regj e paesani permesso, questi n'andarono altrove; e i Romani lasciati soli smarrirono forte; perciocchè nè cotanta moltitudine di nimici poteva rompersi a viva forza, e il domandare mercè parea loro una taccia da vergognarsene; senza che non credevano fosse loro per accordarsi. Laonde abbandonato, perchè troppo facile ad esser preso, il campo, si ricolsono entro le torri reali nomata l'una Cavaliera (38), l'altra Fasaelo, e Mariamme la terza. Intanto la gente di Manaemo colà avventatasi, ond' era fuggita la soldatesca nimica, e quanti di loro, che non sollecitarono la partenza, poterono aver nelle mani, gli uccisero, e rubato il bagaglio misero fuoco nel campo. Tutto questo si fece nel sesto di di Gorpieo (39).

IX. Il giorno di poi il pontefice Anania, che tenevasi ascoso dentro i condotti del palagio reale, fu preso, e da' malandrini tolto di vita una con Ezechia suo fratello; e i ribelli, circondate le torri, tenevanci buona guardia, perchè anima di soldato non ne fuggisse. Ora il distruggimento di luoghi assai bene guerniti e la morte del pontefice Anania, attizzò Manaemo a incrudelire; il quale credendosi di non aver nel governo rivali era un insopportabil tiranno. Ma gli si levarono contro i favoreggiatori d' Eleazaro, e considerato fra loro, che gente sottrattasi per amore di libertà alla suggezion de' Romani non era dicevol cosa, che la gettassero in grazia d' un lor popolano, e si umiliassero ad un padrone, poniamo che non violento, pur sempre dammen di loro; e se pur era mestiere, che un solo fosse capo di tutti, ad ogn' altro star meglio che a lui questo uffizio, s' accordano in un sentimento, e lo assalgono presso al Tempio, dov' egli veniva per adorar Dio, atteggiato di grande alterigia, vestito d'un real manto, e con dietrogli armati i suoi partigiani. Appena gli Eleazariani si furon mossi contro di lui, e il restante del popolo per eccesso di sdegno dato di piglio a' sassi lapidava il mal uomo, pensando, che morto lui spegnerebbesi tutta la sedizione. I Manaemiti dopo legger resistenza avvedutisi dell'infuriare di tutto il popolo contro di loro, fuggironsi, dove meglio potè venir fatto a ciascuno; laonde si fece strage di que', che rimasero, e molte ricerche di que, che s'ascosero. Alcuni pochi di questi s' erano messi in salvo col ricoverare furtivamente in Massada, tra i quali fu Eleazaro figliuol di

Giairo parente di Manaemo, il quale ne' tempi avvenire governò tirannescamente in Massada. Indi pigliato vivo lo stesso Manaemo nel luogo chiamato Ofla, ove s'era ricolto e vi stava nascosto vilmente, lo trassero alla veduta di tutti, e dopo fattone molto strazio gli tolsero finalmente la vita. Così pure trattarono i caporioni sog getti a lui, e il principale stromento del tirannesco governo Assalomo.

X. Ora il popolo, come dissi, a questo avea dato mano, sperando con ciò in tutto il corpo di sediziosi qualche ravvedimento. Ma essi non per voglia di

la

spegner guerra uccisero Manaemo, ma per farla con più franchigia. Di fatto scongiurati dal popolo a grande istanza, che rallentassero alquanto l'assedio a' Romani,, tanto più duramente lo rinforzarono, finchè non potendosi più tenere que' di Metilio, capitano colà de'Romani, mandarono chiedendo agli Eleazariani sotto fede giurata le sole vite: del resto daran loro in mano armi, e checchè altro si trovano avere. Quegli, accettata in men ch'io nol dico la supplica, spedirono a loro Gorione figliuolo di Nicomede, Anania di Sadduco, e Giuda figliuolo di Gionata, perchè desser loro la mano, e facessero i debiti giuramenti. Eseguita ogni cosa Metilio condusse fuori i soldati. Ora finchè questi furono sotto l'armi, niun de' ribelli nè molestòlli, nè dié sen tore di tradimento: ma dappoichè giusta i patti ebber tutti deposto lo scudo e la spada, e senza sospetto di male alcuno si ritiravano, furono loro addosso gli eleazariani, e chiusili da ogni parte facevanne strage, mentr'essi nè difendevansi, nè supplicavano, ma solo a

gran voci ricordavano i patti e i giuramenti. Così furono trucidati tutti barbaramente, salvo Metilio, al qual solo mercè delle suppliche, che lor porse, e delle promesse, che fece, di professare fin colla circoncisione il giudaismo, donaron la vita.

XI. Questo sinistro per i Romani fu di leggier conseguenza; mercecchè i perduti rispetto alle truppe infinite, che avevano, eran pochi; ma per li Giudei parve fosse il principio del loro sterminio; ond' essi veggendo irremediabili oggimai i motivi d'avere una guerra, e la città imbrattata da tanto misfatto, per cui era ben ragionevole paventare l'indegnazione divina, eziandio se da Romani non fosse a temerne vendetta, tutti pubblicamente ne dimostravano gran dolore, e la città era piena di malinconia. Tutte poi le persone dabbene n'erano in grave scompiglio, quasi esse avessero della colpa de' sediziosi a pagare il fio: giacchè il farsi di quella strage era caduto in giorno di Sabbato, giorno in cui per rispetto alle cose sante sospendono ogni lavoro.

CAPITOLO XVIII.

Disavventure e stragi de' Giudei dappertutto.
Mossa di Cestio contro di loro.

I. Nel medesimo giorno e momento, quasi per un tratto di provvidenza divina, i Cesariesi tagliarono a pezzi i Giudei, che abitavano fra di loro; sicchè in quel punto medesimo ne fur morti da ventimila, e di Giudei restò vota Cesarea tuttaquanta. Perciocchè i sal

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