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OR

CAPITOLO PRIMO.

Vespasiano è mandato in Siria da Neronę,
perchè faccia guerra a' Giudei.

R quando a Nerone furon portate le nuove de' tristi avvenimenti della Giudea, nell' interno lo soprapprese, com' era ben ragionevole, maraviglia e timore: ma nel sembiante mostrava alterigia e anche sdegno, dicendo,

e

che l'avvenuto volea recarsi piuttosto a milensaggine del generale romano, che non a valor de'nimici. Quantunque però avvisasse convenirglisi per la maestà dell' impero spregiare fastosamente le traversie, e far mostra di un animo superiore ad ogni sinistro, pur dal pensiero, in che n'era, dava a conoscere lo scompiglio del cuore. Pensando egli adunque a chi potesse affidare l'oriente sconvolto, perchè e punisse la ribellion de' Giudei, antivenisse l'apprendersi, che già faceva tra le nazioni circonvicine il reo morbo, non trova altro, che sia meglio adatto al bisogno e più in forze da sostenere il peso di tanta guerra, che Vespasiano (1), uomo fin dalla sua giovinezza invecchiato fra l'armi, che aveva a' Romani prima tornato pacifico l'occidente messo già da' Tedeschi in rivolta, poi conquistata coll' armi la non ancora ben nota Brettagna, onde avea procacciato anco a Claudio padre di lui (2) senza spargervi stilla di sudor proprio un trionfo. Considerate prima ben bene coteste cose indi posto mente alla ferma età e pari sperienza del valent'uomo, oltre all'essere i suoi figliuoli e un ostaggio della fede, e pe'verdi lor anni la man diritta della prudenza paterna, e fors' anche perchè preordinava già Iddio l'andamento di tutto l'affare, spedisce il prode uomo col carico di governare gli eserciti della Siria, dopo fattegli mercè dell' urgente caso, che quello era, assai cirimonie e lusinghe, quante suole spremerne la necessità. Egli adunque da Acaja, ov'era insiem con Nerone, mandò in Alessandria Tito suo figlio, perchè ne levasse la quinta legione e la decima, mentr' esso passato l' Ellesponto per la via di terra entra in Siria,

ove tutte ammassò le milizie romane, e con esse molte

alleate da' re confinanti.

CAPITOLO II.

Gran macello di Giudei in Ascalona.
Vespasiano viene a Tolomaide.

I. Ora i Giudei, dopo la sconfitta di Cestio, per le non aspettate prosperità imbaldanziti non potevano più rattenere l'animo loro impaziente; e quasi aizzati dalia fortuna stendevano a più ampli confini la più ampli confini la guerra. Fatto adunque subitamente un sol corpo di tutto il nerbo delle lor truppe avventaronsi sopra Ascalona, antica città, da Gerusalemme distante cinquecento venti stadj perpetuamente in odio a' Giudei, e però creduta allora la più vicina alle prime lor correrie. Conducevano quell'impresa tre valent' uomini, per valore e per senno da non avervene altri pari, e furono Negro il peraita, Sila il babilonese, e Giovanni l' esseo. Ascalona era bensì fortemente murata; ma di soccorsi trovavasi presso che senza; mercecchè la guardavano una coorte di fanteria e un'ala sola di cavalleria sotto il reggimento d'Antonio. Quegli adunque, poichè la rabbia faceva lor con gran furia divorare il cammino, così come venuti da poco lungi, così presentaronsi alla città. Antonio, che non ignorava prima ancor che seguisse la loro incursione, aveva già tratta fuori la cavalleria, e non ismarritosi nè per la moltitudine nè per l'ardir de' nimici ne ricevette le prime cariche francamente, e rispinse il cacciarsi FLAVIO, t. VI. Della G. G. t. I,

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ch'essi facevano contro alle mura. Pertanto i Giudei siccome inesperti contro gente sperimentata nell' armi, fanteria contro cavalleria, disordinati contro a bene fra se medesimi stretti e stivati, vestiti d'arme alla leggera contro a fornitine di tutto punto, scorti più dallo sdegno che dal consiglio, affrontati con una milizia ubbidiente e tutta moventesi a' cenni del capitano con facilità sono rotti; perciocchè non si furono così tosto smagliate le prime file, che da cavalli son messi in volta, e avvenendosi nell'altre lor file di dietro, che si spingevano con gran forza contro le mura, divengono vicendevolmente nimici, fino a tanto che tutti rendutisi all'urto della cavalleria qua e là sbarattaronsi per la campagna ampia assai e tutta acconcia per li cavalli; il che essendo di grande ajuto a' Romani cagionò una strage grandissima ne' Giudei: mercecchè sopraggiuntine i fuggitivi arrestavanli, e tagliando a innumerabili il corso, a che si lasciavano rovinosamente portare, mettevangli a morte: altri poi si serravano intorno ad altri, ovechè si volgessero, e qua e là trabalzandoli colle frecce passavanli di leggieri. Quindi a' Giudei il proprio lor numero per la disperazione, in che erano, pareva una solitudine; dove i Romani per le felici loro avventure, benchè fosser pochi a una guerra, pur si credevano troppi più del bisogno; e mentre gli uni tra per vergogna della rapida fuga, che saria quella, e per isperanza di cangiamento cozzano, colla loro sfortuna, e gli altri ne' prosperi lor successi non si dan per istanchi, la battaglia si prolungò fino a sera; e restaronci morti di Giudei dieci mila persone e due de' lor gene

rali Giovanni e Sila: i rimanenti poi quasi tutti feriti con Negro l'unico generale, che sopravvisse, corsono a ricoverarsi dentro una città assai piccola dell' Idumea, detta Sallis. Alcuni pochi ancor de' Romani in questa giornata rimasero feriti.

II. A tanta disavventura però non cagliarono punto i Giudei; anzi il dolore, che ne sentirono, vie più destònne l'ardire; e non si spaventando a' cadaveri, che pur avean tra piedi, lasciavansi dalle passate prosperità adescare a una nuova sconfitta. Dunque non posatisi neppur quanto a saldar le ferite si richiedeva, con tutte le loro forze perciò raccolte più sdegnosamente e in più numero assai, che non prima, tornavano già ad Ascalona. Teneva lor dietro colla medesima inesperienza e cogli altri disavvantaggi, che avevano nel guerreggiare, ancor la fortuna di prima. Conciossiachè appostati nel lor passare da Antonio caddero d'improvviso nel laccio, e da' cavalli, anzichè si schierassono per la battaglia, chiusi da ogni parte ci perdetter la vita altri otto mila, o in quel torno: i restanti cacciaronsi tutti a fuggire, e con essi ancor Negro, il quale nell'atto medesimo, che fuggiva, fece di gran valentie. Ora incalzati alle spalle dagl' inimici ricolgonsi tutti insieme dentro una torre assai forte del borgo nomato Bezedel. Gli Antoniani e per non perdere il tempo dietro una torre difficile ad espugnare e per non lasciar vivo il capo e il sostegno più fermo degl' inimici, cacciano fuoco per sotto al muro; e mentre bruciava la torre, i Romani partono festanti, quasi con essa perito fosse anche Negro; ma egli dalla torre gettatosi con un salto verso

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