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Ircano, passarono ad Aristobolo; onde il pover uomo con que', che restarongli, s'affrettò di ricoverare in Antonia, e quivi recati in suo potere i pegni di sua sicurezza, ch' eran la moglie e i figliuoli d' Aristobolo, anzichè s'innoltrasse il male a non essere più riparabile, si racconciarono a questi patti, che il regno avesselo Aristobolo, e Ircano, cedutolo, tutti gli altri onori godesse, che convenivansi ad un fratello del re. Sotto tai condizioni pattoviron la pace nel Tempio, e alla presenza di tutto il popolo circostante abbracciatisi scambievolmente cangiarono abitazione; e Aristobolo si ritirò nella regia, e nella casa d'Aristobolo Ircano.

II. L'improvviso regnar d' Aristobolo mise timore, siccome negli altri nimici suoi, così particolarmente in Antipatro da gran tempo veduto da lui con mal occhio. Era Antipatro per ischiatta idumeo, e per nobiltà d'antenati, per ricchezze, e possanza d'ogni genere un dei primi fra' suoi. Questi ad un'ora medesima persuadeva ad Ircano, che ricorrendo ad Areta signor dell' Arabia ricuperasse il suo regno, ad Areta, che desse ricetto ad Ircano e 'l ritornasse nel regno; e col molto dir male che fece delle qualità d'Aristobolo, e bene d'Iril confortava a ricoglierlo: e considerasse, che a un signore di regno sì illustre, com'era il suo, bene stava porger la destra agli oppressi; e l'oppresso era Ircano, che privo vedevasi di quel regno, che all' età sua si doveva. Disposti gli animi d' ambedue, di notte tempo dileguasi con Ircano dalla città, e con una fuga precipitosa perviene salvo in Petra metropoli dell' Arabia. Quivi presentato ad Areta Ircano, dopo molti di

cano,

scorsi e regali molti, con cui l' addolcisce, alla fine lo persuade a dargli un' armata bastevole da ritornarlo sul trono. Questa tra di cavalleria e fanteria comprendeva cinquantamila persone, alle quali Aristobolo non potè far resistenza; perciocchè alla prima affrontata abbandonato da' suoi si ricoglie in Gerusalemme, donde l'avrebbono preso per forza, se Scauro general de'Romani levatosi in quel frangente non avesse sciolto l'assedio. Egli fu dall' Armenia spedito in Siria da Pompeo Magno, che facea guerra a Tigrane. Venuto egli in Damasco pigliata testè da Metello e da Lollio, condotti seco ancor questi, poichè ebbe udito lo stato della Giudea, ne prese la via, come se andasse a un sicuro guadagno.

III. Entrato che fu nel paese, ecco gli si presentano ambasciatori dell' un fratello e dell' altro, che il pregano a nome di ciascheduno, che voglia soccorrerli. Ma più, che non la giustizia, valsero appo lui i trecento talenti, che gli regalò Aristobolo. Perciocchè dopo tale presente Scauro mandò intimando ad Ircano e agli Arabi sotto pena d'incorrere nello sdegno di Pompeo e de'Romani, che levasser l'assedio. Spaventato Areta dalla Giudea ritirossi in Filadelfia, e Scauro di nuovo a Damasco. Aristobolo uon fu pago di non essere stato preso, ma con seco tutte le sue forze si diè a inseguire i nimici, e attaccatili a Papirone, luogo di questo nome, ne uccide oltre a seimila, tra' quali ancora Falione fratel di Antipatro.

IV. Ircano ed Antipatro vedutisi senza l'appoggio degli Arabi trasferirono negli avversarj loro speranze; FLAVIO, t. VI. Della G. G. t. I.

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e poiché Pompeo aggiratosi per la Siria fu entrato in Damasco, ricorrono a lui; e senza presenti valendosi solo delle ragioni, che avean prodotte ad Areta, gli supplicavano, che abbominasse la soperchieria d'Aristobolo, e rimettesse colui nel regno, che per costumi e per età n'era più meritevole. Aristobolo però non rimase addietro, ben confidando nell'animo già guadagnato di Scauro; e presentòssi egli pure, abbigliato, quanto meglio gli fu possibile, alla reale. Ma parutagli cosa indegna umiliarsi ad altrui, e insoffribile procacciare vantaggi per una via disdicevole al suo stato, si allontano da Diospoli.

V. Punto da questo tratto Pompeo, al che s'aggiunsero le molte suppliche de' fautori d' Ircano, ando sopra Aristobolo con le truppe romane e con molti confederati di Siria. Oltrepassate Pella e Scitopoli venne in Corea (19), donde le terre cominciano de' Giudei, per chi sale dalle provincie entro terra, avendo sentito, che Aristobolo s' era chiuso co' suoi in Alessandrio, castello assai bene guernito e posto sopra la cima d'un monte. Quivi gli mandò ingiugnendo, che scendesse di là; e perchè a lui parve questa un'intima troppo imperiosa, aveva in animo di volere anzi esporsi ad ogni pericolo, che ubbidire; ma considerava, che il popolo era in timore, e gli amici ponevangli innanzi agli occhi il poter de' Romani, a cui non aveva forze da contrapporsi. Mosso da queste ragioni scende a Pompeo; e dopo aver molto detto in prova del suo regnar giusta mente; si ricondusse nella fortezza; indi al provocarlo, che fece il fratello, calò di nuovo, e tenuto ragiona

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mento de' suoi diritti, non gliel contendendo Pompeo si parti. Stava egli in mezzo tra la speranza e 'l timore, e discendeva per impetrar da Pompeo, che gli consentisse, quanto bramava, e risaliva al castello, perchè non sembrasse, ch'egli anzi tempo si desse per vinto. Ora, poichè gli ebbe ingiunto Pompeo di sgombrar le fortezze, e siccome avevano i castellani l'intima, di non ubbidire, che alle lettere scritte da lui medesimo, così l'astrigneva a scrivere a ciascheduno, che le cedessero, Aristobolo fece bensì i voleri di lui; ma pieno di mal talento si ritirò in Gerusalemme, e si mise in concio per muover guerra a Pompeo.

VI. Ma questi, che non gli diè tempo di prepararsi, gli tenne dietro subitamente; e giunse lena al suo corso la morte di Mitridate portatagli a Gerico, ov'ha il terreno più fertile della Giudea, e in gran copia provengono palme e balsamo; il quale, quand' altri taglia con pietre aguzze il ceppo degli alberi, si raccoglie dalle lagrime, che schizzano dalla ferita; e postosi a campo per una notte in quel luogo, sul far del giorno tirò alla volta di Gerusalemme. Atterrito a questa venuta Aristobolo gli uscì supplichevole incontro; e col promettergli gran denajo e col rimettere la città e sè medesimo alla sua mercè placa l'animo di Pompeo inasprito. Non gli furono però attese tali promesse; perciocchè i favoreggiatori d' Aristobolo non vollero accogliere neppure in città Gabinio colà spedito per la riscossione del denajo.

CAPITOLO VII.

Pompeo, avuta in potere Gerusalemme, s'impadronisce del Tempio, ed entra nel Santo de' Santi. Si racconta inoltre, quanto egli fece in Giudea.

I. Sdegnato perciò Pompeo tenne prigione Aristobolo; e incamminatosi verso la città andava considerando, da qual parte potrebbe batterla; poichè vedea la fortezza pressochè inespugnabile delle mura, e 'l vallone ottimamente guernito, e in maniera, che presa ancor la città, saria questo un secondo ricovero pe' nimici.

II. Ora, mentr' egli sta lungamente pensando, che far gli convenga, nasce in que' d' entro tumulto, chiedendo i fautori d'Aristobolo, che si faccia guerra e sia il re liberato, e que' del partito d' Ircano, che s'apran le porte a Pompeo. In tal sentimento fece entrar molti il timore al vedere il buon ordine delle truppe romane. Vinta perciò la fazion d' Aristobolo si ricolse nel Tempio, e tagliato il ponte, che lo congiugne colla città, s' accinsero a far fino all' ultimo resistenza. Avendo frattanto gli altri accolti in città i Romani e consegnata nelle lor mani la reggia, Pompeo mandò a riceverne l'arrendimento Pisone uno de' suoi capitani con soldatesca. Questi ripartito per la città il presidio, poiche non v' ebbe persona de' rifuggiti nel Tempio, che s' inducesse a discendere a qualche trattato, dispose i luoghi d'intorno per l' oppugnazione, avendo pronti a dargli consiglio e soccorso i favoreggiatori d'Ircano.

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