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III. Andava intanto Pompeo riempiendo dal lato settentrionale la fossa e tutto il vallone, recandone la materia i soldati. Difficile impresa per altro ella era nirne a capo, tra per l'immensa profondità di quel luogo, e perchè rispignevangli a più potere dall' alto i Giudei; nè avrebbe avuto mai fine il travagliar de' Romani, se Pompeo osservando, che i Giudei a ogni settimo di per motivo di religione tenevan lungi le mani da tutti i lavori, non avesse a que' dì riserbato l'alzamento del terrapieno, con ordine a' suoi di non attaccare veruna mischia; poichè i Giudei solamente per la persona si mettono anche nel giorno del Sabbato in sulle difese. Riempiuto oggimai il vallone, sovrappose al terrapieno alte torri, e accostate le macchine, che condusse da Tiro, cominciò a tormentare le mura; e i frombatori ne allontanavano, chi poteva opporsi ai Romani. Da questa banda però le torri (2*) d'eccellente grandezza e bellezza resistettono lungamente.

IV. Quivi, travagliando assai i Romani, fra l'altre cose, che Pompeo ammirò ne' Giudei, fu la loro costanza, singolarmente nel non trasandare la religione, benchè si trovassero in mezzo ai dardi nimici. Perciocchè, quasi fosse profonda pace in Gerusalemme, facevansi a onor di Dio i sagrifizj, le lustrazioni, e tutto accuratamente ciò, che al servigio divino s'apparteneva. Anzi neppur quando era preso il Tempio, quantunque scannati ogni giorno presso all' altare, non ommettevano le osservanze legali.. Al terzo mese adunque di tale asse➡ dio, appena allor giunti ad abbattere solo una torre saltaron nel Tempio. Il primo però, che si ardisse di

valicar la muraglia, fu il figliuolo di Silla Cornelio Fausto; e appresso, due centurioni cioè Furio e Fabio, -a ciascuno de' quali teneva dietro la sua compagnia; e chiusi da ogni lato i Giudei, gli uccidevano parte in atto di ricoverare nel Tempio, e parte in atto di fare qualche leggiera resistenza.

V. Colà molti de' sacerdoti, benchè vedessero colle spade ignude correre gl' inimici lor contro, pure senza scomporsi proseguirono i loro uffizj; laonde sagrificando e incensando venivano uccisi, e mostravano di far men caso della lor vita, che del servigio divino. Moltissimi altresì eran tolti del mondo da' nazionali della fazione contraria, e innumerabili si gettavano di per sè stessi da' precipizj; o taluni a quello universale sconvolgimento impazzati misero il fuoco a quanto avevaci intorno alle mura, e bruciaronsi. Di Giudei pertanto restaronci morti dodicimila, di Romani assai pochi gli uccisi, e molti più i feriti.

VI. Niente però dolse tanto in quella disgrazia ai Giudei, quanto il Santuario prima invisibile e allora esposto ad occhi stranieri. Mercecchè trapassato Pompeo co' suoi fino a quel luogo del Tempio, ove al solo pontefice si consente di penetrare, osservò quanto era là entro, e candeliere, e lucerne, e mensa, e caraffe, e turibili, tutto d'oro, e la dovizia d'aromati colà ammucchiati, e il sagro denajo alla somma di duemila talenti. Non per questo ei toccò niuna cosa di queste, o niun sagro arredo; anzi un giorno dopo la presa del Tempio ingiunse a' Santesi, che lo ripurgassero, e secondo il costume facesservi i sagrifizj: indi creato pon

tefice Ircano, perchè d'infra gli altri suoi meriti e avea prestata prontissimamente l'opera sua nell' assedio, ed avea da Aristobolo ribellata una buona parte di terrazzani disposti già a favoreggiarlo. Quindi, come a buon capitano si conveniva, si guadagnò il popolo coll'amore più presto, che col timore. Tra' prigioni restò compreso anche il suocero d' Aristobolo, ch'era suo zio altresì. E a quanti ebbero in quella guerra più colpa, mozzò la testa; Fausto poi e seco lui gli altri, che avevano adoperato valorosamente, Pompeo con gran premj ricompensòlli; indi impose al paese e a Gerusalemme un tributo.

VII. Spogliata poi la nazione di quante città conquistate avea nella Siria, le soggettò al governatore romano, ch'era colà di que' tempi, e determinò a ciascuna i proprj confini. Oltre a ciò rifà Gadara da' Giudei alterrata, in grazia d'un suo liberto di nascita Gadarese, e Demetrio di nome. Sottrasse alla suggezion dei Giudei quelle città entro terra, ch'essi non avevano ancor distrutte, ciò sono Ippo, Scitopoli, Pella, Samaria, e Marissa, e con queste Azoto, Giamnia, Aretusa, e al par d'esse le marittime Gaza, Gioppe, Dora, e quella, che Torre fu detta già di Stratone, e poscia da Erode il grande in altra maniera rifabbricata con edifizj sontuosissimi cangiò il suo nome in quello di Cesarea; le quali tutte restituite a'lor cittadini alla provincia le assegnò della Siria. Data poi questa colla Giudea, e quant'altro v' ha dall'Egitto all'Eufrate, a Scauro da governare con due legioni, esso per la Cilicia s' incamminò verso Roma, menandoci seco prigione Aristo

bolo colla prole. Egli avea due figliuole e due figli; uno di questi, che aveva nome Alessandro, mentr' era in viaggio fuggigli, e il più giovine, ch'era Antigono, n' andò a Roma colle sorelle.

CAPITOLO VIII.

Alessandro figliuol d' Aristobolo fuggito di mano a Pompeo fa guerra ad Ircano, e vinto da Gabinio rende a lui le fortezze. Fuggito poscia di Roma Aristobolo raduna eserciti, e disfatto da' Romani è condotto a Roma. Altre cose si narrano di Gabinio, di Crasso e di Cassio.

I. In questo Scauro gettatosi nell' Arabia non si potè accostare a Petra per l'inaccessibile luogo, che era : egli pertanto guastava i contorni di Pella; sebbene gli andaron qui pure le cose a traverso; perciocchè fu l'esercito travagliato da fame. Ircano però gli porse ajuto mandandogli il bisognevole per Antipatro, il quale siccome amico d'Areta, così fu spedito da Scauro, perchè con denari l'arabo ne comperasse la pace. In fatti egli si contentò di pagare trecento talenti, e a tai condizioni Scauro ritiro dall' Arabia il suo esercito.

II. Il fuggito poi dalle mani di Pompeo, cioè Alessandro figliuolo d' Aristobolo, radunata col tempo una grossa mano di gente, dava che fare ad Ircano, e infestava con iscorrerie la Giudea; e pareva che stesse omai per abbatterlo; giacchè accostatosi a Gerusalemme già osava di rinnalzar la muraglia abbattuta testè da

Pompeo se non che Gabinio (20) spedito a Scauro successor nella Siria, siccome in molt'altri incontri portossi generosamente, così condusse il suo esercito contro Alessandro; il quale atterrito a questa venuta accrebbe di numero la sua gente, talchè i pedoni furono diecimila, e` millecinquecento i cavalli. Indi rinforzò i luoghi più opportuni, ciò sono Alessandrio, Ircanio, e Macherunte verso le montagne d' Arabia.

III. Gabinio intanto, spedito innanzi con una parte delle sue truppe M. Antonio, col grosso poi dell' arm ta gli venne dietro egli stesso. Aggiuntisi a' capitani di M. Antonio i compagni più bravi d'Antipatro e l'altre schiere giudee condotte da Malico e Pitolao marciarono contro Alessandro; e indi a poco giunse Gabinio col nerbo della sua gente. Or Alessandro reggere non potendo alle forze unite degl' inimici si ritirò, e arrivato omai presso a Gerusalemme è costretto a fare giornata; e perduti nella battaglia seimila de' suoi, metà morti, e metà fatti prigioni, fugge co' rimanenti ad Alessandrio.

IV. Gabinio venuto sotto Alessandrio, poichè colà trovò molti accampati, studiòssi coll' impromettere perdonanza delle colpe passate di trarli a sè prima di venire alle mani. Ma non trovando in coloro nessuna buona disposizione ne uccise molti, e i restanti rinchiuseli nella fortezza. In questa battaglia si fe' sommo onore M. Antonio, il quale benchè dappertutto si fosse mostrato uom valoroso, pur, come qui, mai non avevalo fatto altrove. Gabinio adunque, lasciata gente colà, ch' espugnasse il castello, partì, e recò a miglior forma le città non guastate; e rifabbricò le distrutte. Quindi

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