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» mondo le disavventure o le prosperità sien durevoli, » ma ognun vede, che la fortuna si cangia vicende» volmente ora in buona, ora in rea; e ben voi ne » avete in prova domestici esempli: noi nella prima >> battaglia vittoriosi restammo poi vinti dagl' inimici ; » e per conseguenza ora vinti resteranno coloro, che » si persuadono di riuscir vincitori; perciocchè la so» verchia fidanza è malavveduta, e il timore è maestro » di provvidenza: laonde io almeno dalle vostre paure » traggo motivo di confidare; perchè, siccome allora >> quando imbaldanziste più del bisogno e usciste, mal » mio grado, contro i nimici, le insidie di Atenione >> ebbero comodamente l'effetto loro, cosi al presente >> la vostra lentezza, e lo sbigottimento, che dimostrate, » mi dà promessa d'una sicura vittoria. Egli è però » vero, che sol fino a un tal segno è buona questa di»sposizione, e che ai fatti convien richiamare il co» raggio in petto, e far capire a' ribaldi nimici, che la » virtù de' Giudei non fia che si abbatta nè per umana disgrazia nè per flagello celeste, fin che abbian vita, »> nè alcun di noi sosterrà di veder signor de' suoi beni » un Arabo, cui poco mancò che più volte non facesse » prigione. Nè i movimenti disturbinvi delle cose inani» mate; nè vi cada nell' animo, che il tremuoto pas»sato sia un segno d' altra disgrazia avvenire. Naturali » sono i malori degli elementi, nè nuocono agli uomini » più di quello, che nocciano a se medesimi. Si puote >> bensì concedere, che alla pestilenza, alla fame, ai » tremuoti, preceda qualche segno; dove essi (53) » stessi, quando succedono, non hanno altro seco, che

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» il gran male che sono. E in vero ci può egli dare >> danno maggiore la perdita eziandio della guerra, che >> non ci diede il tremuoto? Ma che dico io? Segno >> evidentissimo di sconfitta per gl' inimici non casuale » nè d'altronde venuto si è l'aver essi contro le leggi » di tutto il mondo uccisi barbaramente i nostri legati, e offerte a Dio tali vittime pel felice esito della guerra. » Ma non sottrarransi no essi al grand' occhio nè all'invincibil destra di lui. Pagheranno sì, pagheranno » ben tosto la pena al patrio nostro coraggio, quando »> noi velocemente sorgiamo a punirli della fede tra» dita. Ora via, levisi ognuno in difesa non della moglie, non dei figliuoli, non della patria pericolante, » ma degli uccisi legati. Questi meglio che noi viventi » condurranno la guerra. Io stesso, quando abbia voi » ubbidienti, entrerò nel cimento il primo; e siate pur » certi, che invincibile è la vostra fortezza, quando non » la guastiate con precipitosi partiti.

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V. Così incorato l'esercito, come lo vide pronto a ogni impresa, si fece a Dio sagrifizio, e dopo dopo questo passò il Giordano colle sue truppe. Indi postosi a campo d'intorno a Filadelfia vicino ai nimici andava con essi a (54) cagion del castello, che tramezzava l' un campo e l'altro, scaramucciando con animo di attaccare quantoprima la mischia; giacchè per ventura anche gli Arabi avevano mandati innanzi alcuni dei loro, perchè occupassero quel castello. Ma questi furono in poca d'ora rispinti da regj, i quali s' impadronirono di quel luogo eminente. Egli poi ogni giorno traendo fuori le truppe in ordinanza mettevale di battaglia, e invitava gli Arabi

a un fatto d'arme. Or perciocchè non usciva persona, che tutti compresi erano da spavento, e veggenti tutti, Eltemo loro generale era intirizzito dalla paura, fattosi egli innanzi prese a schiantare la loro trincèa; e in tal modo costretti escono disordinati a battaglia, e misti fanti e cavalli, per moltitudine vantaggiavano veramente i Giudei, ma in coraggio stavano loro al di sotto, avvegnachè la disperazione di potere vincere li rendesse ancora malarditi; laonde, finchè resistettero, non fu molta la strage; ma, poichè ebber volte le spalle, assai per mano dei Giudei ed assai da se medesimi calpestati perirono. Alla fine in quella fuga ne caddero cinquemila, e i restanti corsero affollatamente a rinchiudersi nelle trincée. Circondatigli intorno Erode già gli assediava; e vicini a cadere per forza d'armi in man del nimico n' ebbero una spinta ancor più sollecita dalla sete lor cagionata per la penuria dell' acque. Erode però non fece caso delle loro ambascerie, e profferendo essi a proprio riscatto cinquecento talenti gli strinse assai più: ma bruciati in fin dalla sete uscirono a molti insieme e rendettonsi spontaneamente in man dei Giudei; sicchè in cinque giorni ne furono incatenati da quattromila, e nel sesto il rimanente dell' oste per disperazione uscì in campo a combattere, dove azzuffatosi Erode con loro ne uccide di nuovo da settemila. Con tale sconfitta vendicatosi dell' Arabia, e spento l'ardire degli Arabi guadagnò tanto, che fu da quella nazione trascelto a suo protettore eziandio.

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CAPITOLO XX.

Erode ordin di Cesare proseguendo a regnare gli fa sontuosi regali. Augusto il rimerita con una parte del regno toltogli da Cleopatra e colle terre di Zenodoro, che aggiunse alle sue.

I. Ma poco appresso lo sopraggiunse un pensiero affannoso de' casi suoi atteso la sua amistà con Antonio già vinto da Cesare ad Azzio. Pure egli davasi più timore di quello, che in fatti ne sofferisse; conciossiachè Cesare non credesse mai vinto Antonio, finchè Erode teneva con lui. Il re non pertanto si consigliò d'ovviare i pericoli, e approdato a Rodi, ove Cesare dimorava, a lui si presenta senza diadema in capo, con abito e portamento da privato (55), ma con cuore da re. Non iscemata per tanto di nulla la verità così disse dinanzi a lui.

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II. Io, o Cesare, fatto re de' Giudei per Antonio » confesso d'essere stato mai sempre utile re ad An»tonio, ne rimarròmmi di dire ancor questo, che » avresti assolutamente provate ancor tu le mie armi, » se gli Arabi non me lo avessero impedito. Ciò non » ostante, per quanto lo consentirono le mie forze, a » lui ho mandato e milizia e quantità assai grande di » viveri, anzi neppure dopo la rotta ad Azzio ho ab»bandonato il benefattore. Ottimo consigliere io gli » fui, giacchè più non era utile confederato, e gli dissi 2) una sola esser la via da raddirizzare il rovinoso suo

» stato, la morte di Cleopatra; cui quando avesse tolta » del mondo, io gli prometteva e denari e mura per >> sicurezza e milizia e la mia persona ad essergli nella » guerra, che a te farebbe, compagno. Ma in verità, >> che l'affetto per Cleopatra, e Dio, che a te fe' dono » della vittoria, gli turaron gli orecchi. Io fui vinto >> insiem con Antonio, e colla fortuna di lui io deposi » il diadema. A te però io ne venni, affidando alla » virtù la speranza di mia salvezza, di mia salvezza, e lusingandomi, » che si guarderebbe, di che qualità, non di che per>> soua io sia stato amico »>.

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III. A questo Cesare « vivi pur, disse, e regna ora » più sicuramente che innanzi, e ben se' degno di » regger molti, tu che se' un amico tanto leale. Vedi adunque di conservarti fedele nel prospero stato ezian» dio, giacchè altissime son le speranze, ch'io ho con» cepute del tuo valore. Ha fatto gran senno Antonio seguire i consigli di Cleopatra piuttosto, che i tuoi; » che dalla mattezza di lui abbiam guadagnata la tua » persona. Anzi tu, se non erro, cominci co'benefizj; poichè Q. Didio mi scrive, che tu l'hai sovvenuto » contro de' gladiatori. Ora dunque io ti raffermo con >> un decreto in sul trono ; e mi studierò in avvenire » di farti del bene, perchè non abbi a cercare d' An>>tonio »>.

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IV. Con queste cortesi maniere trattato il re, e postogli in capo il diadema registrò in un decreto la donazione, e in esso disse molte e gran cose in lode del valentuomo; il quale addolcitolo con regali gli chiese in grazia Alessandro un degli amici d' Antonio. Ma qui

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