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bilancia il bene e la commodità che gli è per venire del fare contra il comandamento, ponendo che 'l disegno suo gli succeda secondo la speranza; dall' altra banda, contrapesare il male e la incommodità che glie ne nasce se per sorte, contrafacendo al comandamento, la cosa gli vien mal fatta: e conoscendo che 'l danno possa esser maggiore e di più importanza succedendo il male, che la utilità succedendo il bene, dee astenersene, e servar apuntino quello che imposto gli è; e per contrario, se la utilità è per esser di più importanza succedendo il bene, che 'l danno succedendo il male, credo che possa ragionevolmente mettersi a far quello che più la ragione e 'l giudicio suo gli detta, e lasciar un poco da canto quella propria forma del comandamento; per fare come i buoni mercatanti, li quali per guadagnare l'assai avventurano il poco, ma non l'assai per guadagnar il poco. Laudo ben che sopra tutto abbia rispetto alla natura di quel signore a cui serve, e secondo quella si governi; perchè se fosse cosi austera, come di molti che se ne trovano, io non lo consigliarei mai, se amico mio fosse, che mutasse in parte alcuna l'ordine datogli: acciò che non gl'intravenisse quel che si scrive esser intervenuto ad un maestro ingegnero d' Ateniesi, al quale, essendo Publio Crasso Muziano in Asia, e volendo combattere una terra, mandò a domandare un de'dui alberi da nave che esso in Atene avea veduto, per far uno ariete da battere il muro, e disse voler il maggiore. L'ingegnero, come quello che era intendentissimo, conobbe quel maggiore esser poco a proposito per tal effetto; e per esser il minore più facile a portare, ed ancor più conveniente a far quella machina, mandollo a Muziano. Esso, intendendo come la cosa era ita, fecesi venir quel povero ingegnero, e domandatogli, perchè non l'avea ubedito, non volendo ammettere ragion alcuna che gli dicesse, lo fece spogliar nudo, e battere e frustare con verghe tanto che si mori, parendogli che in loco d' ubedirlo avesse voluto consigliarlo: si che con questi cosi severi uomini bisogna usar molto rispetto.

XXV. Ma, lasciamo da canto omai questa pratica de'signori, e vengasi alla conversazione coi pari o poco diseguali; chè ancor a questa bisogna attendere, per esser universal

mente più frequentata, e trovarsi l'uomo più spesso in questa che in quella de' signori. Benchè son alcuni sciocchi, che se fossero in compagnia del maggior amico che abbiano al mondo, incontrandosi con un meglio vestito, subito a quel s'attaccano; se poi gli ne occorre un altro meglio, fanno pur il medesimo. E quando poi il principe passa per le piazze, chiese o altri lochi publici, a forza di cubiti si fanno far strada a tutti, tanto che se gli mettono al costato; e se ben non hanno che dirgli, pur lor voglion parlare, e tengono lunga la diceria, e rideno, e batteno le mani e 'l capo, per mostrar ben aver faccende d'importanza, acciò che 'l popolo gli vegga in favore. Ma poi che questi tali non si degnano di parlare se non coi signori, io non voglio che noi degnamo parlar d'essi.

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XXVI. Allora il Magnifico JULIANO, Vorrei, disse, messer Federico, poichè avete fatto menzion di questi che s'accompagnano cosi volontieri coi ben vestiti, che ci mostraste di qual maniera si debba vestire il Cortegiano, e che abito più se gli convenga, e circa tutto l' ornamento del corpo, in che modo debba governarsi; perchè in questo veggiamo infinite varietà e chi si veste alla franzese, chi alla spagnola, chi vuol parer Tedesco; nè ci mancano ancor di quelli che si vestono alla foggia de' Turchi; chi porta la barba, chi no. Saria adunque ben fatto, saper in questa confusione eleggere il meglio. Disse messer FEDERICO: Io in vero non saprei dar regola determinata circa il vestire, se non che l'uom I s'accomodasse alla consuetudine dei più; e poichè, come voi dite, questa consuetudine è tanto varia, e che gl'Italiani tanto son vaghi d'abigliarsi alle altrui fogge, credo che ad ognuno sia licito vestirsi a modo suo. Ma io non so per qual fato intervenga che la Italia non abbia, come soleva avere, abito che sia conosciuto per italiano; che benchè lo aver posto in usanza questi nuovi faccia parer quelli primi goffissimi, pur quelli forse erano segno di libertà, come questi son stati augurio di servitù ; il qual ormai parmi assai chiaramente adempiuto. E come si scrive, che, avendo Dario, l'anno prima che combattesse con Alessandro, fatto acconciar la spada che egli portava a canto, la quale era persiana, alla foggia di Mace

donia, fu interpretato dagl' indovini che questo significava, che coloro, nella foggia de' quali Dario aveva tramutato la forma della spada persiana, verriano a dominar la Persia; così l'aver noi mutati gli abiti italiani negli stranieri parmi che significasse, tutti quegli, negli abiti de'quali i nostri erano trasformati, dover venire a subjugarci; il che è stato troppo più che vero, chè ormai non resta nazione che di noi non abbia fatto preda: tanto che poco più resta che predare, e pur ancor di predar non si resta.

XXVII. Ma non voglio che noi entriamo in ragionamenti di fastidio: però ben sarà dir degli abiti del nostro Cortegiano; i quali io estimo che, pur che non siano fuor della consuetudine, nè contrarii alla professione, possano per lo resto tutti star bene, purchè satisfacciano a chi gli porta. Vero è ch' io per me amerei che non fossero estremi in alcuna parte, come talor suol essere il franzese in troppo grandezza, e 'I tedesco in troppo piccolezza, ma come sono e l'uno e l'altro corretti e ridotti in miglior forma dagl' Italiani. Piacemi ancor sempre, che tendano un poco più al grave e riposato, che al vano: però parmi che maggior grazia abbia nei vestimenti il color nero, che alcun altro; e se pur non è nero, che almen tenda al scuro: e questo intendo del vestir ordinario, perchè non è dubio che sopra l'arme più si convengan colori aperti ed allegri, ed ancor gli abiti festivi, trinzati, pomposi e superbi. Medesimamente nei spettacoli publici di feste, di giochi, di mascare, e di tai cose; perchè così divisati portan seco una certa vivezza ed alacrità, che in vero ben s'accompagna con l'armi e giochi: ma nel resto, vorrei che mostrassino quel riposo che molto serva la nazion spagnola, perchè le cose estrinseche spesso fan testimonio delle intrinseche. Allor disse messer CESARE GONZAGA : Questo a me daria poca noja, perchè, se un gentiluom nelle altre cose vale, Riil vestire non gli accresce nè scema mai reputazione. spose messer FEDERICO: Voi dite il vero. Pur qual è di noi che, vedendo passeggiar un gentiluomo con una roba adosso quartata di diversi colori, ovvero con tante stringhette e fettuzze annodate e fregi traversati, non lo tenesse per pazzo o per buffone?- Nè pazzo, disse messer PIETRO BEMBO, nè buf

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fone sarebbe costui tenuto da chi fosse qualche tempo vivulo nella Lombardia, perchè cosi vanno tutti. Adunque, rispose la signora DUCHESSA ridendo, se cosi vanno tutti, opporre non se gli dee per vizio, essendo a loro questo abito tanto conveniente e proprio, quanto ai Veneziani il portar le maniche a comeo, ed a' Fiorentini il cappuzzo. Non parlo io, disse messer FEDERICO, più della Lombardia che degli altri lochi, perchè d'ogni nazion se ne trovano e di sciocchi e d'avveduti. Ma per dir ciò che mi par d'importanza nel vestire, voglio che 'l nostro Cortegiano in tutto l'abito sia pulito e delicato, ed abbia una certa conformità di modesta attilatura, ma non però di maniera feminile o vana, nė più in una cosa che nell' altra, come molti ne vedemo, che pongon tanto studio nella capigliara, che si scordano il resto; altri fan professione di denti, altri di barba, altri di borzacchini, altri di berrette, altri di cuffie; e così intervien che quelle poche cose più colte pajono lor prestate, e tulle l'altre che sono sciocchissime si conoscono per le loro. E questo tal costume voglio che fugga il nostro Cortegiano, per mio consiglio; aggiugnendovi ancor, che debba fra sè stesso deliberar ciò che vuol parere, e di quella sorte che desidera esser estimato, della medesima vestirsi, e far che gli abiti lo ajutino ad esser tenuto per tale ancor da quelli che non l'odono parlare, nè veggono far operazione alcuna.

XXVIII. A me non pare, disse allor il signor GASPAR PALLAVICINO, che si convenga, nè ancor che s'usi tra persone di valore, giudicar la condizion degli uomini agli abiti, e non alle parole ed alle opere, perchè molti s'ingannariano; nė senza causa dicesi quel proverbio, che l'abito non fa il monaco. Non dico io, rispose messer FEDERICO, che per questo solo s'abbiano a far i giudicii resoluti delle condizion degli uomini, nè che più non si conoscano per le parole e per l'opere che per gli abiti: dico ben, che ancor l'abito non ė piccolo argomento della fantasia di chi lo porta, avvenga che talor possa esser falso; e non solamente questo, ma tutti i modi e costumi, oltre all' opere e parole, sono giudicio delle qualità di colui in cui si veggono. E che cose trovate voi, rispose il signor GASPARO, sopra le quali noi possiam far giu

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dicio, che non siano nè parole nè opere? - Disse allor messer FEDERICO: Voi siete troppo sottile loico. Ma per dirvi come io intendo, si trovano alcune operazioni, che, poi che son fatte, restano ancora, come l'edificare, scrivere ed altre simili; altre non restano, come quelle di che io voglio ora intendere: però non chiamo in questo proposito che 'l passeggiare, ridere, guardare, e tai cose, siano operazioni; e pur tutto questo di fuori dà notizia spesso di quel dentro. Ditemi, non faceste voi giudicio che fosse un vano e leggier uomo quello amico nostro, del quale ragionammo pur questa mattina, subito che lo vedeste passeggiar con quel torzer di capo, dimenandosi tutto, ed invitando con aspetto benigno la brigata a cavarsegli la berretta? Cosi ancora quando vedete uno che guarda troppo intento con gli occhi stupidi a foggia d'insensato, o che rida cosi scioccamente come que' mutoli gozzuti delle montagne di Bergamo, avvenga che non parli o faccia altro, non lo tenete voi per un gran babuasso? Vedete adunque che questi modi e costumi, che io non intendo per ora che siano operazioni, fanno in gran parte che gli uomini sian conosciuti.

XXIX. Ma un'altra cosa parmi che dia e lievi molto la riputazione, e questa è la elezion degli amici coi quali si ha da tenere intrinseca pratica; perchè indubitatamente la ragion vuol, che di quelli che sono con stretta amicizia ed indissolubil compagnia congiunti, siano ancor le volontà, gli animi, i giudicii e gl' ingegni conformi. Così chi conversa con ignoranti o mali, è tenuto per ignorante o malo; e per contrario chi conversa con buoni e savii e discreti, è tenuto per tale: chè da natura par che ogni cosa volentieri si congiunga col suo simile. Però gran riguardo credo che si convenga aver nel cominciar queste amicizie, perchè di dui stretti amici chi conosce l'uno, subito imagina l'altro esser della medesima condizione. Rispose allor messer PIETRO BEMBO: Del ristringersi in amicizia così unanime, come voi dite, parmi veramente che si debba aver assai riguardo, non solamente per l'acquistar o perdere la riputazione, ma perchè oggidi pochissimi veri amici si trovano, nè credo che più siano al mondo quei Piladi ed Oresti, Tesei e Piritoi, nè Scipioni e

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