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modo si debbano usare; chè questo è quello che 'l signor Prefetto v' addimanda.

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XLIV. Allor messer FEDERICO, pur ridendo, disse: Non è alcun qui di noi al qual io non ceda in ogni cosa, e massimamente nell' esser faceto; eccetto se forse le sciocchezze, che spesso fanno rider altrui più che i bei detti, non fossero esse ancora accettate per facezie. E cosi, voltandosi al conte Ludovico ed a messer Bernardo Bibiena, disse: Eccovi i maestri di questo; dai quali, s' io ho da parlare de' detti giocosi, bisogna che prima impari ciò che m'abbia a dire.— Rispose il conte LUDOVICO: A me pare che già cominciate ad usar quello di che dite non saper niente, cioè di voler far ridere questi signori, burlando messer Bernardo e me; perchè ognun di lor sa, che quello di che ci laudate, in voi è molto più eccellentemente. Però se siete faticato, meglio è dimandar grazia alla signora Duchessa, che faccia differire il resto del ragionamento a domani, che voler con inganni sutterfugger la fatica. Cominciava messer Federico a rispondere; ma la signora EMILIA subito l'interruppe e disse: Non è l'ordine, che la disputa se ne vada in laude vostra; basta che tutti siete molto ben conosciuti. Ma perchè ancor mi ricordo che voi, Conte, jersera mi deste imputazione ch' io non partiva egualmente le fatiche, sarà bene che messer FEDERICO si riposi un poco, e 'l carico del parlar delle facezie daremo a messer Bernardo Bibiena, perchè non solamente nel ragionar continuo lo conoscemo facetissimo, ma avemo a memoria che di questa materia più volte ci ha promesso voler scrivere, e però possiam creder che già molto ben vi abbia pensato, e per questo debba compiutamente satisfarci. Poi, parlato che si sia delle facezie, messer Federico - Allor seguirà in quello che dir gli avanza del Cortegiano. messer FEDERICO disse: Signora, non so ciò che più mi avanzi; ma io, a guisa di viandante già stanco dalla fatica del lungo camminare a mezzo giorno, riposerommi nel ragionar di messer Bernardo al suon delle sue parole, come sotto qualche amenissimo ed ombroso albero al mormorar soave d'un vivo fonte; poi forse, un poco ristorato, potrò dir qualche altra cosa. - Rispose, ridendo, messer BERNARDO: S'io

vi mostro il capo, vederete che ombra si può aspettar dalle foglie del mio albero. Di sentire il mormorio di quel fonte vivo, forse vi verrà fatto, perch'io fui già converso in un fonte, non d' alcuno degli antichi Dei, ma dal nostro Fra Mariano, e da indi in qua mai non m' è mancata l'acqua. · Allor ognun cominciò a ridere, perchè questa piacevolezza, di che messer Bernardo intendeva, essendo intervenuta in Roma alla presenza di Galeotto cardinale di san Pietro in Vincula, a tutti era notissima.

XLV. Cessato il riso, disse la signora EMILIA: Lasciate voi adesso il farci ridere con l'operar le facezie, e a noi insegnate come l'abbiamo ad usare, e donde si cavino, e tutto quello che sopra questa materia voi conoscete. E, per non perder più tempo, cominciate omai. - Dubito, disse messer BERNARDO, che l'ora sia tarda; ed acciò che 'l mio parlar di facezie non sia infaceto e fastidioso, forse buon sarà differirlo insino a domani. Quivi subito risposero molti, non esser ancor, nè a gran pezza, l'ora consueta di dar fine al ragionare. Allora, rivoltandosi messer BERNARDO alla signora Duchessa ed alla signora Emilia, Io non voglio fuggir, disse, questa fatica; bench' io, come soglio maravigliarmi dell'audacia di color che osano cantar alla viola in presenza del nostro Jacomo Sansecondo, cosi non devrei in presenza d'auditori che molto meglio intendon quello che io ho a dire che io stesso, ragionar delle facezie. Pur, per non dar causa ad alcuno di questi signori di ricusar cosa che imposta loro sia, dirò quanto più brevemente mi sarà possibile ciò che mi occorre circa le cose che movono il riso; il qual tanto a noi è proprio, che per descriver l'uomo, si suol dir che egli è un animal risibile: perchè questo riso solamente negli uomini si vede, ed è quasi sempre testimonio d'una certa ilarità che dentro si sente nell' animo, il qual da natura è tirato al piacere, ed appetisce il riposo e 'l recrearsi; onde veggiamo molte cose dagli uomini ritrovate per questo effetto, come le feste, e tante varie sorti di spettacoli. E perchè noi amiamo que' che son causa di tal nostra recreazione, usavano i re antichi, i Romani, gli Ateniesi, e molti altri, per acquistar la benivolenza dei popoli, e pascer gli occhi

e gli animi della moltitudine, far magni teatri ed altri publici edificii; ed ivi mostrar nuovi giochi, corsi di cavalli e di carrette, combattimenti, strani animali, comedie, tragedie e moresche; nè da tal vista erano alieni i severi filosofi, che spesso e coi spettacoli di tal sorte e conviti rilasciavano gli animi affaticati in quegli alti lor discorsi e divini pensieri; la qual cosa volentier fanno ancor tutte le qualità d' uomini: chè non solamente i lavoratori de' campi, i marinari, e tutti quelli che hanno duri ed asperi esercizii alle mani, ma i santi religiosi, i prigionieri che d'ora in ora aspettano la morte, pur vanno cercando qualche rimedio e medicina per recrearsi. Tutto quello adunque che move il riso, esilara l'animo e dà piacere, nè lascia che in quel punto l'uomo si ricordi delle nojose molestie, delle quali la vita nostra è piena. Però a tutti, come vedete, il riso è gratissimo, ed è molto da laudare chi lo move a tempo e di buon modo. Ma che cosa sia questo riso, e dove stia, ed in che modo talor occupi le vene, gli occhi, la bocca e i fianchi, e par che ci voglia far scoppiare, tanto che per forza che vi mettiamo, non è possibile tenerlo, lasciarò disputare a Democrito; il quale, se forse ancor lo promettesse, non lo saprebbe dire.

XLVI. II loco adunque e quasi il fonte onde nascono i ridicoli consiste in una certa deformità; perchè solamente si ride di quelle cose che hanno in sè disconvenienza, e par che stian male, senza però star male. Io non so altrimenti dichiarirlo; ma se voi da voi stessi pensate, vederete che quasi sempre quel di che si ride è una cosa che non si conviene, e pur non sta male. Quali adunque siano quei modi che debba usar il Cortegiano per mover il riso, e fin a che termine, sforzerommi di dirvi, per quanto mi mostrerà il mio giudicio; perchè il far rider sempre non si convien al Cortegiano, nè ancor di quel modo che fanno i pazzi e gl'imbriachi, ed i sciocchi ed inetti, e medesimamente i buffoni; e benchè nelle corti queste sorti d' uomini par che si richieggano, pur non meritano esser chiamati Cortegiani, ma ciascun per lo nome suo, ed estimati tali quai sono. 11 termine e misura di far ridere mordendo bisogna ancor es

ser diligentemente considerato, e chi sia quello che si morde; perchè non s' induce riso col dileggiar un misero e calamitoso, nè ancora un ribaldo e scelerato publico: perchè questi par che meritino maggior castigo che l'esser burlati; e gli animi umani non sono inclinati a beffar i miseri, eccetto se quei tali nella sua infelicità non si vantassero, e fossero superbi e prosuntuosi. Deesi ancora aver rispetto a quei che sono universalmente grati ed amati da ognuno e potenti, perchè talor col dileggiar questi poria l' uom acquistarsi inimicizie pericolose. Però conveniente cosa è beffare e ridersi dei vizii collocati in persone nè misere tanto che movano compassione, nè tanto scelerate che paja che meritino esser condennate a pena capitale, nè tanto grandi che un loro piccol sdegno possa far gran danno.

XLVII. Avete ancor a sapere, che dai lochi donde si cavano motti da ridere, si posson medesimamente cavare sentenze gravi, per laudare e per biasimare, e talor con le medesime parole: come, per laudar un uomo liberale, che metta la roba sua in commune con gli amici, suolsi dire che ciò ch' egli ha non è suo; il medesimo si può dir per biasimo d' uno che abbia rubato, o per altre male arti acquistato quel che tiene. Dicesi ancor: Colei è una donna d'assai, volendola laudar di prudenza e bontà; il medesimo poria dir chi volesse biasimarla, accennando che fosse donna di molti. Ma più spesso occorre servirsi dei medesimi lochi a questo proposito, che delle medesime parole: come a questi di, stando a messa in una chiesa tre cavalieri ed una signora, alla quale serviva d'amore uno dei tre, comparve un povero mendico, e postosi avanti alla signora, cominciolle a domandare elimosina; e cosi con molta importunità e voce lamentevole gemendo replicò più volte la sua domanda: pur con tutto questo, essa non gli diede mai elimosina, nè ancor gliela negò con fargli segno che s' andasse con Dio, ma stette sempre sopra di sè, come se pensasse in altro. Disse allor il cavalier inamorato a' dui compagni: Vedete ciò ch'io posso sperare dalla mia signora, che è tanto crudele, che non solamente non dà elimosina a quel poveretto ignudo morto di fame, che con tanta passion e tante volte a lei la domanda,

ma non gli då pur licenza; fanto gode di vedersi inanzi una persona che languisca in miseria, e in van le domandi mercede. Rispose un dei dui: Questa non è crudeltà, ma un tacito ammaestramento di questa signora a voi, per farvi conoscere che essa non compiace mai a chi le domanda con molta importunità. Rispose l'altro: Anzi è un avvertirlo, che ancor ch' ella non dia quello che se le domanda, pur le piace d'esserne pregata. Eccovi, dal non aver quella signora dato licenza al povero, nacque un detto di severo biasimo, uno di modesta laude, ed un altro, di gioco mordace.

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XLVIII. Tornando adunque a dechiarire le sorti delle facezie appartenenti al proposito nostro, dico che, secondo me, di tre maniere se ne trovano, avvenga che messer Federico solamente di due abbia fatto menzione: cioè di quella urbana e piacevole narrazion continuata, che consiste nell'effetto d'una cosa; e della subita ed arguta prontezza, che consiste in un detto solo. Però noi ve ne giungeremo la terza sorte, che chiamamo burle; nelle quali intervengon le narrazioni lunghe, e i detti brevi, ed ancor qualche operazione. Quelle prime adunque, che consistono nel parlar continuato, son di maniera tale, quasi che l' uomo racconti una novella. E, per darvi un esempio: In que' proprii giorni che mori papa Alessandro Sesto, e fu creato Pio Terzo, essendo in Roma e nel palazzo messer Antonio Agnello, vostro mantuano, signora Duchessa, e ragionando appunto della morte dell'uno e creazion dell' altro, e di ciò facendo varii giudicii con certi suoi amici, disse: Signori, fin al tempo di Catullo cominciarono le porte a parlare senza lingua ed udir senza orecchie, ed in tal modo scoprir gli adulterii; ora, se ben gli uomini non sono di tanto valor com'erano in que' tempi, forse che le porte, delle quai molte, almen qui in Roma, si fanno de' marmi antichi, hanno la medesima virtù che aveano allora; ed io per me credo che queste due ci saprian chiarir tutti i nostri dubii, se noi da loro i volessimo sapere. lor quei gentiluomini stettero assai sospesi, ed aspettavano dove la cosa avesse a riuscire; quando messer Antonio, seguitando pur l'andar inanzi e 'ndietro, alzò gli occhi, come

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