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LIV. Soggiunse allor messer BERNARDO: Le affettazioni poi mediocri fanno fastidio; ma quando son fuor di misura, inducono da ridere assai: come talor se ne sentono di bocca d'alcuni circa la grandezza, circa l'esser valente, circa la nobilità; talor di donne circa la bellezza, circa la delicatura. Come a questi giorni fece una gentildonna, la qual stando in una gran festa di mala voglia e sopra di sè, le fu domandato a che pensava, che star la facesse cosi mal contenta; ed essa rispose: Io pensava ad una cosa, che sempre che mi si ricorda mi dà grandissima noja, nè levar me la posso del core; e questo è, che avendo il di del giudicio universale tutti i corpi a resuscitare e comparir ignudi inanzi al tribunal di Cristo, io non posso tolerar l' affanno che sento, pensando che il mio ancor abbia ad esser veduto ignudo. — Queste tali affettazioni, perchè passano il grado, inducono più riso che fastidio. Quelle belle bugie mo, così ben assettate, come movano a ridere, tutti lo sapete. E quell'amico nostro, che non ce ne lassa mancare, a questi di me ne raccontò una molto eccellente.

LV. Disse allora il Magnifico JULIANO: Sia come si vuole, nè più eccellente nè più sottile non può ella esser di quella che l'altro giorno per cosa certissima affermava un nostro Toscano, mercatante lucchese. - Ditela, — soggiunse la signora DUCHESSA. Rispose il Magnifico JULIANO, ridendo: Questo mercatante, siccome egli dice, ritrovandosi una volta in Polonia, deliberò di comperare una quantità di zibellini, con opinion di portargli in Italia e farne un gran guadagno; e dopo molte pratiche, non potendo egli stesso in persona andar in Moscovia, per la guerra che era tra 'l re di Polonia e 'l duca di Moscovia, per mezzo d' alcuni del paese ordinò che un giorno determinato certi mercatanti moscoviti coi lor zibellini venissero ai confini di Polonia, e promise esso ancor di trovarvisi, per praticar la cosa. Andando adunque il Lucchese coi suoi compagni verso Moscovia, giunse al Boristene, il qual trovò tutto duro di ghiaccio come un marmo, e vide che i Moscoviti, li quali per lo sospetto della guerra dubitavano essi ancor de' Poloni, erano giá su l'altra riva, ma non s'accostavano, se non quanto era

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largo il fiume. Cosi conosciutisi l'un l'altro, dopo alcuni cenni, li Moscoviti cominciarono a parlar alto, e domandar il prezzo che volevano dei loro zibellini, ma tanto era estremo il freddo, che non erano intesi; perchè le parole, prima che giungessero all' altra riva, dove era questo Lucchese e i suoi interpreti, si gielavano in aria, e vi restavano ghiacciate e prese di modo, che quei Poloni che sapeano il costume, presero per partito di far un gran foco proprio al mezzo del fiume, perchè, al lor parere, quello era il termine dove giungeva la voce ancor calda prima che ella fosse dal ghiaccio intercetta; ed ancora il fiume era tanto sodo, che ben poteva sostenere il foco. Onde, fatto questo, le parole, che per spazio d' un'ora erano state ghiacciate, cominciarono a liquefarsi e discender giù mormorando, come la neve dai monti il maggio; e così subito furono intese benissimo, benchè già gli uomini di là fossero partiti: ma perchè a lui parve che quelle parole dimandassero troppo gran prezzo per i zibellini, non volle accettare il mercato, e cosi se ne ritornò

senza.

LVI. Risero allora tutti: e messer BERNARDO, In vero, disse, quella ch'io voglio raccontarvi non è tanto sottile; pur è bella, ed è questa. Parlandosi pochi di sono del paese o Mondo novamente trovato dai marinari portoghesi, e dei varii animali e d'altre cose che essi di colà in Portogallo ripórtano, quello amico del qual v'ho detto affermò, aver veduto una scimia di forma diversissima da quelle che noi siamo usati di vedere, la quale giocava a scacchi eccellentissimamente; e, tra l'altre volte, un di essendo inanzi al re di Portogallo il gentiluom che portata l'avea, e giocando con lei a scacchi, la scimia fece alcuni tratti sottilissimi, di sorte che lo strinse molto; in ultimo gli diede scaccomatto: perchè il gentiluomo turbato, come soglion esser tutti quelli che perdono a quel gioco, prese in mano il re, che era assai grande, come usano i Portoghesi, e diede in su la testa alla scimia una grande scaccata; la qual subito saltò da banda, lamentandosi forte, e parea che domandasse ragione al re del torto che le era fatto. Il gentiluomo poi la reinvitò a giocare; essa avendo alquanto ricusato con cenni, pur si

pose a giocar di nuovo, e, come l'altra volta avea fatto, cosi questa ancora lo ridusse a mal termine: in ultimo, vedendo la scimia poter dar scaccomatto al gentiluom, con una nuova malizia volse assicurarsi di non esser più battuta; e chetamente, senza mostrar che fosse suo fatto, pose la man destra sotto 'l cubito sinistro del gentiluomo, il qual esso per delicatura riposava sopra un guancialetto di taffettà, e prestamente levatoglielo, in un medesimo tempo con la man sinistra gliel diede matto di pedina, e con la destra si pose il guancialetto in capo, per farsi scudo alle percosse; poi fece un salto inanti al re allegramente, quasi per testimonio della vittoria sua. Or vedete se questa scimia era savia, avveduta e prudente. Allora messer CESARE Gonzaga, Questa, è forza, disse, che tra l'altre scimie fosse dottore, e di molta autorità; e penso che la Republica delle Scimie Indiane la mandasse in Portogallo per acquistar reputazione in paese incognito. Allora ognun rise e della bugia, e della aggiunta fattagli per messer Cesare.

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LVII. Così, seguitando il ragionamento, disse messer BERNARDO: Avete adunque inteso delle facezie che sono nell'effetto e parlar continuato, ciò che m'occorre; perciò ora è ben dire di quelle che consistono in un detto solo, ed hanno quella pronta acutezza posta brevemente nella sentenza o nella parola e siccome in quella prima sorte di parlar festivo s'ha da fuggir, narrando ed imitando, di rassimigliarsi ai buffoni e parasiti, ed a quelli che inducono altrui a ridere per le lor sciocchezze; cosi in questo breve devesi guardare il Cortegiano di non parer maligno e velenoso, e dir motţi ed arguzie solamente per far dispetto e dar nel core; perchè tali uomini spesso per difetto della lingua meritamente hanno castigo in tutto 'l corpo.

LVIII. Delle facezie adunque pronte, che stanno in un breve detto, quelle sono acutissime, che nascono dalla ambiguità; benchè non sempre inducono a ridere, perchè più presto sono laudate per ingeniose che per ridicole: come pochi di sono disse il nostro messer Annibal Paleotto ad uno che gli proponea un maestro per insegnar grammatica a' suoi figlioli, e poi che gliel' ebbe laudato per molto dotto,

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venendo al salario disse, che oltre ai denari volea una camera fornita per abitare e dormire, perchè esso non avea letto: allor messer Annibal subito rispose: E come può egli esser dotto, se non ha letto? - Eccovi come ben si valse del vario significato di quel non aver letto. Ma perchè questi motti ambigui hanno molto dell'acuto, per pigliar l'uomo le parole in significato diverso da quello che le pigliano tutti gli altri, pare, come ho detto, che più presto movano maraviglia che riso, eccetto quando sono congiunti con altra maniera di detti. Quella sorte adunque di motti che più s'usa per far ridere è quando noi aspettiamo d'udir una cosa, e colui che risponde ne dice un' altra, e chiamasi fuor d' opinione. E se a questo è congiunto lo ambiguo, il motto diventa salsissimo; come l' altr' jeri, disputandosi di fare un bel mattonato nel camerino della signora Duchessa, dopo molte parole voi, Joanni Cristoforo, diceste: Se noi potessimo avere il vescovo di Potenza, e farlo ben spianare, saria molto a proposito, perchè egli è il più bel matto nato ch'io vedessi mai. Ognun rise molto, perchè dividendo quella parola matto nato faceste lo ambiguo; poi dicendo che si avesse a spianare un vescovo, e metterlo per pavimento d'un camerino, fu fuor di opinione di chi ascoltava; così riusci il motto argutissimo e risibile.

LIX. Ma dei motti ambigui sono molte sorti; però bisogna essere avvertito, ed uccellar sottilissimamente alle parole, e fuggir quelle che fanno il motto freddo, o che paja che siano tirate per i capelli; ovvero, secondo che avemo detto, che abbian troppo dello acerbo. Come ritrovandosi alcuni compagni in casa d'un loro amico, il quale era cieco da un occhio, e invitando quel cieco la compagnia a restar quivi a desinare, tutti si partirono eccetto uno; il qual disse: Ed io vi restarò, perchè veggo esserci vuoto il loco per uno; e cosi col dito mostrò quella cassa d'occhio vuola. Vedete che questo è acerbo e discortese troppo, perchė morse colui senza causa, e senza esser stato esso prima punto, e disse quello che dir si poria contra tutti i ciechi; e tai cose universali non dilettano, perchè pare che possano essere pensate. E di questa sorte fu quel detto ad un senza

naso: E dove appicchi tu gli occhiali? -o: Con che fiuti tu l'anno le rose?

LX. Ma tra gli altri motti, quegli hanno bonissima grazia, che nascono quando dal ragionar mordace del compagno l'uomo piglia le medesime parole nel medesimo senso, e contra di lui le rivolge, pungendolo con le sue proprie arme; come un litigante, a cui in presenza del giudice dal suo avversario fu detto: Che baji tu?- subito rispose: Perchè veggo un ladro.- E di questa sorte fu ancor, quando Galeotto da Narni, passando per Siena, si fermò in una strada a domandar dell' ostaria; e vedendolo un Sanese cosi corpulento come era, disse ridendo: Gli altri portano le bolgie dietro, e costui le porta davanti.-Galeotto subito rispose: Cosi si fa in terra di ladri.

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LXI. Un'altra sorte è ancor, che chiamiamo bischizzi, e questa consiste nel mutare ovvero accrescere o minuire una lettera o sillaba; come colui che disse: Tu dei esser più dotto nella lingua latrina che nella greca. Ed a voi, Signora, fu scritto nel titolo d' una lettera: Alla signora Emilia Impia.— È ancora faceta cosa interporre un verso o più, pigliandolo in altro proposito che quello che lo piglia l'autore, o qualche altro detto volgato; talor al medesimo proposito, ma mutando qualche parola: come disse un gentiluomo che avea una brutta e dispiacevole moglie, essendogli dimandato come stava, rispose: Pensalo tu, chè Furiarum maxima juxta me cubat. - E messer Jeronimo Donato, andando alle Stazioni di Roma la Quadragesima insieme con molti altri gentiluomini, s'incontrò in una brigata di belle donne romane, e dicendo uno di quei gentiluomini :

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Quot cœlum stellas, tot habet tua Roma puellas;

subito soggiunse:

Pascua quotque hædos, tot habet tua Roma cinados, mostrando una compagnia di giovani, che dall' altra banda venivano. Disse ancora messer Marc'Antonio dalla Torre al vescovo di Padoa di questo modo. Essendo un monasterio di donne in Padoa sotto la cura d'un religioso estimato

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