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quella pericolosa e desiderata liberazione. Però non dovete già allegar questa per una di quelle donne, che sono state causa di tanti beni. - Rispose il MAGNIFICO: Io la allego per una di quelle che fanno testimonio, che si trovino mogli che amino i mariti; chè di quelle che siano state causa di molti beni al mondo potrei dirvi un numero infinito, e narrarvi delle tanto antiche che quasi pajon fabule, e di quelle che appresso agli uomini sono state inventrici di tai cose, che hanno meritato esser estimate Dee, come Pallade, Cerere; e delle Sibille, per bocca delle quali Dio tante volte ha parlato e rivelato al mondo le cose che aveano a venire; e di quelle che hanno insegnato a grandissimi uomini, come Aspasia e Diotima, la quale ancora con sacrificii prolungò dieci anni il tempo d'una peste che aveva da venire in Atene. Potrei dirvi di Nicostrata, madre d' Evandro, la quale mostrò le lettere ai Latini; e d'un'altra donna ancor, che fu maestra di Pindaro lirico; e di Corinna e di Saffo, che furono eccellentissime in poesia: ma io non voglio cercar le cose tanto lontane. Dicovi ben, lasciando il resto, che della grandezza di Roma furono forse non minor causa le donne che gli uomini. Questo, disse il signor GASPARO, sarebbe bello da

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XXIX. Rispose il MAGNIFICO: Or uditelo. Dopo la espugnazion di Troja molti Trojani, che a tanta ruina avanzarono, fuggirono chi ad una via chi ad un'altra; dei quali una parte, che da molte procelle furono battuti, vennero in Italia, nella contrata ove il Tevere entra in mare. Così discesi in terra per cercar de' bisogni loro, cominciarono a scorrere il paese: le donne, che erano restate nelle navi, pensarono tra sè un utile consiglio, il qual ponesse fine al pericoloso e lungo error maritimo, ed in loco della perduta patria una nuova loro ne recuperasse; e, consultate insieme, essendo absenti gli uomini, abrusciarono le navi; e la prima che tal opera cominciò, si chiamava Roma. Pur temendo la iracondia degli uomini i quali ritornavano, andarono contra essi; ed alcune i mariti, alcune i suoi congiunti di sangue abbracciando e basciando con segno di benivolenza, mitigarono quel primo impeto; poi manifestarono loro quietamente la

ausa del lor prudente pensiero. Onde i Trojani, si per la necessità, si per esser benignamente accettati dai paesani, Turono contentissimi di ciò che le donne avean fatto, e quivi abitarono coi Latini, nel loco dove poi fu Roma; e da questo processe il costume antico appresso i Romani, che le donne incontrando basciavano i parenti. Or vedete quanto queste donne giovassero a dar principio a Roma.

XXX. Nè meno giovarono allo augumento di quella le donne sabine, che si facessero le trojane al principio: chè avendosi Romolo concitato generale inimicizia di tutti i suoi vicini per la rapina che fece delle lor donne, fu travagliato di guerre da ogni banda; delle quali, per esser uomo valoroso, tosto s'espedi con vittoria, eccetto di quella de' Sabini, che fu grandissima, perchè Tito Tazio re de' Sabini era valentissimo e savio: onde essendo stato fatto uno acerbo fatto d'arme tra Romani e Sabini, con gravissimo danno dell'una e dell'altra parte, ed apparecchiandosi nuova e crudel battaglia, le donne sabine, vestite di nero, co' capelli sparsi e lacerati, piangendo, meste, senza timore dell'arme che già erano per ferir mosse, vennero nel mezzo tra i padri e i mariti, pregandogli che non volessero macchiarsi le mani del sangue de' soceri e dei generi; e se pur erano mal contenti di tal parentato, voltassero l'arme contra esse, chè molto meglio loro era il morire che vivere vedove, o senza padri e fratelli, e ricordarsi che i suoi figlioli fossero nati di chi loro avesse morti i lor padri, o che esse fossero nate di chi lor avesse morti i lor mariti. Con questi gemiti piangendo, molte di loro nelle braccia portavano i suoi piccoli figliolini, dei quali già alcuni cominciavano a snodar la lingua, e parea che chiamar volessero e far festa agli avoli loro; ai quali le donne mostrando i nepoti, e piangendo, Ecco, diceano, il sangue vostro, il quale voi con tanto impeto e furor cercate di sparger con le vostre mani. Tanta forza ebbe in questo caso la pietà e la prudenza delle donne, che non solamente tra li doi re nemici fu fatta indissolubile amicizia e confederazione, ma, che più maravigliosa cosa fu, vennero i Sabini ad abitare in Roma, e dei dui popoli fu fatto un solo; e così molto accrebbe questa concordia le forze di Roma, mercè

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delle saggie e magnanime donne; le quali in tanto da Romolo furono remunerate, che, dividendo il popolo in trenta curie, a quelle pose i nomi delle donne Sabine.

XXXI. Quivi essendosi un poco il Magnifico JULIANO fermato, e vedendo che 'l signor Gasparo non parlava, Non vi par, disse, che queste donne fossero causa di bene agli loro uomini, e giovassero alla grandezza di Roma? Rispose il signor GASPARO: In vero queste furono degne di molta laude; ma se voi cosi voleste dir gli errori delle donne come le buone opere, non areste taciuto che in questa guerra di Tito Tazio una donna tradi Roma, ed insegnò la strada ai nemici d'occupar il Capitolio, onde poco mancò che i Romani tutti non fossero distrutti. - Rispose il Magnifico JULIANO: Voi mi fate menzion d'una sola donna mala, ed io a voi d'infinite buone; ed, oltre le già dette, io potrei addurvi al mio proposito mille altri esempii delle utilità fatte a Roma dalle donne, e dirvi perchè già fosse edificato un tempio a Venere Armata, ed un altro a Venere Calva, e come ordinata la festa delle Ancille a Junone, perchè le ancille già liberarono Roma dalle insidie de'nemici. Ma, lasciando tutte queste cose, quel magnanimo fatto d'aver scoperto la congiurazion di Catilina, di che tanto si lauda Cicerone, non ebbe egli principalmente origine da una vil femina? la quale per questo si poria dir che fosse stata causa di tutto 'l bene che si vanta Cicerone aver fatto alla republica romana. E se'l tempo mi bastasse, vi mostrarei forse ancor le donne spesso aver corretto di molti errori degli uomini; ma temo che questo mio ragionamento ormai sia troppo lungo e fastidioso: perchè avendo, secondo il poter mio, satisfatto al carico datomi da queste signore, penso di dar loco a chi dica cose più degne d'esser udite, che non posso dir io.

XXXII. Allor la signora EMILIA, Non defraudate, disse, le donne di quelle vere laudi che loro sono debite; e ricordatevi che se 'l signor Gasparo, ed ancor forse il signor Ottaviano, vi odono con fastidio, noi, e tutti quest' altri signori, vi udiamo con piacere.-II MAGNIFICO pur volea por fine, ma tutte le donne cominciarono a pregarlo che dicesse: onde egli ridendo, Per non mi provocar, disse, per nemico il si

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gnor Gaspar più di quello che egli si sia, dirò brevemente d'alcune che mi occorrono alla memoria, lasciandone molte ch' io potrei dire; poi soggiunse: Essendo Filippo di Demetrio intorno alla città di Chio, ed avendola assediata, mandò un bando, che a tutti i servi che della città fuggivano, ed a sẻ venisseró, prometteva la libertà, e le mogli dei lor patroni. Fu tanto lo sdegno delle donne per così ignominioso bando, che con l'arme vennero alle mura, e tanto ferocemente combatterono, che in poco tempo scacciarono Filippo con vergogna e danno; il che non aveano potuto far gli uomini. Queste medesime donne essendo coi lor mariti, padri e fratelli, che andavano in esilio, pervenute in Leuconia, fecero un atto non men glorioso di questo: chè gli Eritrei, che ivi erano co' suoi confederati, mossero guerra a questi Chii; li quali non potendo contrastare, tolsero patto col giuppon solo e la camiscia uscir della città. Intendendo le donne così vituperoso accordo, si dolsero, rimproverandogli che lasciando l'arme uscissero come ignudi tra nemici; e rispondendo essi, già aver stabilito il patto, dissero che portassero lo scudo e la lanza e lasciassero i panni, e rispondessero ai nemici, questo essere il loro abito. E così facendo essi per consiglio delle lor donne ricopersero in gran parte la vergogna, che in tutto fuggir non poteano. Avendo ancor Ciro in un fatto d'arme rotto un esercito di Persiani, essi in fuga correndo verso la città incontrarono le lor donne fuor della porta, le quali fattesi loro incontra, dissero: Dove fuggite voi, vili uomini? volete voi forse nascondervi in noi, onde sete usciti? Queste ed altre tai parole udendo gli uomini, e conoscendo quanto d'animo erano inferiori alle lor donne, si vergognarono di sè stessi, e ritornando verso i nemici, di nuovo con essi combatterono, e gli ruppero.

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XXXIII. Avendo insin qui detto il Magnifico JULIANO, fermossi, e, rivolto alla signora Duchessa, disse: Or, Signora, mi darete licenza di tacere. Rispose il signor GASPA

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RO: Bisogneravi pur tacere, poichè non sapete più che vi dire. Disse il MAGNIFICO ridendo: Voi mi stimolate di modo, che vi mettete a pericolo di bisognar tutta notte udir

laudi di donne; ed intendere di molte Spartane, che hanno avuta cara la morte gloriosa dei figlioli; e di quelle che gli hanno rifiutati, o morti esse medesime, quando gli hanno veduti usar viltà. Poi, come le donne Saguntine nella ruina della patria loro prendessero l'arme contra le genti d'Annibale; e come essendo lo esercito de' Tedeschi superato da Mario, le lor donne, non potendo ottener grazia di viver libere in Roma al servizio delle Vergini Vestali, tutte s'ammazzassero insieme coi lor piccoli figliolini; e di mille altre, delle quali tutte le istorie antiche son piene. Allora il signor GASPARO, Deh, signor Magnifico, disse, Dio sa come passarono quelle cose; perchè que' secoli son tanto da noi lontani, che molte bugie si posson dire, e non v'è chi le riprovi.

XXXIV. Disse il MAGNIFICO: Se in ogni tempo vorrete misurare il valor delle donne con quel degli uomini, trovarete che elle non son mai state nè ancor sono adesso di virtù punto inferiori agli uomini: chè, lasciando quei tanto antichi, se venite al tempo che i Goti regnarono in Italia, trovarete tra loro essere stata una regina Amalasunta, che governo lungamente con maravigliosa prudenza; poi Teodelinda, regina de' Longobardi, di singolar virtù; Teodora, greca imperatrice; ed in Italia fra molte altre fu singolarissima signora la contessa Matilda, delle laudi della quale lasciarò parlare al conte Ludovico, perchè fu della casa sua. Anzi, disse il CONTE, a voi tocca, perchè sapete ben che non conviene che l'uomo laudi le cose sue proprie. Soggiunse il MAGNIFICO: E quante donne famose ne' tempi passati trovate voi di questa nobilissima casa di Montefeltro! quante della casa Gonzaga, da Este, de' Pii! Se de' tempi presenti poi parlare vorremo, non ci bisogna cercar esempii troppo di lontano, che gli avemo in casa. Ma io non voglio ajutarmi di quelle che in presenza vedemo, acciò che voi non mostriate consentirmi per cortesia quello che in alcun modo negar non mi potete. E, per uscir di Italia, ricordatevi che a' di nostri avemo veduto Anna regina di Francia, grandissima signora non meno di virtù che di stato; che se di giustizia e clemenza, liberalità e santità di vita, comparare la

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