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risvegliato nell' animo mio il gioco proposto dal signor Ottaviano, avendo ragionato de' sdegni d' amore: i quali, avvenga che varii siano, pur a me sono essi sempre stati acerbissimi, nè da me credo che si potesse imparar condimento bastante per addolcirgli; ma forse sono più e meno amari secondo la causa donde nascono. Chè mi ricordo già aver veduto quella donna ch'io serviva, verso me turbata o per sospetto vano che da sè stessa della fede mia avesse preso, ovvero per qualche altra falsa opinione in lei nata dalle altrui parole a mio danno; tanto ch' io credeva niuna pena alla mia potersi agguagliare, e parevami che'l maggior dolor ch'io sentiva fosse il patire non avendolo meritato, ed aver questa afflizione non per mia colpa, ma per poco amor di lei. Altre volte la vidi sdegnata per qualche error mio, e conobbi l'ira sua proceder dal mio fallo; ed in quel punto giudicava che 'l passato mal fosse stato levissimo a rispetto di quello ch'io sentiva allora; e pareami che l'esser dispiaciuto, e per colpa mia, a quella persona alla qual sola io desiderava e con tanto studio cercava di piacere, fosse il maggior tormento e sopra tutti gli altri. Vorrei adunque che 'l gioco nostro fosse, che ciascun dicesse, avendo ad esser sdegnata seco quella persona ch'egli ama, da chi vorrebbe che nascesse la causa dello sdegno, o da lei, o da sè stesso: per saper qual è maggior dolore, o far dispiacere a chi s' ama, o riceverlo pur da chi s' ama.—

XII. Attendeva ognun la risposta della signora Emilia; la qual non facendo altrimenti motto al Bembo, si volse, e fece segno a messer FEDERIGO FREGOSO che 'l suo gioco dicesse; ed esso subito cosi cominciò: Signora, vorrei che mi fosse licito, come qualche volta si suole, rimettermi alla sentenza d'un altro; ch' io per me volentieri approvarei alcun deʼgiochi proposti da questi signori, perchè veramente parmi che tutti sarebbon piacevoli: pur, per non guastar l'ordine, dico, che chi volesse laudar la corte nostra, lasciando ancor i meriti della signora Duchessa, la qual cosa con la sua divina virtù basteria per levar da terra al cielo i più bassi spiriti che siano al mondo, ben poria senza sospetto d'adulazion dire, che in tutta Italia forse con fatica si ritrovariano altrettanti cavalieri cosi singolari, ed, oltre alla principal profession della

cavalleria, così eccellenti in diverse cose, come or qui si rítrovano: però, se in loco alcuno son uomini che meritino esser chiamati buon Cortegiani, e che sappiano giudicar quello che alla perfezion della Cortegianía s'appartiene, ragionevolmente s' ha da creder che qui siano. Per reprimere adunque molti sciocchi, i quali per esser prosuntuosi ed inetti si credono acquistar nome di buon Cortegiano, vorrei che'l gioco di questa sera fosse tale, che si eleggesse uno della compagnia, ed a questo si desse carico di formar con parole un perfetto Cortegiano, esplicando tutte le condizioni e particolar qualità che si richieggono a chi merita questo nome; ed in quelle cose che non pareranno convenienti sia licito a ciascun contradire, come nelle scole de' filosofi a chi tien conclusioni.— Seguitava ancor più oltre il suo ragionamento messer Federico, quando la signora EMILIA, interrompendolo, Questo, disse, se alla signora Duchessa piace, sarà il gioco nostro per ora.-Rispose la signora DUCHESSA: Piacemi. —Allor quasi tutti i circonstanti, e verso la signora Duchessa e tra sẻ, cominciarono a dir che questo era il più bel gioco che far si potesse; e senza aspettar l'uno la risposta dell'altro, facevano instanza alla signora EMILIA che ordinasse chi gli avesse a dar principio. La qual, voltatasi alla signora Duchessa, Comandate, disse, Signora, a chi più vi piace che abbia questa impresa; ch'io non voglio, con eleggerne uno più che l'altro, mostrar di giudicare, qual in questo io estimi più sufficiente degli altri, ed in tal modo far ingiuria a chi si sia.— Rispose la signora DUCHESSA: Fate pur voi questa elezione; e guardatevi col disobedire di non dar esempio agli altri, che siano essi ancor poco obedienti.

XIII. Allor la signora EMILIA, ridendo, disse al conte Ludovico da Canossa: Adunque, per non perder più tempo, voi, Conte, sarete quello che averà questa impresa nel modo che ha detto messer Federico; non già perchè ci paja che voi siate cosi buon Cortegiano, che sappiate quel che si gli convenga, ma perchè, dicendo ogni cosa al contrario, come speramo che farete, il gioco sarà più bello, chè ognun averà che rispondervi; onde se un altro che sapesse più di voi avesse questo carico, non se gli potrebbe contradir cosa alcuna, per

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chè diria la verità, e così il gioco saria freddo. Subito rispose il CONTE: Signora, non ci saria pericolo che mancasse contradizione a chi dicesse la verità, stando voi qui presente; ed essendosi di questa risposta alquanto riso, seguitò: Ma io veramente molto volentier fuggirei questa fatica, parendomi troppo difficile, e conoscendo in me, ciò che voi avete per burla detto, esser verissimo; cioè ch' io non sappia quello che a buon Cortegian si conviene: e questo con altro testimonio non cerco di provare, perchè non facendo l'opere, si può estimar ch' io nol sappia; ed io credo che sia minor biasimo mio, perchè senza dubio peggio è non voler far bene, che non saperlo fare. Pur essendo cosi che a voi piaccia ch'io abbia questo carico, non posso ně voglio rifiutarlo, per non contravenir all' ordine e giudicio vostro, il quale estimo più assai che 'l mio. Allor messer CESARE GONZAGA, Perchè già, disse, è passata buon'ora di notte, e qui son apparecchiate molte altre sorti di piaceri, forse buon sarà differir questo ragionamento a domani, e darassi tempo al Conte di pensar ciò ch' egli s' abbia a dire; chè in vero di tal subietto parlare improviso è difficil cosa. Rispose il CONTE: Io non voglio far come colui, che spogliatosi in giuppone saltò meno che non avea fatto col sajo; e perciò parmi gran ventura che l'ora sia tarda, perchè per la brevità del tempo sarò sforzato a parlar poco, e 'l non avervi pensato mi escuserà, talmente che mi sarà licito dire senza biasimo tutte le cose che prima mi verranno alla bocca. Per non tener adunque più lungamente questo carico di obligazione sopra le spalle, dico, che in ogni cosa tanto è difficil conoscer la vera perfezion, che quasi è impossibile; e questo per la varietà dei giudizii. Però si ritrovano molti, ai quali sarà grato un uomo che parli assai, e quello chiamaranno piacevole; alcuni si dilettaranno più della modestia; alcun' altri d' un uomo attivo ed inquieto; altri di chi in ogni cosa mostri riposo e considerazione: e cosi ciascuno lauda e vitupera secondo il parer suo, sempre coprendo il vizio col nome della propinqua virtù, o la virtù col nome del propinquo vizio; come chiamando un prosuntuoso, libero; un modesto, arido; un nescio, buono; un scelerato, prudente; e

medesimamente nel resto. Pur io estimo, in ogni cosa esser la sua perfezione, avvenga che nascosta; e questa potersi con ragionevoli discorsi giudicar da chi di quella tal cosa ha notizia. E perchè, com' ho detto, spesso la verità sta occulta, ed io non mi vanto aver questa cognizione, non posso laudar se non quella sorte di Cortegiani ch' io più apprezzo, ed approvar quello che mi par più simile al vero, secondo il mio poco giudicio: il qual seguitarete se vi parerà buono, ovvero v'attenerete al vostro, se egli sarà dal mio diverso. Nè io già contrasterò che 'l mio sia miglior che 'l vostro; chè non solamente a voi può parer una cosa ed a me un'altra, ma a me stesso poria parer or una cosa ed ora un' altra.

XIV. Voglio adunque che questo nostro Cortegiano sia nato nobile, e di generosa famiglia; perchè molto men si disdice ad un ignobile mancar di far operazioni virtuose, che ad uno nobile, il qual se desvia del cammino de' suoi antecessori, macula il nome della famiglia, e non solamente non acquista, ma perde il già acquistato; perchè la nobiltà è quasi una chiara lampa, che manifesta e fa veder l'opere buone e le male, ed accende e sprona alla virtù cosi col timor d' infamia, come ancor con la speranza di laude: e non scoprendo questo splendor di nobilità l'opere degl' ignobili, essi mancano dello stimolo, e del timore di quella infamia, nė par loro d'ésser obligati passar più avanti di quello che fatto abbiano i suoi antecessori; ed ai nobili par biasimo non giugner almeno al termine da' suoi primi mostratogli. Però intervien quasi sempre, che e nelle arme e nelle altre virtuose operazioni gli uomini più segnalati sono nobili, perchè la natura in ogni cosa ha insito quello occulto seme, che porge una certa forza e proprietà del suo principio a tutto quello che da esso deriva, ed a sè lo fa simile: come non solamente vedemo nelle razze de' cavalli e d'altri animali, ma ancor negli alberi, i rampolli dei quali quasi sempre s'assimigliano al tronco; e se qualche volta degenerano, procede dal mal agricoltore. E cosi intervien degli uomini, i quali se di buona creanza sono coltivati, quasi sempre son simili a quelli d' onde procedono, e spesso migliorano; ma se manca loro chi gli curi bene, divengono come selvatichi, nè mai si maturano. Vero è che,

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o sia per favor delle stelle o di natura, nascono alcuni accompagnati da tante grazie, che par che non siano nati, ma che un qualche dio con le proprie mani formati gli abbia, ed ornati di tutti i beni dell'animo e del corpo; si come ancor molti si veggono tanto inetti e sgarbati, che non si può credere se non che la natura per dispetto o per ludibrio prodotti gli abbia al mondo. Questi si come per assidua diligenza e buona creanza poco frutto per lo più delle volte posson fare, cosi quegli altri con poca fatica vengon in colmo di somma eccellenza. E per darvi un esempio: vedete il signor don Ippolito da Este cardinal di Ferrara, il quale tanto di felicità ha portato dal nascere suo, che la persona, lo aspetto, le parole, e tutti i suoi movimenti sono talmente di questa grazia composti ed accomodati, che tra i più antichi prelati, avvenga che sia giovane, rapresenta una tanto grave autorità, che più presto pare atto ad insegnare, che bisognoso d' imparare; medesimamente, nel conversare con uomini e con donne d'ogni qualità, nel giocare, nel ridere e nel motteggiare tiene una certa dolcezza e così graziosi costumi, che forza è che ciascun che gli parla o pur lo vede gli resti perpetuamente affezionato. Ma, tornando al proposito nostro, dico, che tra questa eccellente grazia e quella insensata sciocchezza si trova ancora il mezzo; e posson quei che non son da natura cosi perfettamente dotati, con studio e fatica limare e correggere in gran parte i difetti naturali. Il Cortegiano adunque, oltre alla nobiltà, voglio che sia in questa parte fortunato, ed abbia da natura non solamente lo ingegno, e bella forma di persona e di volto, ma una certa grazia, e, come si dice, un sangue, che lo faccia al primo aspetto a chiunque lo vede grato ed amabile, e sia questo un ornamento che componga e compagni tutte le operazioni sue, e prometta nella fronte, quel tale esser degno del commercio e grazia d'ogni gran signore.

XV. Quivi, non aspettando più oltre, disse il signor GaSPAR PALLAVICINO: Acciò che il nostro gioco abbia la forma ordinata, e che non paja che noi estimiam poco l'autorità dataci del contradire, dico, che nel Cortegiano a me non par cosi necessaria questa nobilità; e s'io mi pensassi dir cosa

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