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che ad alcun di noi fosse nova, io addurrei molti, li quali, nati di nobilissimo sangue, son stati pieni di vizii; e per lo contrario molti ignobili, che hanno con la virtù illustrato la posterità loro. E se è vero quello che voi diceste dianzi, cioè che in ogni cosa sia quella occulta forza del primo seme: noi tutti saremmo in una medesima condizione, per aver avuto un medesimo principio, nè più un che l'altro sarebbe nobile. Ma delle diversità nostre e gradi d'altezza e di bassezza credo io che siano molte altre cause: tra le quali estimo la fortuna esser precipua; perchè in tutte le cose mondane la veggiamo dominare, e quasi pigliarsi a gioco d' alzar spesso fin al cielo chi par a lei, senza merito alcuno, e sepelir nell'abisso i più degni d'esser esaltati. Confermo ben ciò che voi dite della felicità di quelli che nascon dotati dei beni dell'animo e del corpo: ma questo cosi si vede negl' ignobili come nei nobili, perchè la natura non ha queste così sottili distinzioni; anzi, come ho detto, spesso si veggono in persone bassissime altissimi doni di natura. Però non acquistandosi questa nobiltà nè per ingegno nè per forza nè per arte, ed essendo piuttosto laude dei nostri antecessori che nostra propria, a me par troppo strano voler che se i parenti del nostro Cortegiano son stati ignobili, tutte le sue buone qualità siano guaste, e che non bastino assai quell'altre condizioni che voi avete nominate, per ridurlo al colmo della perfezione: cioè ingegno, bellezza di volto, disposizion di persona, e quella grazia che al primo aspetto sempre lo faccia a ciascun gratissimo.

. XVI. Allor il conte LUDOVICO, Non nego io, rispose, che ancora negli uomini bassi non possano regnar quelle medesime virtù che nei nobili: ma (per non replicar quello che già avemo detto, con molte altre ragioni che si poriano addurre in laude della nobiltà, la qual sempre ed appresso ognuno è onorata, perchè ragionevole cosa è che de' buoni nascano i buoni) avendo noi a formare un Cortegiano senza difetto alcuno, e cumulato d'ogni laude, mi par necessario farlo nobile, si per molte altre cause, come ancor per la opinione universale, la qual subito accompagna la nobilità. Che se saranno dui uomini di palazzo, i quali non abbiano per

prima dato impression alcuna di sè stessi con l'opere o buone o male: subito che s' intenda l' un esser nato gentiluomo e l'altro no, appresso ciascuno lo ignobile sarà molto meno estimato che 'l nobile, e bisognerà che con molte fatiche e con tempo nella mente degli uomini imprima la buona opinion di sè, che l'altro in un momento, e solamente con l'esser gentiluomo, averà acquistata. E di quanta importanza siano queste impressioni, ognun può facilmente comprendere: chè, parlando di noi, abbiam veduto capitare in questa casa uomini, i quali essendo sciocchi e goffissimi, per tutta Italia hanno però avuto fama di grandissimi Cortegiani; e benchè in ultimo siano stati scoperti e conosciuti, pur per molti di ci hanno ingannato, e mantenuto negli animi nostri quella opinion di sè che prima in essi hanno trovato impressa, benchè abbiano operato secondo il lor poco valore. Avemo veduti altri al principio in pochissima estimazione, poi esser all' ultimo riusciti benissimo. E di questi errori sono diverse cause: e tra l'altre, la ostinazion dei signori, i quali, per voler far miracoli, talor si mettono a dar favore a chi par loro che meriti disfavore. E spesso, ancor essi s' ingannano; ma perchè sempre hanno infiniti imitatori, dal favor loro deriva grandissima fama, la qual per lo più i giudicii vanno seguendo: e se ritrovano qualche cosa che paja contraria alla commune opinione, dubitano d' ingannar sè medesimi, e sempre aspettano qualche cosa di nascosto: perchè pare che queste opinioni universali debbano pur esser fondate sopra il vero, e nascere da ragionevoli cause; e perchè gli animi nostri sono prontissimi allo amore ed all'odio, come si vede nei spettacoli de'combattimenti e de' giochi e d'ogni altra sorte contenzione, dove i spettatori spesso si affezionano senza manifesta cagione ad una delle parti, con desiderio estremo che quella resti vincente e l'altra perda. Circa la opinione ancor delle qualità degli uomini, la buona fama o la mala nel primo entrare move l'animo nostro ad una di queste due passioni. Però interviene che per lo più noi giudichiamo con amore, ovvero con odio. Vedete adunque di quanta importanza sia questa prima impressione, e come debba sforzarsi d'acquistarla buona nei principii, chi pensa aver grado e nome di buon Cortegiano.

XVII. Ma per venire a qualche particolarità, estimo che la principale e vera profession del Cortegiano debba esser quella dell' arme; la qual sopra tutto voglio che egli faccia vivamente, e sia conosciuto tra gli altri per ardito e sforzato e fedele a chi serve. E'l nome di queste buone condizioni si acquisterà facendone l'opere in ogni tempo e loco; imperocchè non è licito in questo mancar mai senza biasimo estremo: e come nelle donne la onestà una volta macchiata mai più non ritorna al primo stato, cosi la fama d'un gentiluomo che porti l'arme, se una volta in un minimo punto si denigra per codardia o altro rimprocchio, sempre resta vituperosa al mondo e piena d'ignominia. Quanto più adunque sarà eccellente il nostro Cortegiano in questa arte, tanto più sarà degno di laude; bench' io non estimi esser in lui necessaria quella perfetta cognizion di cose, e l'altre qualità, che ad un capitano si convengono; che per esser questo troppo gran mare, ne contentaremo, come avemo detto, della integrità di fede e dell'animo invitto, e che sempre si vegga esser tale: perchè molte volte più nelle cose piccole che nelle grandi si conoscono i coraggiosi; e spesso ne' pericoli d'importanza, e dove son molti testimonii, si ritrovano alcuni i quali, benché abbiano il core morto nel corpo, pur, spinti dalla vergogna o dalla compagnia, quasi ad occhi chiusi vanno inanzi, e fanno il debito loro, e Dio sa come; e nelle cose che poco premono, e dove par che possano senza esser notati restar di mettersi a pericolo, volentier si lasciano acconciare al sicuro. Ma quelli che ancor quando pensano non dover esser d'alcuno nė mirati nè veduti nè conosciuti, mostrano ardire, e non lascian passar cosa, per minima che ella sia, che possa loro esser carico, hanno quella virtù d'animo che noi ricerchiamo nel nostro Cortegiano. Il quale non volemo però che si mostri tanto fiero, che sempre stia in su le brave parole, e dica aver tolto la corazza per moglie, e minacci con quelle fiere guardature che spesso avemo vedute fare a Berto: chè a questi tali meritamente si può dir quello, che una valorosa donna in una nobile compagnia piacevolmente disse ad uno, ch' io per ora nominar non voglio; il quale essendo da lei, per onorarlo, invitato a danzare, e rifiutando esso e questo,

e lo udir musica, e molti altri intertenimenti offertigli, sempre con dir, cosi fatte novelluzze non esser suo mestiero; in ultimo dicendo la donna, Qual è adunque il mestier vostro? - rispose con un mal viso, Il combattere; allora la donna subito, Crederei, disse, che or che non siete alla guerra nė in termine di combattere, fosse buona cosa che vi faceste molto ben untare, ed insieme con tutti i vostri arnesi di battaglia riporre in un armario, finchè bisognasse, per non rugginire più di quello che siate; - e cosi, con molte risa de'circonstanti, scornato lasciollo nella sua sciocca prosunzione. Sia adunque quello che noi cerchiamo, dove si veggon gl'inimici, fierissimo, acerbo, e sempre tra i primi; in ogni altro loco, umano, modesto e ritenuto, fuggendo sopra tutto la ostentazione, e lo impudente laudar sè stesso, per lo quale l' uomo sempre si cóncita odio e stomaco da chi ode.

XVIII. Ed io, rispose allora il signor GASPAR, ho conosciuti pochi uomini eccellenti in qualsivoglia cosa, che non laudino sè stessi: e parmi che molto ben comportar lor si possa; perchè chi si sente valere, quando si vede non esser per l'opere dagli ignoranti conosciuto, si sdegna che'l valor suo stia sepolto, e forza è che a qualche modo lo scopra, per non esser defraudato dell' onore, che è il vero premio delle virtuose fatiche. Però, tra gli antichi scrittori, chi molto vale, rare volte si astien da laudar sè stesso. Quelli ben sono intolerabili, che essendo di niun merito, si laudano; ma tal non presumiam noi che sia il nostro Cortegiano. -Allor il CONTE, Se voi, disse, avete inteso, io ho biasimato il laudare sè stesso impudentemente e senza rispetto: e certo, come voi dite, non si dee pigliar mala opinion d'un uomo valoroso, che modestamente si laudi; anzi tôr quello per testimonio più certo, che se venisse di bocca altrui. Dico ben che chi, laudando sè stesso, non incorre in errore, nè a sè genera fasti-' dio o invidia da chi ode, quello è discretissimo, ed, oltre alle laudi che esso si dà, ne merita ancor dagli altri; perchè è cosa difficil assai. - Allora il signor GASPAR, Questo, disse, ci avete da insegnar voi.-Rispose il CONTE: Fra gli antichi scrittori non ancor mancato chi l'abbia insegnato; ma, al parer mio, il tutto consiste in dir le cose di modo, che paja

non che si dicano a quel fine, ma che caggiano talmente a proposito, che non si possa restar di dirle, e sempre mostrando fuggir le proprie laudi, dirle pure; ma non di quella maniera che fanno questi bravi, che aprono la bocca, e lascian venir le parole alla ventura. Come pochi di fa disse un de' nostri, che essendogli a Pisa stato passato una coscia con una picca da una banda all'altra, pensò che fosse una mosca che l'avesse punto; ed un altro disse, che non teneva specchio in camera, perchè quando si crucciava diveniva tanto terribile nell' aspetto, che veggendosi aría fatto troppo gran paura a sè stesso. Rise qui ognuno; ma messer CESARE GONZAGA Soggiunse: Di che ridete voi? Non sapete che Alessandro Magno, sentendo che opinion d'un filosofo era che fossino infiniti mondi, cominciò a piangere, ed essendogli domandato, perchè piangeva, rispose, Perch'io non ne ho ancor preso un solo; - come se avesse avuto animo di pigliarli tutti? Non vi par che questa fosse maggior braveria, che il dir della puntura della mosca? - Disse allor il CONTE: Anco Alessandro era maggior uomo, che non era colui che disse quella. Ma agli uomini eccellenti in vero si ha da perdonare quando presumono assai di sè; perchè chi ha da far gran cose, bisogna che abbia ardir di farle e confidenza di sè stesso, e non sia d'animo abietto o vile, ma si ben modesto in parole, mostrando di presumer meno di sè stesso che non fa, pur che quella presunzione non passi alla temerità.

XIX. Quivi facendo un poco di pausa il Conte, disse ridendo messer BERNARDO BIBIENA: Ricordomi che dianzi dicesti, che questo nostro Cortegiano aveva da esser dotato da natura di bella forma di volto e di persona, con quella grazia che lo facesse così amabile. La grazia e'l volto bellissimo penso per certo che in me sia, e perciò interviene che tante donne quante sapete ardeno dell' amor mio ; ma della forma del corpo sto io alquanto dubioso, e massimamente per queste mie gambe, che in vero non mi pajono cosi atte com'io vorrei: del busto, e del resto contentomi pur assai bene. Dichiarate adunque un poco più minutamente questa forma del corpo, quale abbia ella da essere, acciò che io possa levarmi

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