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che le virtù imparar si possano: il che è verissimo; perchè noi siamo nati atti a riceverle, e medesimamente i vizii, e però dell' uno e l'altro in noi si fa l'abito con la consuetudine, di modo che prima operiamo le virtù o i vizii, poi siamo virtuosi o viziosi. Il contrario si conosce nelle cose che ci son date dalla natura, che prima avemo la potenza d'operare, poi operiamo: come è nei sensi; chè prima potemo vedere, udire, toccare, poi vedemo, udiamo e tocchiamo; benchè però ancora molte di queste operazioni s' adornano con la disciplina. Onde i buoni pedagoghi non solamente insegnano lettere ai fanciulli, ma ancora buoni modi ed onesti nel mangiare, bere, parlare, andare, con certi gesti accoma modati.

XIII. Però, come nell' altre arti, così ancora nelle virtù è necessario aver maestro, il qual con dottrina e buoni ricordi susciti e risvegli in noi quelle virtù morali, delle quali avemo il seme incluso e sepolto nell'anima, e come buono agricoltore le coltivi e loro apra la via, levandoci d'intorno le spine e 'l loglio degli appetiti, i quali spesso tanto adombrano e soffocan gli animi nostri, che fiorir non gli lasciano, né produr quei felici frutti, che soli si dovriano desiderar che nascessero nei cori umani. Di questo modo adunque è natural in ciascun di noi la giustizia e la vergogna, la qual voi dite che Jove mandò in terra a tutti gli uomini; ma siccome un corpo senza occhi, per robusto che sia, se si muove ad un qualche termine spesso falla, così la radice di queste virtù potenzialmente ingenite negli animi nostri, se non ajutata dalla disciplina, spesso si risolve in nulla; perchè se si deve ridurre in atto, ed all'abito suo perfetto, non si contenta, come s'è detto, della natura sola, ma ha bisogno della artificiosa consuetudine e della ragione, la quale purifichi e dilucidi quell' anima, levandole il tenebroso velo della ignoranza, dalla qual quasi tutti gli errori degli uomini procedono: chè se il bene e 'l male fossero ben conosciuti ed intesi, ognuno sempre eleggeria il bene, e fuggiria il male. Però la virtù si può quasi dir una prudenza ed un saper eleggere il bene, e 'l vizio una imprudenza ed ignoranza che induce a giudicar falsamente; perchè non eleggono mai gli uomini il

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male con opinion che sia male, ma s'ingannano per una certa similitudine di bene.

XIV. Rispose allor il signor GASPARO: Son però molti, i quali conoscono chiaramente che fanno male, e pur lo fanno; e questo perchè estimano più il piacer presente che sentono, che 'l castigo che dubitan che gli ne abbia da venire: come i ladri, gli omicidi, ed altri tali. — Disse il signor OrTAVIANO: Il vero piacere è sempre buono, e 'l vero dolor malo; però questi s'ingannano togliendo il piacer falso per lo vero, e 'l vero dolor per lo falso; onde spesso per i falsi piaceri incorrono nei veri dispiaceri. Quell'arte adunque che insegna a discerner questa verità dal falso, pur si può imparare; e la virtù, per la quale eleggemo quello che è veramente bene, non quello che falsamente esser appare, si può chiamar vera scienza, e più giovevole alla vita umana che alcun' altra, perchè leva la ignoranza, dalla quale, come ho detto, nascono tutti i mali.

XV. Allora messer PIETRO BEMBO, Non so, disse, signor Ottaviano, come consentir vi debba il signor Gasparo, che dalla ignoranza nascano tutti i mali; e che non siano molti, i quali peccando sanno veramente che peccano, nè si ingannano punto nel vero piacere, nè ancor nel vero dolore: perchè certo è che quei che sono incontinenti giudican con ragione e dirittamente, e sanno che quello a che dalle cupidità sono stimolati contra il dovere è male, e però resistono ed oppongon la ragione all'appetito, onde ne nasce la battaglia del piacere e del dolore contra il giudicio; in ultimo la ragion, vinta dall' appetito troppo possente, s'abbandona, come nave che per un spazio di tempo si difende dalle procelle di mare, al fin, percossa da troppo furioso impeto de' venti, spezzate l'ancore e sarte, si lascia trapportar ad arbitrio di fortuna, senza operar timone, o magisterio alcuno di calamita per salvarsi. Gl'incontinenti adunque commetton gli errori con un certo ambiguo rimorso, e quasi al lor dispetto; il che non fariano, se non sapessero che quel che fanno è male, ma senza contrasto di ragione andariano totalmente profusi drieto all'appetito, ed allor non incontinenti, ma intemperati sariano; il che è molto peggio: però la

incontinenza si dice esser vizio diminuto, perchè ha in sẻ parte di ragione; e medesimamente la continenza, virtù imperfetta, perchè ha in sè parte d'affetto: perciò in questo parmi che non si possa dir che gli errori degli incontinenti procedano da ignoranza, o che essi s'ingannino e che non pecchino, sapendo che veramente peccano.

XVI. Rispose il signor OTTAVIANO: In vero, messer Pietro, l'argomento vostro è buono; nientedimeno, secondo me, è più apparente che vero, perchè benchè gl' incontinenti pecchino con quella ambiguità, e che la ragione nell'animo loro contrasti con l'appetito, e lor paja che quel che è male sia male, pur non ne hanno perfetta cognizione, nè lo sanno cosi intieramente come saria bisogno: però in essi di questo è più presto una debile opinione che certa scienza, onde consentono che la ragion sia vinta dallo affetto; ma se ne avessero vera scienza, non è dubio che non errariano: perchè sempre quella cosa per la quale l'appetito vince la ragione è ignoranza, nè può mai la vera scienza esser superata dallo affetto, il quale dal corpo, e non dall'animo, deriva; e se dalla ragione è ben retto e governato, diventa virtù, e se altrimenti, diventa vizio; ma tanta forza ha la ragione, che sempre si fa obedire al senso, e con maravigliosi modi e vie penetra, pur che la ignoranza non occupi quello che essa aver dovria; di modo che, benchè i spiriti e i nervi e l'ossa non abbiano ragione in sè, pur quando nasce in noi quel movimento dell'animo, quasi che 'l pensiero sproni e scuota la briglia ai spiriti, tutte le membra s'apparecchiano, i piedi al corso, le mani a pigliar o a fare ciò che l'animo pensa: e questo ancora si conosce manifestamente in molti, li quali, non sapendo, talora mangiano qualche cibo stomacoso e schifo, ma cosi ben acconcio che al gusto lor pare delicatissimo; poi, risapendo che cosa era, non solamente hanno dolore e fastidio nell'animo, ma 'l corpo accordan si col giudicio della mente, che per forza vomitano quel cibo.

XVII. Seguitava ancor il signor Ottaviano il suo ragionamento; ma il Magnifico JULIANO interrompendolo, Signor Ottaviano, disse, se bene ho inteso, voi avete detto che la continenza è virtù imperfetta, perchè ha in sè parte d'af

fetto; ed a me pare che quella virtù la quale, essendo nell'animo nostro discordia tra la ragione e l'appetito, combatte e dà la vittoria alla ragione, si debba estimar più perfetta che quella che vince non avendo cupidità nè affetto alcuno che le contrasti; perchè pare che quell' animo non si astenga dal male per virtù, ma resti di farlo perchè non ne abbia volontà. — Allor il signor OTTAVIANO, Qual, disse, estimareste voi capitan di più valore, o quello che combattendo apertamente si mette a pericolo, e pur vince gl' inimici, o quello che per virtù e saper suo lor toglie le forze, riducendogli a termine che non possan combattere, e cosi senza battaglia o pericolo alcun gli vince ? Quello, disse il Magnifico JULIANO, che più sicuramente vince, senza dubio è più da lodare, pur che questa vittoria così certa non proceda dalla dapocaggine degli inimici.-Rispose il signor OTTAVIANO: Ben avete giudicato; e però dicovi, che la continenza comparar si può ad un capitano che combatte virilmente, e, benchè gl'inimici sian forti e potenti, pur gli vince, non però senza gran difficoltà e pericolo; ma la temperanza libera da ogni perturbazione è simile a quel capitano, che senza contrasto vince e regna, ed avendo in quell' animo dove si ritrova non solamente sedato ma in tutto estinto il foco delle cupidità, come buon principe in guerra civile, distrugge i sediziosi nemici intrinsechi, e dona lo scettro e dominio intiero alla ragione. Cosi questa virtù non sforzando l'animo, ma infondendogli per vie placidissime una veemente persuasione che lo inclina ¦alla onestà, lo rende quieto e pien di riposo, in tutto eguale e ben misurato, e da ogni canto composto d' una certa concordia con sè stesso, che lo adorna di cosi serena tranquillità che mai non si turba, ed in tutto diviene obedientissimo alla ragione, e pronto di volgere ad essa ogni suo movimento, e seguirla ovunque condur lo voglia, senza repugnanza alcuna; come tenero agnello, che corre, sta e va sempre presso alla madre, e solamente secondo quella si move. Questa virtù adunque è perfettissima, e conviensi massimamente ai principi, perchè da lei ne nascono molte altre.

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XVIII. Allora messer CESAR GONZAGA, Non so, disse, quai virtù convenienti a signore possano nascere da questa

- temperanza, essendo quella che leva gli affetti dell' animo, come voi dite: il che forse si converria a qualche monaco o eremita; ma non so già come ad un principe magnanimo, liberale e valente nell' arme si convenisse il non aver mai, per cosa che se gli facesse, nè ira nè odio nè benivolenza nė sdegno nè cupidità nè affetto alcuno, e come senza questo aver potesse autorità tra popoli o tra soldati. — Rispose il signor OTTAVIANO: Io non ho detto che la temperanza levi totalmente e svella degli animi umani gli affetti, nè ben saria il farlo, perchè negli affetti ancora sono alcune parti buone; ma quello che negli affetti è perverso e renitente allo onesto, riduce ad obedire alla ragione, Però non è conveniente, per levar le perturbazioni, estirpar gli affetti in tutto; chè questo saria come se per fuggir la ebrietà, si facesse un editto che niuno bevesse vino, o perchè talor correndo l'uomo cade, si interdicesse ad ognuno il correre. Eccovi che quelli che domano i cavalli non gli vietano il correre e saltare, ma voglion che lo facciano a tempo, e ad obedienza del cavaliero. Gli affetti adunque, modificati dalla temperanza, sono favorevoli alla virtù, come l'ira che ajuta la fortezza, l'odio contra i scelerati ajuta la giustizia, e medesimamente l'altre virtù sono ajutate dagli affetti; li quali se fossero in tutto levati, lasciariano la ragione debilissima e languida, di modo che poco operar potrebbe, come governator di nave abbandonato da' venti in gran calma. Non vi maravigliate adunque, messer Cesare, s'io ho detto che dalla temperanza nascono molte altre virtù; chè quando un animo è concorde di questa armonia, per mezzo della ragione poi facilmente riceve la verà fortezza, la quale lo fa intrepido e sicuro da ogni pericolo, e quasi sopra le passioni umane; non meno la giustizia, vergine incorrotta, amica della modestia e del bene, regina di tutte l'altre virtù, perchè insegna a far quello che si dee fare, e fuggir quello che si dee fuggire; e però è perfettissima, perchè per essa si fan l'opere dell' altre virtù, ed è giovevole a chi la possede, e per sè stesso, e per gli altri: senza la quale, come si dice, Jove istesso non poria ben governare il regno suo. La magnanimità ancora succede a queste, e tutte le fa maggiori; ma essa sola star non può, perchè chi non ha al

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