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di questo dubio, e star con l'animo riposato. - Essendosi di questo riso alquanto, soggiunse il CONTE: Certo, quella grazia del volto, senza mentire, dir si può esser in voi, nè altro esempio adduco che questo, per dichiarire che cosa ella sia; chè senza dubio veggiamo, il vostro aspetto esser gratissimo e piacere ad ognuno, avvenga che i lineamenti d'esso non siano molto delicati; ma tien del virile, e pur è grazioso: e trovasi questa qualità in molte e diverse forme di volti. E di tal sorte voglio io che sia lo aspetto del nostro Cortegiano, non così molle e feminile come si sforzano d'aver molti, che non solamente si crespano i capegli e spelano le ciglia, ma si strisciano con tutti que' modi che si faccian le più lascive e disoneste femine del mondo; e pare che nello andare, nello stare, ed in ogni altro lor atto siano tanto teneri e languidi, che le membra siano per staccarsi loro l' uno dall' altro; e pronunziano quelle parole cosi afflitte, che in quel punto par che lo spirito loro finisca: e quanto più si trovano con uomini di grado, tanto più usano tai termini. Questi, poi che la natura, come essi mostrano desiderare di parere ed essere, non gli ha fatti femine, dovrebbono non come buone femine esser estimati, ma, come publiche meretrici, non solamente delle corti de' gran signori, ma del consorzio degli uomini nobili esser cacciati.

•XX. Vegnendo adunque alla qualità della persona, dico bastar ch'ella non sia estrema in piccolezza nè in grandezza; perchè e l'una e l'altra di queste condizioni porta seco una certa dispettosa maraviglia, e sono gli uomini di tal sorte mirati quasi di quel modo che si mirano le cose mostruose: benché, avendo da peccare nell'una delle due estremità, men male è l'esser un poco diminuto, che ecceder la ragionevol misura in grandezza; perchè gli uomini così vasti di corpo, oltra che molte volte di ottuso ingegno si trovano, sono ancor inabili ad ogni esercizio di agilità: la qual cosa io desidero assai nel Cortegiano. E perciò voglio che egli sia di buona disposizione e de' membri ben formato, e mostri forza e leggerezza e discioltura, e sappia di tutti gli esercizii di persona che ad uom di guerra s'appartengono: e di questo penso, il primo dover essere maneggiar ben ogni sorte d'ar

me a piedi ed a cavallo, e conoscere i vantaggi che in esse sono, e massimamente aver notizia di quell'arme che s'usano ordinariamente tra'gentiluomini; perchè, oltre all'operarle alla guerra, dove forse non sono necessarie tante sottilità, intervengono spesso differenze tra un gentiluomo e l'altro, onde poi nasce il combattere, e molte volte con quell'arme che in quel punto si trovano a canto: però il saperne è cosa securissima. Nè son io già di quei che dicono, che allora l'arte si scorda nel bisogno; perchè certamente chi perde l'arte in quel tempo, då segno che prima ha perduto il core e'l cervello di paura.

XXI. Estimo ancora, che sia di momento assai il saper lottare, perchè questo accompagna molto tutte l'arme da piedi. Appresso, bisogna che e per sè e per gli amici intenda le querele e differenze che possono occorrere, e sia avvertito nei vantaggi, in tutto mostrando sempre ed animo e prudenza; nè sia facile a questi combattimenti, se non quanto per l'onor fosse sforzato: chè, oltre al gran pericolo che la dubiosa sorte seco porta, chi in tali cose precipitosamente e senza urgente causa incorre, merita grandissimo bi asimo, avvenga che ben gli succeda. Ma quando si trova l'uo mo esser entrato tanto avanti, che senza carico non si possa ritrarre, dee e nelle cose che occorrono prima del combattere, e nel combattere, esser deliberatissimo, e mostrar sempre prontezza e core; e non far com'alcuni, che passano la cosa in dispute e punti, ed avendo la elezion dell'arme pigliano arme che non tagliano nè pungono, e si armano come s'avessero ad aspettar le cannonate; e parendo lor bastare il non esser vinti, stanno sempre in sul difendersi e ritirarsi, tanto che mostrano estrema viltà; onde fannosi far la baja da'fanciulli: come que’dui Anconitani, che poco fa combatterono a Perugia, e fecero ridere chi gli vide. E quali furon questi? disse il signor GASPAR PALLAVICINO. Rispose messer CESARE: Dui fratelli consobrini. Disse allora il CONTE: Al combattere parvero fratelli carnali; - poi soggiunse: Adopransi ancor l'arme spesso in tempo di pace in diversi esercizii, e veggonsi i gentiluomini nei spettacoli publici alla presenza de' popoli, di donne e di gran signori. Però voglio che 'l

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nostro Cortegiano sia perfetto cavalier d'ogni sella; ed oltre } allo aver cognizion di cavalli e di ciò che al cavalcare s'appartiene, ponga ogni studio e diligenza di passar in ogni cosa un poco più avanti che gli altri, di modo che sempre tra tutti sia per eccellente conosciuto. E come si legge d'Alcibiade, che superò tutte le nazioni appresso alle quali egli visse, e ciascuna in quello che più era suo proprio: cosi questo nostro avanzi gli altri, e ciascuno in quello di che più fa professione. E perchè degli Italiani è peculiar laude il cavalcar bene alla brida, il maneggiar con ragione massimamente cavalli asperi, il correr lance e'l giostrare, sia in questo dei migliori Italiani: nel torneare, tener un passo, combattere una sbarra, sia buono tra i miglior Franzesi: nel giocare a canne, correr tori, lanciar aste e dardi, sia tra i Spagnoli eccellente. Ma sopra tutto, accompagni ogni suo movimento con un certo buon giudicio e grazia, se vuole meritar quell'universal favore che tanto s'apprezza.

XXII. Sono ancor molti altri esercizii, i quali benchè non dipendano drittamente dalle arme, pur con esse hanno molta convenienza, e tengono assai d'una strenuità virile; e tra questi parmi la caccia esser de' principali, perchè ha una certa similitudine di guerra: ed è veramente piacer da gran signori, e conveniente ad uom di corte, e comprendesi che ancora tra gli antichi era in molta consuetudine. Conveniente è ancor saper nuotare, saltare, correre, gittar pietre, perchè, oltre alla utilità che di questo si può avere alla guerra, molte volte occorre far prova di sè in tai cose; onde s'acquista buona estimazione, massimamente nella moltitudine, con la quale bisogna pur che l'uom s'accommodi. Ancor nobile esercizio e convenientissimo ad uom di corte è il gioco di palla, nel quale molto si vede la disposizion del corpo, e la prestezza e discioltura d'ogni membro, e tutto quello che quasi in ogni altro esercizio si vede. Nè di minor laude estimo il volteggiar a cavallo; il quale benchè sia faticoso e difficile, fa l'uomo leggerissimo e destro più che alcun'altra cosa; ed, oltre alla utilità, se quella leggerezza è compagnata di buona grazia, fa, al parer mio, più bel spettacolo che alcun degli altri. Essendo adunque il nostro Cortegiano in questi eserci

zii più che mediocremente esperto, penso che debba lasciar gli altri da canto; come volteggiar in terra, andar in su la corda, e tai cose, che quasi hanno del giocolare, e poco sono a gentiluomo convenienti. Ma, perchè sempre non si può versar tra queste cosi faticose operazioni, oltra che ancor la assiduità sazia molto e leva quella ammirazione che si piglia delle cose rare, bisogna sempre variar con diverse azioni la vita nostra. Però voglio che 'l Cortegiano discenda qualche volta a più riposati e placidi esercizii, e per schivar la invidia e per intertenersi piacevolmente con ognuno, faccia tutto quello che gli altri fanno, non s'allontanando però mai dai laudevoli atti, e governandosi con quel buon giudicio che non lo lasci incorrere in alcuna sciocchezza; ma rida, scherzi, motteggi, balli e danzi, nientedimeno con tal maniera, che sempre mostri esser ingenioso e discreto, ed in ogni cosa che faccia o dica sia aggraziato.

XXIII. Certo, disse allor messer CESARE GONZAGA, non si dovria già impedir il corso di questo ragionamento; ma se io tacessi, non satisfarei alla libertà ch' io ho di parlare, nè al desiderio di saper una cosa: e siami perdonato s'io, avendo a contradire, dimanderò; perchè questo credo che mi sia licito, per esempio del nostro messer Bernardo, il qual, per troppo voglia d'esser tenuto bell'uomo, ha contrafatto alle leggi del nostro gioco, domandando, e non contradicendo. Vedete, disse allora la signora Duchessa, come da un error solo molti ne procedono. Però chi falla, e dà mal esempio, come messer Bernardo, non solamente merita esser punito del suo fallo, ma ancor dell'altrui. — Rispose allora messer CESARE: Dunque io, Signora, sarò esente di pena, avendo messer Bernardo ad esser punito del suo e del mio errore.

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Anzi, disse la signora DUCHESSA, tutti dui devete aver doppio castigo: esso del suo fallo, e dello aver indutto voi a fallire; voi del vostro fallo, e dello aver imitato chi falliva.Signora, rispose messer CESARE, io fin qui non ho fallito; però, per lasciar tutta questa punizione a messer Bernardo solo, tacerommi. — E già si taceva; quando la signora EMILIA ridendo, Dite ciò che vi piace, rispose, chè, con licenza però della signora Duchessa, io perdono a chi ha fallito e a

chi fallirà in così piccol fallo. Soggiunse la signora DUCHESSA: lo son contenta: ma abbiate cura che non v'inganniate, pensando forse meritar più con l'esser clemente che con l'esser giusta; perchè, perdonando troppo a chi falla, si fa ingiuria a chi non falla. Pur non voglio che la mia austerità, per ora, accusando la indulgenza vostra, sia causa che noi perdiamo d'udir questa domanda di messer Cesare. Cosi esso, essendogli fatto segno dalla signora Duchessa e dalla signora Emilia, subito disse:

XXIV. Se ben tengo a memoria, parmi, signor Conte, che voi questa sera più volte abbiate replicato, che 'l Cortegiano ha da compagnar l'operazion sue, i gesti, gli abiti, in somma ogni suo movimento con la grazia; e questo mi par che mettiate per un condimento d'ogni cosa, senza il quale tutte l'altre proprietà e buone condizioni siano di poco valore. E veramente credo io, che ognun facilmente in ciò si lasciarebbe persuadere, perchè, per la forza del vocabolo, si può dir che chi ha grazia, quello è grato. Ma perchè voi diceste, questo spesse volte esser don della natura e de' cieli, ed ancor quando non è così perfetto potersi con studio e fatica far molto maggiore: quegli che nascono cosi avventurosi e tanto ricchi di tal tesoro come alcuni che ne veggiamo, a me par che in ciò abbiano poco bisogno d'altro maestro; perchè quel benigno favor del cielo quasi al suo dispetto i guida più alto che essi non desiderano, e fagli non solamente grati ma ammirabili a tutto il mondo. Però di questo non ragiono, non essendo in poter nostro per noi medesimi l'acquistarlo. Ma quegli che da natura hanno tanto solamente, che son atti a poter essere aggraziati aggiugnendovi fatica, industria e studio, desidero io di saper con qual'arte, con qual disciplina e con qual modo possono acquistar questa grazia, così negli esercizii del corpo, nei quali voi estimate che sia tanto necessaria, come ancor in ogni altra cosa che si faccia o dica. Però, secondo che col laudarci molto questa qualità a tutti avete, credo, generato una ardente sete di conseguirla, per lo carico dalla signora Emilia impóstovi siete ancor, con lo insegnarci, obligato ad estinguerla.

XXV. Obligato non son io, disse il CONTE, ad insegnarvi

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