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tutte le donne di essere, e, quando esser non possono, almen di parer belle: però, dove la naturà in qualche parte in questo è mancata, esse si sforzano di supplir con l' artificio. Quindi nasce l'acconciarsi la faccia con tanto studio e talor pena, pelarsi le ciglia e la fronte, ed usar tutti que' modi e patire que' fastidii, che voi altre donne credete che agli uomini siano molto secreti, e pur tutti si sanno. ·Rise quivi Madonna COSTANZA FREGOSA, e disse: Voi fareste assai più cortesemente seguitar il ragionamento vostro, e'dir onde nasca la buona grazia, e parlar della Cortegiania, che voler scoprir i difetti delle donne senza proposito. — Anzi molto a proposito, rispose il CONTE; perchè questi vostri difetti di che io parlo vi levano la grazia, perchè d'altro non nascono che da affettazione, per la qual fáte conoscere ad ognuno scopertamente il troppo desiderio vostro d'esser belle. Non v'accorgete voi, quanto più di grazia tenga una donna, la qual, se pur si acconcia, lo fa cosi parcamente e così poco, che chi la vede sta in dubio ́s' ella è concia o no; che un'altra, empiastrata tanto, che paja aversi posto alla faccia una maschera, e non osi ridere per non farsela èrepare, nè si muti mai di colore se non quando la mattina si veste; e poi tutto il remanente del giorno stia come statua di legno immobile, comparendo solamente a lume di torze, come mostrano i -cauti mercatanti i lor panni in loco oscuro? Quanto più poi di tutte piace una, dico non brutta, che si conosca chiaramente non aver cosa alcuna in su la faccia, benchè non sia cosi bianca nè cosi rossa, ma col suo color nativo pallidetta, e talor per vergogna o per altro accidente tinta d'un ingenuo rossore, coi capelli a caso inornati e mal composti, e coi gesti semplici e 'naturali, senza mostrar industria nè studio d'esser bella? Questa è quella sprezzata purità gratissima agli occhi ed agli animi umani, i quali sempre temono essere dall' arte ingannati. Piacciono molto in una donna i bei denti, perchè non essendo cosi scoperti come la faccia, ma per lo più del tempo stando nascosi, creder si può che non vi si pónga tanta cura per fargli belli, come nel volto: pur chi ridesse senza proposito e solamente per mostrargli, scopriria l'arte, e benchè belli gli avesse, a tutti pareria disgrazialis

simo, come lo Egnazio Catulliano. Il medesimo è delle mani; le quali, se delicate e belle sono, mostrate ignude a tempo, secondo che occorre operarle, e non per far veder la lor bellezza, lasciano di sè grandissimo desiderio, e massimamente revestite di guanti; perchè par che chi le ricopre non curi e non estimi molto che siano vedute o no, ma cosi belle le abbia più per natura che per studio o diligenza alcuna. Avete voi posto cura talor, quando, o per le strade andando alle chiese o ad altro loco, o giocando o per altra causa, accade che una donna tanto della roba si leva, che il piede e spesso un poco di gambetta senza pensarvi mostra? non vi pare che grandissima grazia tenga, se ivi si vede con una certa don›nesca disposizione leggiadra ed attilata nei suoi chiapinetti di velluto, e calze polite? Certo a me piace egli molto, e credo la tutti voi altri, perchè ognuno estima che la attilatura in parte cosi nascosa e rare volte veduta, sia a quella donna piuttosto naturale e propria che sforzata, e che ella di ciò non 'pensi acquistar laude alcuna.

XLI. In tal modo si fugge e nasconde l'affettazione, la qual or potete comprender quanto sia contraria, e levi la grazia d'ogni operazion cosi del corpo come dell' animo; del quale per ancor poco avemo parlato, nè bisogna però lasciarlo; che si come l'animo più degno è assai che 'l corpo, cosi ancor merita esser più culto e più ornato. E ciò come far si debba nel nostro Cortegiano, lasciando li precetti di tanti savii filosofi che di questa materia scrivono, e diffiniscono le virtù dell' animo, e cosi sottilmente disputano della dignità di quelle: diremo in poche parole, attendendo al nostro proposito, bastar che egli sia, come si dice, uomo da bene ed intiero; chè in questo si comprende la prudenza, -bontà, fortezza e temperanza d'animo, e tutte l'altre condizioni che a cosi onorato nome si convengono. Ed io estimo, quel solo esser vero filosofo morale, che vuol esser buono; ed a ciò gli bisognano pochi altri precetti, che tal volontà. E però ben dicea Socrate, parergli che gli ammaestramenti suoi già avessino fatto buon frutto quando per quelli chi si fosse s'incitava a voler conoscer ed imparar la virtù: perchè quelli che son giunti a termine che non desiderano cosa alcuna

più che l'essere buoni, facilmente conseguono la scienza di tutto quello che a ciò bisogna; però di questo non ragioneremo più avanti.

XLII. Ma, oltre alla bontà, il vero e principal ornamento dell' animo in ciascuno penso io che siano le lettere: benchè i Franzesi solamente conoscano la nobilità delle arme, e tutto il resto nulla estimino; di modo che, non solamente non apprezzano le lettere, ma le aborriscono; e tutti i letterati tengon per vilissimi uomini; e pare lor dir gran villania a chi si sia, quando lo chiamano clero.- Allora il Magnifico JULIANO, Voi dite il vero, rispose, che questo errore già gran tempo regna tra' Franzesi; ma se la buona sorte vuole che monsignor d'Angolem, come si spera, succeda alla corona, estimo che si come la gloria dell' arme fiorisce e risplende in Francia, cosi vi debba ancor con supremo ornamento fiorir quella delle lettere: perchè non è molto ch' io, ritrovandomi alla corte, vidi questo signore, e parvemi che, oltre alla disposizion della persona e bellezza di volto, avesse nell' aspetto tanta grandezza, congiunta però con una certa graziosa umanità, che 'l reame di Francia gli dovesse sempre parer poco. Intesi da poi da molti gentiluomini, e franzesi ed italiani, assai dei nobilissimi costumi suoi, della grandezza dell'animo, del valore e della liberalità ; e tra l'altre cose fummi detto, che egli sommamente amava ed estimava le lettere, ed avea in grandissima osservanza tutti e' litterati; e dannava i Franzesi proprii dell' esser tanto alieni da questa professione, avendo massimamente in casa un cosi nobil Studio come è quello di Parigi, dove tutto il mondo concorre. Disse allor il CONTE: Gran maraviglia è che in così tenera età, solamente per istinto di natura, contra l'usanza del paese, si sia da sé a sè volto a cosi buon cammino; e perchè li sudditi sempre seguitano i costumi de' superiori, può esser che, come voi dite, i Franzesi siano ancor per estimar le lettere di quella dignità che sono: il che facilmente, se vorranno intendere, si potrà lor persuadere; perchè niuna cosa più da natura è desiderabile agli uomini nè più propria che il sapere; la qual cosa gran pazzia è dire o credere che non sia sempre buona.

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XLIII. E s'io parlassi con essi o con altri che fossino d'opinion contraria alla mia, mi sforzarei mostrar loro, quanto le lettere, le quali veramente da Dio son state agli uomini concedute per un supremo dono, siano utili e necessarie alla vita ed alla dignità nostra; nè mi mancheriano esempii di tanti eccellenti capitani antichi, i quali tutti giunsero l'ornamento delle lettere alla virtù dell' arme. Chè, come sapete, Alessandro ebbe in tanta venerazione Omero, che la Iliade sempre si teneva a capo del letto; e non solamente a questi studii, ma alle speculazioni filosofice diede grandissima opera sotto la disciplina d'Aristotele. Alcibiade le buone condizioni sue accrebbe e fece maggiori con le lettere, e con gli ammaestramenti di Socrate. Cesare quanta opera desse ai studii, ancor fanno testimonio quelle cose che da esso divinamente scritte si ritrovano. Scipione Africano dicesi che mai di mano non si levava i libri di Senofonte, dove instituisce sotto 'l nome di Ciro un perfetto re. Potrei dirvi di Lucullo, di Silla, di Pompeo, di Bruto e di molt'altri Romani e Greci; ma solamente ricordarò che Annibale, tanto eccellente capitano, ma però di natura feroce ed alieno da ogni umanità, infedele e dispregiator degli uomini e degli dei, pur ebbe notizia di lettere e cognizion della lingua greca; e, s'io non erro, parmi aver letto già, che esso un libro pur in lingua greca lasciò da sè composto. Ma questo dire a voi è superfluo, chè ben so io che tutti conoscete quanto s'ingannano i Franzesi pensando che le lettere nuocciano all' arme. Sapete che delle cose grandi ed arrischiate nella guerra il vero stimolo è la gloria; e chi per guadagno o per altra causa a ciò si move, oltre che mai non fa cosa buona, non merita esser chiamato gentiluomo, ma vilissimo mercatante. E che la vera gloria sia quella che si commenda al sacro tesauro delle lettere, ognun può comprendere, eccetto quegli infelici che gustate non l'hanno. Qual animo è cosi demesso, timido ed umile, che, leggendo i fatti e le grandezze di Cesare, d'Alessandro, di Scipione, d'Annibale e di tanti altri, non s'infiammi d'un ardentissimo desiderio d' esser simile a quelli, e non posponga questa vita caduca di dui giorni per acquistar quella famosa quasi perpetua, la quale, a dispetto della

morte, viver lo fa più chiaro assai che prima? Ma chi non sente la dolcezza delle lettere, saper ancor non può quanta sia la grandezza della gloria cosi lungamente da esse conservata, e solamente quella misura con la età d'un uomo, o di dui, perchè di più oltre non tien memoria: però questa breve tanto estimar non può, quanto faria quella quasi perpetua, se per sua disgrazia non gli fosse vetato il conoscerla ; e non estimandola tanto, ragionevol cosa è ancor credere, che tanto non si metta a pericolo per conseguirla come chi la conosce. Non vorrei già che qualche avversario mi adducesse gli effetti contrarii, per rifiutar la mia opinione, allegandomi, gli Italiani col lor saper lettere aver mostrato poco valor nell'arme da un tempo in qua: il che pur troppo è più che vero; ma certo ben si poria dir, la colpa d'alcuni pochi aver dato, oltre al grave danno, perpetuo biasimo a tutti gli altri; e la vera causa delle nostre ruine e della virtù prostrata, se non morta, negli animi nostri, esser da quelli proceduta: ma assai più a noi saria vergognoso il publicarla, che a' Franzesi il non saper lettere. Però meglio è passar con silenzio quello che senza dolor ricordar non si può ; e, fuggendo questo proposito, nel quale contra mia voglia entrato sono, tornar al nostro Cortegiano.

XLIV. Il qual voglio che nelle lettere sia più che mediocremente erudito, almeno in questi studii che chiamamo d'umanità; e non solamente della lingua latina ma ancor della greca abbia cognizione, per le molte e varie cose che in quella divinamente scritte sono. Sia versato nei poeti, e non meno negli oratori ed istorici, ed ancor esercitato nel scriver versi e prosa, massimamente in questa nostra lingua volgare; chè, oltre al contento che egli stesso pigliarà, per questo mezzo non gli mancheran mai piacevoli intertenimenti con donne, le quali per ordinario amano tali cose. E se, o per altre faccende o per poco studio, non giugnerà a tal perfezione che i suoi scritti siano degni di molta laude, sia cauto in sopprimergli, per non far ridere altrui di sè, e solamente i mostri ad amico di chi fidar si possa ; perchè almeno in tanto li giovaranno, che per quella esercitazion saprà giudicar le cose d'altrui: chè invero rare volte intervie

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