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ne, che chi non è assueto a scrivere, per erudito che egli sia, possa mai conoscer perfettamente le fatiche ed industrie de' scrittori, nè gustar la dolcezza ed eccellenza de' stili, e quelle intrinseche avvertenze che spesso si trovano negli antichi. Ed oltre a ciò, farànnolo questi studii copioso, e, come rispose Aristippo a quel tiranno, ardito in parlar sicuramente con ognuno. Voglio ben però, che 'l nostro Cortegiano fisso si tenga nell'animo un precetto; cioè che in questo ed in ogni altra cosa sia sempre avvertito e timido più presto che audace, e guardi di non persuadersi falsamente di sapere quello che non sa: perchè da natura tutti siamo avidi troppo più che non si devria di laude, e più amano le orecchie nostre la melodia delle parole che ci laudano, che qualunque altro soavissimo canto o suono; e però spesso, come voci di Sirene, sono causa di sommergere chi a tal fallace armonia bene non se le ottura. Conoscendo questo pericolo, si è ritrovato tra gli antichi sapienti chi ha scritto libri, in qual modo possa l'uomo conoscere il vero amico dall'adulatore. Ma questo che giova? se molti, anzi infiniti son quelli che manifestamente comprendono esser adulati, e pur amano chi gli adula, ed hanno in odio chi dice lor il vero? e spesso parendogli che chi lauda sia troppo parco in dire, essi medesimi lo ajutano, e di sè stessi dicono tali cose, che lo impudentissimo adulator se ne vergogna. Lasciamo questi ciechi nel lor errore, e facciamo che 'l nostro Cortegiano sia di cosi buon giudicio, che non si lasci dar ad intendere il nero per lo bianco, nè presuma di sè, se non quanto ben chiaramente conosce esser vero; e massimamente in quelle cose, che nel suo gioco, se ben avete a memoria, messer Cesare ricordò che noi più volte avevamo usate per instrumento di far impazzir molti. Anzi, per non errar, se ben conosce le laudi che date gli sono esser vere, non le consenta così apertamente, nè cosi senza contradizione le confermi; ma piuttosto modestamente quasi le nieghi, mostrando sempre e tenendo in effetto per sua principal professione l'arme, e l'altre buone condizioni tutte per ornamento di quelle; e massimamente tra i soldati, per non far come coloro che ne' studii voglion parere uomini di guerra, e tra gli uomini di guerra

litterati. In questo modo, per le ragioni che avemo dette, fuggirà l'affettazione, e le cose mediocri che farà parranno grandissime.

XLV. Rispose quivi messer PIETRO BEMBO: Io non so, Conte, come voi vogliate che questo Cortegiano, essendo litterato, e con tante altre virtuose qualità, tenga ogni cosa per ornamento dell' arme, e non l'arme e 'l resto per ornamento delle lettere; le quali, senza altra compagnia, tanto son di dignità all' arme superiori, quanto l'animo al corpo, per appartenere propriamente la operazion d'esse all' animo, cosi come quella delle arme al corpo. Rispose allor il CONTE: Anzi, all' animo ed al corpo appartiene la operazion dell' arme. Ma non voglio, messer Pietro, che voi di tal causa siate giudice, perchè sareste troppo sospetto ad una delle parti ed essendo già stata questa disputazione lungamente agitata da uomini sapientissimi, non è bisogno rinovarla; ma io la tengo per diffinita in favore dell' arme, e voglio che 'l nostro Cortegiano, poich'io posso ad arbitrio mio formarlo, esso ancor cosi la estimi. E se voi sete di contrario parer, aspettate d' udirne una disputazion, nella qual cosi sia licito a chi difende la ragion dell' arme operar l' arme, come quelli che difendon le lettere oprano in tal difesa le medesime lettere; chè se ognuno si valerà de' suoi instrumenti, vedrete che i litterati perderanno. Ah, disse messer PIETRO, voi dianzi avete dannati i Franzesi che poco apprezzàn le lettere, e detto quanto lume di gloria esse mostrano agli uomini, e come gli facciano immortali; ed or pare che abbiate mutata sentenza. Non vi ricorda, che

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Giunto Alessandro alla famosa tomba
Del fero Achille, sospirando disse:
O fortunato, che sì chiara tromba
Trovasti, e chi di te sì alto scrisse!

E se Alessandro ebbe invidia ad Achille non de' suoi fatti, ma della fortuna che prestato gli avea tanta felicità che le cose sue fosseno celebrate da Omero, comprender si può che estimasse più le lettere d' Omero, che l'arme d'Achille. Qual altro giudice adunque o qual' altra sentenza aspettate voi

della dignità dell'arme e delle lettere, che quella che fu data da un de' più gran capitani che mai sia stato?

XLVI. Rispose allora il CONTE: Io biasimo i Franzesi che estiman le lettere nuocere alla profession dell'arme, e tengo che a niun più si convenga l'esser litterato che ad un uom di guerra; e queste due condizioni concatenate, e l'una dall'altra ajutate, il che è convenientissimo, voglio che siano nel nostro Cortegiano: nè per questo parmi esser mutato d'opinione. Ma, come ho detto, disputar non voglio qual d'esse sia più degna di laude. Basta che i litterati quasi mai à non pigliano a laudare, se non uomini grandi e fatti gloriosi, i quali da sè meritano laude per la propria essenzial virtute : donde nascono; oltre a ciò sono nobilissima materia dei scrittori: il che è grande ornamento, ed in parte causa di perpetuare i scritti, li quali forse non sariano tanto letti nė apprezzati se mancasse loro il nobile suggetto, ma vani e di poco momento. E se Alessandro ebbe invidia ad Achille per esser laudato da chi fu, non conchiude però questo che estiImasse più le lettere che l'arme; nelle quali se tanto si fosse conosciuto lontano da Achille, come nel scrivere estimava che dovessero esser da Omero tutti quelli che di lui fossero per scrivere, son certo che molto prima averia desiderato il ben fare in sè, che il ben dire in altri. Però questa credo io che fosse una tacita laude di sè stesso, ed un desiderar =quello che aver non gli pareva, cioè la suprema eccellenza d'un scrittore; e non quello che già si presumeva aver conseguito, cioè la virtù dell' arme, nella quale non estimava che Achille punto gli fosse superiore: onde chiamollo fortunato, quasi accennando, che se la fama sua per lo innanzi non fosse tanto celebrata al mondo come quella, che era per cosi divin poema chiara ed illustre, non procedesse perchè il valore ed i meriti non fossero tanti e di tanta laude degni, ma nascesse dalla fortuna, la quale avea parato inanti ad Achille quel miracolo di natura per gloriosa tromba delopere sue; e forse ancor volse eccitar qualche nobile ingegno a scrivere di sè, mostrando per questo dovergli esser tanto grato, quanto amava e venerava i sacri monumenti delle lettere: circa le quali omai s'è parlato a bastanza. —

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Anzi troppo, rispose il signor LUDOVICO PIO; perchè credo che al mondo non sia possibile ritrovar un vaso tanto grande, che fosse capace di tutte le cose che voi volete che stiano in questo Cortegiano. Allor il CONTE, Aspettate un poco, disse, che molte altre ancor ve ne hanno da essere. — Rispose PIETRO DA NAPOLI: A questo modo il Grasso de' Medici averà gran vantaggio da messer Pietro Bembo.

XLVII. Rise quivi ognuno; e ricominciando il Conte, Signori, disse, avete a sapere, ch'io non mi contento del Cortegiano, s' egli non è ancor musico, e se, oltre allo intendere ed esser sicuro a libro, non sa di varii instrumenti: perchè, se ben pensiamo, niuno riposo di fatiche e medicina d'animi infermi ritrovar si può più onesta e laudevole nell'ozio che questa; e massimamente nelle corti, dove, oltre al refrigerio de' fastidii che ad ognuno la musica presta, molte cose si fanno per satisfar alle donne, gli animi delle quali, teneri e molli, facilmente sono dall'armonia penetrati e di dolcezza ripieni. Però non è maraviglia se nei tempi antichi e ne' presenti sempre esse state sono a' musici inclinate, ed hanno avuto questo per gratissimo cibo d'animo. - Allor il signor GASPAR, La musica penso, disse, che insieme con molte altre vanità sia alle donne conveniente si, e forse ancor ad alcuni che hanno similitudine d'uomini, ma non a quelli che veramente sono; i quali non deono con delizie effeminare gli animi, ed indurgli in tal modo a temer la morte. Non dite, rispose il CONTE; perch' io v'entrarò in un gran pelago di laude della musica: e ricordarò quanto sempre appresso gli antichi sia stata celebrata e tenuta per è cosa sacra, e sia stato opinione di sapientissimi filosofi, il mondo esser composto di musica, e i cieli nel moversi far armonia; e l'anima nostra pur con la medesima ragione esser formata, e però destarsi e quasi vivificar le sue virtù per la musica. Per il che si scrive, Alessandro alcuna volta esser stato da quella cosi ardentemente incitato, che quasi contra sua voglia gli bisognava levarsi dai convivii, e correre all' arme; poi, mutando il musico la sorte del suono, mitigarsi, e tornar dall' arme ai convivii. E diròvvi, il severo Socrate, già vecchissimo, aver imparato a sonare la citara.

E ricordomi aver già inteso, che Platone ed Aristotele vogliono che l'uom bene instituito sia ancor musico; e con in* finite ragioni mostrano, la forza della musica in noi essere grandissima, e per molte cause, che or saria lungo a dir, doversi necessariamente imparar da puerizia; non tanto per * quella superficial melodia che si sente, ma per esser sufficiente ad indur in noi un nuovo abito buono, ed un costume i tendente alla virtù, il qual fa l'animo più capace di felicità, secondo che lo esercizio corporale fa il corpo più gagliardo; e non solamente non nuocere alle cose civili e della guerra, ma loro giovar sommamente. Licurgo ancora, nelle severe sue leggi, la musica approvò. E leggesi, i Lacedemonii belli↑ cosissimi ed i Cretensi aver usato nelle battaglie cítare ed altri instrumenti molli; e molti eccellentissimi capitani antichi, come Epaminonda, aver dato opera alla musica; e quelli che non ne sapeano, come Temistocle, esser stati #molto meno apprezzati. Non avete voi letto, che delle prime discipline che insegnò il buon vecchio Chirone nella tenera età ad Achille, il qual egli nutri dallo latte e dalla culla, fu la musica; e volse il savio maestro che le mani che aveano a sparger tanto sangue trojano, fossero spesso occupate nel suono della citara? Qual soldato adunque sarà che si vergo#gni d'imitar Achille, lasciando molti altri famosi capitani ch'io potrei addurre? Però non vogliate voi privar il nostro Cortegiano della musica, la qual non solamente gli animi umani indolcisce, ma spesso le fiere fa diventar mansuete; e chi non la gusta, si può tener certo che abbia gli spiriti discordanti l'un dall' altro. Eccovi quanto essa può, che 9 già trasse un pesce a lasciarsi cavalcar da un uomo per mezzo il procelloso mare. Questa veggiamo operarsi ne' sacri tempii in rendere laude e grazie Dio; e credibil cosa è che ella grata a lui sia, ed egli a noi data l'abbia per dolcissimo alleviamento delle fatiche e fastidii nostri. Onde spesso i duri lavoratori de' campi sotto l'ardente sole ingannano la lor noja col rozzo ed agreste cantare. Con questo la incolta contadinella, che inanzi al giorno a filare o a tessere si lieva, dal sonno si difende, e la sua fatica fa piacevole ; questo è giocondissimo trastullo dopo le piogge, i

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