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più d'avere. Di questa sorte non voglio che sia il nostro Cortegiano. Voglio ben che ami i favori, ma non però gli estimi tanto, che non paja poter ancor star senz' essi; e quando gli consegue non mostri d'esservi dentro nuovo nè forestiero, nè maravigliarsi che gli siano offerti; nè gli rifiuti di quel modo che fanno alcuni, che per vera ignoranza restano d'accettargli, e cosi fanno vedere ai circonstanti che se ne conoscono indegni. Dee ben l'uomo star sempre un poco più rimesso che non comporta il grado suo; non accettar così facilmente i favori ed onori che gli sono offerti, e rifiutarli modestamente, mostrando estimargli assai, con tal modo però, che dia occasione a chi gli offerisce d'offerirgli con molto maggior instanza; perchè quanto più resistenza con tal modo s'usa nello accettargli, tanto più pare a quel principe che gli concede d'esser estimato, e che la grazia che fa tanto sia maggiore, quanto più colui che la riceve mostra apprezzarla e più di essa tenersi onorato. E questi son i veri e sodi favori, e che fanno l'uomo esser estimato da chi di fuor li vede; perchè, non essendo mendicati, ognun presume che nascano da vera virtù; e tanto più, quanto sono accompagnati dalla modestia.

XX. Disse allor messer Cesare GonzaGA: Parmi che abbiate rubato questo passo allo Evangelio, dove dice: Quando sei invitato a nozze, va, ed assettati nell' infimo loco, acciò che venendo colui che t'ha invitato, dica: Amico, ascendi più su;— e così ti sarà onore alla presenza dei convitati. — Rise messer FEDERICO, e disse: Troppo gran sacrilegio sarebbe rubare allo Evangelio; ma voi siete più dotto nella Sacra Scrittura ch'io non mi pensava; poi soggiunse: Vedete come a gran pericolo si mettano talor quelli che temerariamente inanzi ad un signore entrano in ragionamento, senza che altri li ricerchi; e spesso quel signore, per far loro scorno, non risponde e volge il capo ad un'altra mano, e se pur risponde loro, ognun vede che lo fa con fastidio. Per aver adunque favor dai signori, non è miglior via che meritargli; nè bisogna che l'uomo si confidi, vedendo un altro che sia grato ad un principe per qualsivoglia cosa, di dover, per imitarlo, esso ancor medesimamente venire a quel grado: perchè ad ognun non

si convien ogni cosa; e trovarassi talor un uomo, il qual da natura sarà tanto pronto alle facezie, che ciò che dirȧ porterà seco il riso, e parerà che sia nato solamente per quello: e s'un altro che abbia maniera di gravità, avvenga che sia di buonissimo ingegno, vorrà mettersi a far il medesimo, sarà freddissimo e disgraziato, di sorte che farà stomaco a chi l' udirà; e riuscirà appunto quell' asino, che ad imitazion del cane volea scherzar col patrone. Però bisogna che ognun conosca sè stesso e le forze sue, ed a quello s' accommodi, e consideri quali cose ha da imitare e quali no.

XXI. Prima che più avanti passate, disse quivi VINCENZIO CALMETA, s' io ho ben inteso, parmi che dianzi abbiate detto che la miglior via per conseguir favori sia il meritargli; e che più presto dee il Cortegiano aspettar che gli siano offerti, che prosuntuosamente ricercargli. Io dubito assai che questa regola sia poco al proposito, e parmi che la esperienza ci faccia molto ben chiari del contrario: perchè oggidi pochissimi sono favoriti da' signori, eccetto i prosuntuosi; e so che voi potete esser buon testimonio d'alcuni, che, ritrovandosi in poca grazia dei lor principi, solamente con la prosunzione si son loro fatti grati; ma quelli che per modestia siano ascesi, io per me non conosco, ed a voi ancor do spazio di pensarvi, e credo che pochi ne trovarete. E se considerate la corte di Francia, la qual oggidi è una delle più nobili di cristianità, trovarete che tutti quelli che in essa hanno grazia universale, tengon del prosuntuoso; e non solamente l'uno con l'altro, ma col re medesimo. - Questo non dite già, rispose messer FEDERICO; anzi in Francia sono modestissimi e cortesi gentiluomini: vero è che usano una certa libertà e domestichezza senza cerimonia, la qual ad essi è propria e naturale; e però non si dee chiamar prosunzione, perchè in quella sua cosi fatta maniera, benchè ridano, e piglino piacere dei prosuntuosi, pur apprezzano molto quelli che loro pajono aver in sè valore e modestia. Rispose il CALMETA: Guardate i Spagnoli, i quali par che siano maestri della Cortegianía, e considerate quanti ne trovate, che con donne e con signori non siano prosuntuosissimi; e tanto più de'Franzesi, quanto che nel primo aspetto mostrano grandissima

modestia: e veramente in ciò sono discreti, perchè, come ho detto, i signori de' nostri tempi tutti favoriscono que' soli che hanno tai costumi.

XXII. Rispose allor messer FEDERICO: Non voglio già comportar, messer Vincenzio, che voi questa nota diate ai signori de' nostri tempi; perchè pur ancor molti sono che amano la modestia, la quale io non dico però che sola basti per far l' uom grato: dico ben, che quando è congiunta con un gran valore, onora assai chi la possede; e se ella di sè stessa tace, l'opere laudevoli parlano largamente, e son molto più maravigliose che se fossero compagnate dalla prosunzione e temerità. Non voglio già negar che non si trovino molti Spagnoli prosuntuosi; dico ben, che quelli che sono assai estimati, per il più sono modestissimi. Ritrovansi poi ancor alcun' altri tanto freddi, che fuggono il consorzio degli uomini troppo fuor di modo, e passano un certo grado di mediocrità, tal che si fanno estimare o troppo timidi o troppo superbi; e questi per niente non laudo, nè voglio che la modestia sia tanto asciutta ed arida, che diventi rusticità. Ma sia il Cortegiano, quando gli vien in proposito, facondo, e nei discorsi de' stati prudente e savio, ed abbia tanto giudicio, che sappia accommodarsi ai costumi delle nazioni ove si ritrova; poi nelle cose più basse sia piacevole, e ragioni ben d'ogni cosa; ma sopra tutto tenda sempre al bene: non invidioso, non maldicente; nè mai s'induca a cercar grazia o favor per via viziosa, nè per mezzo di mala sorte. Disse allora il CALMETA: Io v'assicuro che tutte l'altre vie son molto più dubiose e più lunghe che non è questa che voi biasimate; perchè oggidi, per replicarlo un' altra volta, i signori non amano se non que' che son volti a tal cammino. - Non dite così, rispose allor messer FEDERICO, perchè questo sarebbe troppo chiaro argomento, che i signori de' nostri tempi fossero tutti viziosi e mali; il che non è, perchè pur se ne ritrovano alcuni buoni. Ma se'l nostro Cortegiano per sorte sua si troverà esser a servizio d'un che sia vizioso e maligno, subito che lo conosca se ne levi, per non provar quello estremo affanno che sentono tutti i buoni che serveno ai mali. - Bisogna pregar Dio, rispose il CALMETA, che ce gli dia buoni, perché quando

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s' hanno, è forza patirgli tali quali sono; perchè infiniti rispetti astringono chi è gentiluomo, poi che ha cominciato a servire ad un patrone, a non lasciarlo; ma la disgrazia consiste nel principio: e sono i Cortegiani in questo caso alla condizion di que' malavventurati uccelli, che nascono in trista valle. - A me pare, disse messer FEDERICO, che 'l debito debba valer più che tutti i rispetti; e pur che un gentiluomo non lasci il patrone quando fosse in su la guerra o in qualche avversità, di sorte che si potesse credere che ciò facesse per secondar la fortuna, o per parergli che gli mancasse quel mezzo del qual potesse trarre utilità, da ogni altro tempo credo che possa con ragion e debba levarsi da quella servitù, che tra i buoni sia per dargli vergogna; perchè ognun prosume che chi serve ai buoni sia buono, e chi serve ai mali sia malo.

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XXIII. Vorrei, disse allor il signor LUDOVICO Pio, che voi mi chiariste un dubio ch' io ho nella mente; il qual'è, se un gentiluomo, mentre che serve ad un principe, è obligato ad ubedirgli in tutte le cose che gli comanda, ancor che fossero disoneste e vituper In cose disoneste non siamo noi obligati ad ubedire a persona alcuna, rispose messer FEDERICO. E come, replicò il signor LUDOVICO, s' io starò al servizio d'un principe il qual mi tratti bene, e si confidi ch' io debba far per lui ciò che far si può, comandandomi ch'io vada ad ammazzare un uomo, o far qualsivoglia altra cosa, debbo io rifiutar di farla? Voi dovete, rispose messer FEDERICO, ubedire al signor vostro in tutte le cose che a lui sono utili ed onorevoli, non in quelle che gli sono di danno e di vergogna: però se esso vi comandasse che faceste un tradimento, non solamente non sete obligato a farlo, ma sete obligato a non farlo, e per voi stesso, e per non esser ministro della vergogna del signor vostro. Vero è che molte cose pajono al primo aspetto buone che sono male, e molte pajono male e pur son buone. Però è licito talor per servizio de' suoi signori ammazzare non un uomo ma diece milia, e far molte altre cose, le quali, a chi non le considerasse come si dee, pareriano male, e pur non sono. - Rispose allor il signor GASPAR PALLAVICINO: Deh, per vostra fè,

ragionate un poco sopra questo, ed insegnateci come si possan discerner le cose veramente buone dalle apparenti. — Perdonatemi, disse messer FEDERICO; io non voglio entrar qua, chè troppo ci saria che dire, ma il tutto si rimetta alla discrezion vostra.

XXIV. Chiaritemi almen un altro dubio, replicò il signor GASPARO. E che dubio?-disse messer FEDERICO. Questo, rispose il signor Gasparo. Vorrei sapere, essendomi imposto da un mio signor terminatamente quello ch' io abbia a fare in una impresa o negozio di qualsivoglia sorte, s' io, ritrovandomi in fatto, e parendomi con l'operare più o meno o altrimenti di quello che m' è stato imposto, poter fare succedere la cosa più prosperamente o con più utilità di chi m'ha dato tal carico, debbo io governarmi secondo quella prima norma senza passar i termini del comandamento, o pur far quello che a me pare esser meglio? — Rispose allora messer Federico: Io, circa questo, vi darei la sentenza con lo esempio di Manlio Torquato, che in tal caso per troppo pietà uccise il figliolo, se lo estimassi degno di molta laude, che in vero non l'estimo; benchè ancor non oso biasimarlo, contra la opinion di tanti secoli: perchè senza dubio è assai pericolosa cosa desviare dai comandamenti de' suoi maggiori, confidandosi più del giudicio di sè stessi che di quegli ai quali ragionevolmente s' ha da ubedire; perchè se per sorte il pensier vien fallito, e la cosa succeda male, incorre l'uomo nell'error della disubedienza, e ruina quello che ha da far senza via alcuna di escusazione o speranza di perdono; se ancor la cosa vien secondo il desiderio, bisogna laudarne la ventura, e contentarsene: pur con tal modo s'introduce una usanza d'estimar poco i comandamenti de' superiori; e per esempio di quello a cui sarà successo bene, il quale forse sarà prudente ed arȧ discorso con ragione, ed ancor sarà stato ajutato dalla fortuna, vorranno poi mille altri ignoranti e leggieri pigliar sicurtà nelle cose importantissime di far al lor modo, e, per mostrar d'esser savii ed aver autorità, desviar dai comandamenti de'signori: il che è malissima cosa, e spesso causa d'infiniti errori. Ma io estimo che in tal caso debba quello a cui tocca considerar maturamente, e quasi porre in

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