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Zotta. Parm., Reg. e Mod. Imbrat-Zulla. Fer. Percossa. - Zullà r. Per

to; aqua grassa che si dà in pasto ai majali.

Zózzal. Rom. Sciatto, sciamannato. Corrisponde quasi a Sozzo. Ztarón. Rom. Rosciola. Pianta comune fra le biade.-L. Agrostemma githago.

Ztèr. Reg.

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che corre per la parte più bassa delle strade.

Zurpä. Rom. Far baje, ruzzare.

Zetår. Ver. - Ztàr. Zutä. Rom. Prèndere a sassi.

Fer. Temperare, tagliare (Dicesi Zvad ga. Bol. Società, accomandita delle penne da scrivere).

di bestiame.

CAPO IV.

Cenni istòrici sulla letteratura dei dialetti emiliani.

Gruppo Bolognese.

Incominciando il nostro cenno dalle produzioni letteràrie del primo gruppo, che abbiamo denominato bolognese, è mestieri premettere alcune osservazioni, quali sono: 1.o Che fra tutti i dialetti componenti questo gruppo, il principale, vale a dire il bolognese propriamente detto, è il 'solo che veramente possegga letteratura propria ricca di svariati componimenti, sì in prosa che in verso, di autori versati nelle scientifiche discipline del pari che nelle clàssiche letterature; mentre quasi tutti gli altri dialetti o rimasero perfettamente inculti sino ai dì nostri, o nòverano appena un ristretto número di produzioni, per lo più d'occasione, cui mal s'addirebbe lo specioso titolo di letteratura; 2." Che eziandio nel dialetto bolognese s' incominciò a scrivere assai tardi, vale a dire sul tramonto appena del secolo XVI, per modo che la sua letteratura conta poco più che due sècoli d'esistenza; e durante questo periodo ebbe anch' essa a subire le sue fasi e le sue interruzioni a norma delle politiche vicende, che in ogni luogo e in ogni tempo imprèssero il rispettivo colore sui vari componimenti; 3.° Che mentre gli scrittori lombardi come accennammo superiormente, esordirono coi loro componimenti vernácoli nei rùstici dialetti, alternando successivamente quelli di Val di Blenio, di Valle Intragna, e della campagna superiore milanese, togliendo sempre a próprio rappresentante l'uomo delle infime classi, i Bolognesi all'incontro si vàlsero sin da principio del dialetto cittadino non solo, ma scelsero a prefe

renza a loro intèrprete l'uomo distinto per nascita e per scienza, dal cui grave contegno e sentenzioso diálogo traspare ovunque il motto caratteristico della nazione: Bononia docet. Il primo personaggio infatti scelto per tipo a rappresentare il Bolognese nelle più antiche commedie si fu certo Dottor Graziano, che per lo più cogli arguti consigli prestava la chiave allo sviluppo del dramma nelle rappresentazioni famigliari, che furono assai numerose nel secolo XVII. Al Dottor Graziano fùrono sostituiti successivamente il Dottor Balanzón Lombarda ed il Dottor Truvlèin, il primo de' quali, come mèdico e filòsofo, prestò lungamente il sale e la dottrina ai poeti ed agli scrittori di commedie, ed il secondo, come astrònomo, prestò il nome ad una lunga sèrie d'almanacchi ripieni di faceti componimenti poètici.

Fra i più antichi scrittori di commedie, che introdussero per la prima volta il Bolognese Graziano a parlarvi la nativa favella, mèritano speciale menzione Giulio Cèsare Croci, Adriano Banchieri, col mentito nome di Camillo Scaligeri dalla Fratta, Melchiorre Zoppio, Diofebo Agresti, Fabrizio Mirandola, Fulvio Gherardi ed altri molti che arricchirono di componimenti drammatici la patria letteratura; ma in tutte queste produzioni intese a ricreare gli spìriti fra gli ozj autunnali e le lunghe sere d'inverno, il dialetto bolognese, come si scorge, non vi ebbe che parte secondaria, in forma di dialogo domèstico, essendo d' altronde quasi tutte queste commedie scritte in lingua italiana, e parlandovi il solo Graziano la nativa. Arroge, che talvolta l'autore di tali drammi non era neppure Bolognese, e che per conseguenza ben di sovente il linguaggio posto in bocca al Graziano era un linguaggio bastardo ripieno d' idiotismi di vari paesi, guasti ancora dall' ortografia imperfetta adottata dai tipografi e dall'imperizia dei copisti.

Per queste ed altre simili considerazioni, il primo scrittore che dobbiamo risguardare come fondatore e padre della letteratura vernácola bolognese, si è il rinomato Giulio Cèsare Croci, il quale fornito di vivace e fèrtile immaginazione e di poètici talenti, oltre ad un número ragguardevole di commedie, scrisse ancora alquanti componimenti poètici nel vulgare dialetto, e tal

volta ancora in quello della campagna. Tali sono fra gli altri: Il lamento di Barba Pol per aver perso la Tognina sua massaja, Il Battibecco delle lavandare; Il lamento dei villani pel bando che intimava loro la consegna degli schioppi; La Tebia d' Barba Pol da la Livradya fatta dal Cavall; La Rossa dal Verga; La Fleppa combattù; La Simona dalla Sambuca ; Il Festino di Barba Bigo dalla Valle; Vanto di due Villani; La gran grida fatta da Vergòn dalla Sambuca per aver perso l'àsiño del suo patrone. Rivaleggiava col Croci Adriano Banchieri, il quale collo scopo di promuovere la patria letteratura vernácola, pubblicò nel 1626 in Bologna un Discorso sulla precedenza ed eccedenza della lingua bolognese alla toscana, così nella prosa come nel verso.

Le speciose argomentazioni colle quali tentò provare l'assunto non rimasero senza effetto, dappoichè due anni posteriormente il pittore bolognese Gio. Francesco Negri pubblicava una versione in dialetto bolognese della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso; tentativo per verità non meno árduo che difficile, col quale, sebbene a suo malgrado, il traduttore diede una solenne mentita di fatto alle ardite asserzioni del Banchieri rispetto alla superiorità di quel dialetto al paraggio dell'italiana favella; giacchè non appena ebbe egli pubblicato il duodécimo Canto della sua versione, che i principali Signori di Bologna gli vietárono di continuarne la pubblicazione, per non palesare il troppo ridicoloso effetto della loro natia favella. Così appunto suona una nota apposta in fine del volume contenente il frammento della versione suddetta. Con tutto ciò non lasceremo a questo propósito di avvertire, che se ardito e men fondato ci parve il tema proposto dal Banchieri, non possiamo nemmeno prender parte nell' opinione dei Signori bolognesi che distòlsero il Negri dal compimento dell'impresa versione; mentre, lasciando a parte qualsiasi inopportuno confronto, egli è fuor d'ogni dubbio che il dialetto bolognese, al pari di tutti gli altri dialetti, ha le sue peculiari e distintive bellezze, come appare da alquanti brani della versione surriferita, e meglio ancora da una lunga serie di componimenti originali di scrittori distinti che illustràrono quel sècolo, non che i successivi.

Procedendo sulle orme del Banchieri, verso la metà dello stesso secolo, Ovidio Montalbani si fece a provare l'antichità, l'importanza e la bellezza della patria lingua in due opere successive intitolate; la prima: Dialogogia, ovvero delle cagioni e della naturalezza del parlare, e spezialmente del più antico, del più vero di Bologna; la 2. Cronopròstasi Felsinea, ovvero le saturnali vindicie del parlar bolognese e lombardo. Ambedue queste òpere fùrono più tardi dallo stesso autore compenetrate nel libro intitolato: Il Vocabolista bolognese, nel quale si dimostra il parlare più antico di Bologna lodevolissimo.

Questi nuovi sforzi del Montalbani intesi a provare la nobiltà e la ricchezza del proprio dialetto, fùrono ben presto assecondati dagli scrittori successivi, che in buon numero si fècero ad illustrarlo con una serie di componimenti originali. Senza soffermarci alle poesie di minor conto di Antonio Maria Accursi, che sono quà e là cosperse d'àttico sale e di lèpide immàgini, mèrita onorevole menzione sopra tutti il cèlebre Lotto Lotti, che sollevò pel primo il proprio dialetto all'onore dell'epopèa, celebrando in cinque Canti in ottava rima La Liberazione di Vienna dall' assedio dei Turchi. Sono importanti le osservazioni fatte dallo stesso autore nella prefazione al suo poemetto, cui diede lo strano titolo: Ch' n'à cervèll åpa gamb, colle quali, mentre cerca iscusare l'improprietà di certe voci per lui adoperate, che potrebbero non sembrare a taluno prette bolognesi, accenna alla varietà di fraseggiare, di pronuncia, di accento e d'idiotismi esistente a' suoi tempi, vale a dire due sècoli fa, nei varii quartieri della stessa città di Bologna, così appunto come noi l'abbiamo notata oggidi, non solo in Bologna, ma in tutte le grandi città d'Italia. Una tale testimonianza essendo di gran valore pel linguista, al quale somministra novella prova, che nemmeno la vicinanza ed il quotidiano commercio tra due dialetti comunque affini, vale coi sècoli a fonderli perfettamente in un solo, nè molto meno a distruggere gli essenziali elementi primitivi che li distinguono, crediamo opportuno riportarla verbalmente, onde avvalorare ancor più i cànoni principali che nel corso di queste penose ricerche siamo venuti mano mano sviluppando. «. Tu mi

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