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mirarlo con dimostrazione di compiacersene, in atto di volerlosi recare in capo; e a' piedi alcuni volumi, quasi negletti da lei, come piccola parte della sua gloria.

Ma tra noi moderni, esclusi comunemente da ogni altro cammino di celebrità, quelli che si pongono per la via degli studi, mostrano nella elezione quella maggior grandezza d'animo che oggi si può mostrare, e non hanno necessità di scusarsi colla loro patria. Di maniera che, in quanto alla magnanimità, lodo sommamente il tuo proposito. Ma perciocchè questa via, come quella che non è secondo la natura degli uomini, non si può seguire senza pregiudizio del corpo, nè senza moltiplicare in diversi modi l'infelicità naturale del proprio animo; però innanzi ad ogni altra cosa stimo sia conveniente e dovuto non meno all' ufficio mio, che all' amor grande che tu meriti e che io ti porto, renderti consapevole sì di varie difficoltà che si frappongono al conseguimento della gloria alla quale aspiri, e sì del frutto che ella è per produrti in caso che tu la conseguisca, secondo che fino a ora ho potuto conoscer coll' esperienza o col discorso acciocchè misurando teco medesimo, da una parte quanta sia l'importanza e il pregio del fine, e quanta la speranza dell' ottenerlo; dall' altra i danni, le fatiche, i disagi che porta seco il cercarlo (dei quali ti ragionerò distintamente in altra occasione) tu possa con piena notizia considerare e risolvere se ti sia più spediente di seguitarlo, o di volgerti ad altra via.

Qui tien dietro una lunga enumerazione delle cause che rendono difficile, anzi, secondo l'autore, impossibile l'ottener gloria per mezzo delle lettere tra gli uomini che vivono con noi; quindi prosegue:

Non potendo nella conversazione degli uomini godere quasi alcun beneficio della tua gloria, la maggiore utilità che ne ritrarrai sarà di rivolgerla nell'animo e di compiacertene teco stesso nel silenzio della tua solitudine, con pigliarne stimolo e conforto a nuove fatiche, e fartene fondamento a nuove speranze. Perocchè la gloria degli scrittori, non solo, come tutti i beni degli uomini, riesce più grata da lungi che da vicino, ma non è mai, si può dire, presente a chi la possiede, e non si ritrova in nessun luogo.

Dunque per ultimo ricorrerai coll'immaginativa a quell' estremo rifugio e conforto degli animi grandj, che è la posterità. Nel modo che Cicerone, ricco non di una semplice gloria, nè questa volgare e tenue, ma di una moltiplice e disusata, e quanta ad un sommo antico romano tra uomini romani e antichi era con

veniente che pervenisse; nondimeno si volge col desiderio alle generazioni future, dicendo, benchè sotto altra persona : pensi tu che io mi fossi potuto indurre a prendere e a sostenere tante fatiche il di e la notte, in città e nel campo, se avessi creduto che la mia gloria non fosse per passare i termini della mia vita? Non era molto più da eleggere un vivere ozioso e tranquillo senza alcuna fatica o sollecitudine? Ma l'animo mio, non so come, quasi levato alto il capo, mirava di continuo alla posterità in modo, come se egli, passato che fosse di vita, allora finalmente fosse per vivere. Il che da Cicerone si riferisce a un sentimento dell' immortalità degli animi propri, ingenerato da natura nei petti umani. Ma la cagione vera si è, che tutti i beni del mondo non prima sono acquistati, che si conoscono indegni delle cure e delle fatiche avute in procacciarli ; massimamente la gloria, che fra tutti gli altri è di maggior prezzo a comperare e di meno uso a possedere. Ma come, secondo il detto di Simonide,

<< La bella speme tutti ci nutrica

Di sembianze beate,

Onde ciascuno indarno si affatica;

Altri l'aurora amica, altri l'etate

O la stagione aspetta ;

E nullo in terra il mortal corso affretta,
Cui nell'anno avvenir facili e pii

Con Pluto gli altri Iddii

La mente non prometta; »

così di mano in mano che altri per prova è fatto certo della vanità della gloria, la speranza, quasi cacciata e inseguita di luogo in luogo, in ultimo non avendo più dove riposarsi in tutto lo spazio della vita, non perciò vien meno, ma passata di là dalla stessa morte, si ferma nella posterità. Perocchè l'uomo è sempre inclinato e necessitato a sostenersi del ben futuro, così come egli è sempre malissimo soddisfatto del ben presente. Laonde quelli che sono desiderosi di gloria, ottenutala pure in vita, si pascono principalmente di quella che sperano possedere dopo la morte; nel modo stesso che niuno è così felice oggi, che, disprezzando la felicità presente, non si conforti col pensiero di quella parimente vana che egli si promette nell' avvenire.

E dopo avere addotte le ragioni che possono convalidare la sua opinione, finisce dicendo:

Forse in ultimo luogo ricercherai d'intendere

mio parere

e consiglio espresso, se a te, per tuo meglio, si convenga più di

.

proseguire o di omettere il cammino di questa gloria sì povera di utilità, sì difficile e incerta hon meno a ritenere che a conseguire, simile all' ombra, che quando tu l'abbi tra le mani, non puoi nè sentirla nè fermarla, che non si fugga. Dirò brevemente, senz' alcuna dissimulazione, fl mio parere. Io stimo che cotesta tua maravigliosa acutezza e forza d'intendimento, cotesta nobiltà, caldezza e fecondità di cuore e d'immaginazione sieno di tutte le qualità che la sorte dispensa agli animi umani, le più dannose e lacrimevoli a chi le riceve. Ma ricevute che sono, con difficoltà si fugge il loro danno e da altra parte, a questi tempi, quasi l'unica utilità che elle possono dare, si è questa gloria che talvolta se ne ritrae con applicarle alle lettere e alle dottrine. Dunque, come fanno quei poveri che, essendo per alcun accidente manchevoli o mal disposti di qualche loro membro, s'ingegnano di volgere questo loro infortunio al maggior profitto che possono, giovandosi di quello a muovere per mezzo della misericordia la liberalità degli uomini ; così la mia sentenza è, che tu debba industriarti di ricavare a ogni modo da coteste tue qualità quel solo bene, quantunque piccolo e incerto, che sono atte a produrre. Comunemente elle sono avute per benefizi e doni della natura, e invidiate spesso da chi ne è privo ai pas. sati o ai presenti che le sortirono. Cosa non meno contraria al retto senso, che se qualche uomo sano invidiasse a quei miseri che io diceva le calamità del loro corpo; quasi che il danno di quelle fosse da eleggere volentieri, per conto dell'infelice guadagno che partoriscono. Gli altri attendono a operare, per quanto concedono i tempi, e a godere quanto comporta questa condizione mortale. Gli scrittori grandi, incapaci, per natura o per abito, di molti piaceri umani; privi di altri molti per volontà; non di rado negletti nel consorzio degli uomini, se non forse dai pochi che seguono i medesimi studi; hanno per destino di condurre una vita simile alla morte, e vivere, se pur l'ottengono, dopo sepolti. Ma il nostro fato, dove che egli ci tragga, è da seguire con animo forte e grande; la qual cosa è richiesta massime alla tua virtù, e di quelli che ti somigliano.

Ritratto di Socrate.

Socrate nato con animo assai gentile, e però con disposizione grandissima ad amare; ma sciagurato oltremodo nella forma del corpo; verisimilmente fino nella giovinezza disperò di potere essere amato con altro amore che quello dell' amicizia, poco atto a soddisfare un cuore delicato e fervido, che spesso senta verso gli altri un affetto molto più dolce. Da altra parte, con tutto

che egli abbondasse di quel coraggio che nasce dalla ragione, non pare che fosse fornito bastantemente di quello che viene dalla natura, nè delle altre qualità che in quei tempi di guerre e di sedizioni, e in quella tanta licenza degli Ateniesi, erano ne. cessarie a trattare nella sua patria i negozi pubblici. Al che la sua forma ingrata e ridicola gli sarebbe anche stata di non piccolo pregiudizio appresso a un popolo che, eziandio nella lingua, faceva pochissima differenza dal buono al bello, e oltre di ciò deditissimo a motteggiare. Dunque in una città libera e piena di strepito, di passioni, di negozi, di passatempi, di ricchezze e di altre fortune; Socrate povero, rifiutato dall' amore, poco atto ai maneggi pubblici; e nondimeno dotato d' un ingegno grandissimo che, aggiunto a condizioni tali, doveva accrescere fuor di modo ogni loro molestia; si pose per ozio a ragionare sottilmente delle azioni, dei costumi e delle qualità de' suoi cittadini: nel che gli venne usata una certa ironia; come naturalmente doveva accadere a chi si trovava impedito di aver parte, per dir così, nella vita. Ma la mansuetudine e la magnanimità della sua natura, ed anche la celebrità che egli si venne guadagnando con questi medesimi ragionamenti, e dalla quale dovette essergli consolato in qualche parte l'amor proprio, fecero che questa ironia non fu sdegnosa ed acerba, ma riposata e dolce. Cosi la filosofia per la prima volta, secondo il famoso detto di Cicerone, fatta scendere dal cielo, fu introdotta da Socrate nelle città e nelle case: e rimossa dalla speculazione delle cose occulte, nella quale era stata occupata insino a quel tempo, fu rivolta a considerare i costumi e la vita degli uomini, e a disputare delle virtù e dei vizi, delle cose buone ed utili, e delle contrarie. Ma Socrate da principio non ebbe in animo di fare quest' innovazione, nè d'insegnar che che sia, nè di conseguire il nome di filosofo, che a que' tempi era proprio dei soli fisici o metafisici; onde egli per quelle tali sue discussioni e quei tali colloqui non lo poteva sperare: anzi professò apertamente di non saper cosa alcuna, e non si propose altro, che d'intrattenersi favellando dei casi altrui; preferito questo passatempo alla filosofia stessa, niente meno che a qualunque altra scienza ed a qualunque arte, perchè inclinando naturalmente alle azioni molto più che alle speculazioni, non si volgeva al discorrere, se non per le difficoltà che gl' impedivano l'operare. E nei discorsi sempre si esercitò colle persone giovani e belle più volentieri che cogli altri; quasi ingannando il desiderio, e compiacendosi d'essere stimato da coloro da cui molto maggiormente avrebbe voluto essere amato.

AMBROSOLI.

· IV.

8

L'Ora prima e il Sole.

Ora prima. Buon giorno, Eccellenza.
Sole. Si: anzi buona notte.

Dra prima. I cavalli sono in ordine.
Sole. Bene.

Ora prima. La diana è venuta fuori da un pezzo.

Sole. Bene; venga o vada a suo agio.

Ora prima. Che intende di dire vostra Eccellenza ?

Sole. Intendo che tu mi lasci stare.

Ora prima. Ma, Eccellenza, la notte è già durata tanto, che non può durare più; e se noi c'¡ndugiassimo, vegga, Eccellenza, che poi non nascesse qualche disordine.

Sole. Nasca quello che vuole, che io non mi muovo.

Ora prima. Oh, Eccellenza, che è cotesto? si sentirebbe ella male?

Sole. No no, io non mi sento nulla, se non che io non mi voglio muovere e però tu te ne anderai per le tue faccende.

Ora prima. Come debbo io andare se non viene ella, chè io sono la prima ora del giorno? e il giorno come può essere, se vostra Eccellenza non si degna, come è solita, di uscir fuori?

Sole. Se non sarai del giorno, sarai della notte: ovvero le ore della notte faranno l' uffizio doppio, e tu e le tue compagne starete in ozio. Perchè, sai tu che è? Io sono stanco di questo continuo andare attorno per far lume a quattro animaluzzi che vivono in su un pugno di fango tanto piccino, che io che ho buona vista, non lo arrivo a vedere: e questa notte ho fermato di non volere altra fatica per questo; e che se gli uomini vogliono veder lume, che tengano i loro fuochi accesi, o provveg gano in altro modo.

Ora prima. E che modo, Eccellenza, vuole ella che ci trovino i poverini? E a dover poi mantenere le loro lucerne, e provvedere tante candele che ardano tutto lo spazio del giorno, sarà una spesa eccessiva. Che se fosse già ritrovato di fare quella certa aria da servire per ardere, e per illuminare le strade, le camere, le botteghe, le cantine e ogni cosa, e il tutto con poco dispendio; allora direi che il caso fosse manco male. Ma il fatto è che ci avranno a passare ancora trecento anni, poco più o meno, prima che gli uomini ritrovino quel rimedio e intanto verrà loro manco l'olio e la cera e la pece e il sego; e non avranno più che ardere.

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