Morte, che se' tu mai? Primo de i danni L'alma vile e la rea ti crede e teme; E vendetta del Ciel scendi a i tiranni, Che il vigile tuo braccio incalza e preme: Ma l' infelice, a cui de' lunghi affanni
Grave è l'incarco, e morta in cuor la speme, Quel ferro implora troncator de gli anni, E ride a l' appressar de l' ore estreme. Fra la polve di Marte e le vicende
Ti sfida il forte, che ne' rischi indura ; E il saggio senza impallidir ti attende. Morte, che se' tu dunque ? Un'ombra oscura, Un bene, un male, che diversa prende Da gli affetti de l' uom forma e natura.
Gittò l'infame prezzo, e disperato L'albero ascese il venditor di Cristo ; Strinse il laccio, e col corpo abbandonato Da l' irto ramo penzolar fu visto. Cigolava lo spirito serrato
Dentro la strozza in suon rabbioso e tristo, E Gesù bestemmiava, e il suo peccato Ch' empiea l'Averno di cotanto acquisto. Shoccò dal varco al fin con un ruggito.
Allor Giustizia l' afferrò ; e sul monte Nel sangue di Gesù tingendo il dito, Scrisse con quello al maledetto in fronte Sentenza d'immortal pianto infinito, E lo piombo sdegnosa in Acheronte.
Piombò quell' alma a l'infernal riviera, E si fe gran tremuoto in quel momento. Balzava il monte, ed ondeggiava al vento La salma in alto strangolata e nera. Gli Angeli dal Calvario in su la sera
Partendo a volo taciturno e lento,
1 Sul monte. Sul Calvario.
La videro da lunge, e per pavento Si fêr de l'ale a gli occhi una visiera. I demoni frattanto a l'aere tetro Calâr l'appeso, e l'infocate spalle A l'esecrato incarco eran ferè tro. Così ululando e schiamazzando, il calle Preser di Stige, e al vagabondo spetro Resero il corpo ne la morta valle.
Poichè ripresa avea l'alma digiuna L'antica gravità di polpe e d'ossa, La gran sentenza su la fronte bruna In riga apparve trasparente e rossa. A quella vista di terror percossa
Va la gente perduta: altri s' aduna Dietro le piante che Cocito ingrossa, Altri si tuffa ne la rea laguna. Vergognoso egli pur del suo delitto
Fuggía quel crudo, e stretta la mascella, Forte graffiava con la man lo scritto. Ma più terso il rendea l' anima fella. Dio tra le tempie gliel avea confitto, Ne sillaba di Dio mai si cancella.
Pel ritratto di sua figlia.
Più la contemplo, più vaneggio in quella Mirabil tela e il cor che ne sospira, Si ne l'obbietto del suo amor delira, Che gli amplessi n'aspetta e la favella. Ond' io già corro ad abbracciarla. Ed ella Labbro non move, ma lo sguardo gira Vêr me si lieto, che mi dice: Or mira, Diletto genitor, quanto son bella. — Figlia, io rispondo, d' un gentil sereno
Ridon tue forme; e questa imago è diva Si che ogni tela al paragon vien meno. Ma un'imago di te vegg' io più viva,
E la veggo sol io; quella che in seno Al tuo tenero padre Amor scolpiva.
Al signor di Montgolfier per un volo aereostatico. Quando Giason dal Pelio
Spinse nel mar gli abeti,
E primo corse a fendere Co' remi il seno,a Teti, Su l'alta poppa intrepido Col fior del sangue acheo Vide la Grecia ascendere Il giovinetto Orfeo. Stendea le dita eburnee Su la materna lira ;1
E al tracio suon chetavasi De' venti il fischio e l'ira. Meravigliando accorsero Di Doride 2 le figlie; Nettuno a i verdi alipedi3 Lasciò cader le briglie. Cantava il Vate odrisio 4 D'Argo la gloria intanto, E dolce errar sentivasi Su l'alme greche il canto.5 O de la Senna, ascoltami,
Su la materna ec. Orfeo era figliuolo della Musa Calliope.
2 Di Doride ec. Le Ninfe marine.
3 Verdi alipedi. I cavalli di Nettuno dipingonsi verdi e colle ali ai piedi.
Odrisio, qui vale Trace; perchè gli Odrisii furono una popolazione della Tracia, donde è fama che venisse Orfeo: perciò poco sopra è detto
tracio suon il suono della sua lira.
5 Su l'alme ec. Sui Greci compagui di Giasone.
6 Tifi fu il piloto degli Argonauti.
7 Esonide. Giasone, figliuolo di Esone.
Non mai Natura, a l'ordine De le sue leggi intesa, Da la potenza chimica
Soffri più bella offesa. Mirabil arte, ond' alzasi
Di Stallio e Black' la fama ; Pera lo stolto Cinico
Che frenesia ti chiama. De' corpi entro le viscere Tu l'acre sguardo avventi, E invan celarsi tentano Gl' indocili elementi. Da le tenaci tenebre La verità traesti, E de le rauche ipotesi Tregua al furor ponesti. Brillò Sofia 2 più fulgida Del tuo splendor vestita, E le sorgenti apparvero, Onde il creato ha vita. L' igneo terribil aere,
Che dentro il suol profondo Pasce i tremuoti, e i cardini Fa vacillar del mondo, Reso innocente, or vedilo De' marzii corpi uscire, E già domato ed utile Al domator servire. Per lui, del pondo immemore, Mirabil cosa in alto
Va la materia, e insolito Porta a le nubi assalto. Il gran prodigio immobili I riguardanti lassa,
E di terrore un palpito In, ogni cor trapassa. Tace la terra, e suonano Del ciel le vie deserte: Stan mille volti pallidi, E mille bocche aperte.
1 Giorgio Ernesto Stahl nella Baviera, e Giuseppe Black scozzese, famosi chimici del secolo XVIII.
De l'atro Dite il piede: Punillo il fato, e in Erebo Fra ceppi eterni or siede. Ma già di Francia il Dedalo Nel mar de l'aure è lunge: Lieve lo porta Zeffiro, E l'occhio appena il giunge. Fosco di là profondasi
Il suol fuggente a i lumi, E come larve appaiono Città, foreste e fiumi. Certo la vista orribile
L'alme agghiacciar dovria; Ma di Robert ne l'anima Chiusa è al terror la via. E già l'audace esempio I più ritrosi acquista ; Già cento globi ascendono Del cielo a la conquista. Umano ardir, pacifica
Filosofia sicura,
Qual forza mai, qual limite
Orizia. Moglie di Borea: Noa temere (dice) ch' egli venga a tentare tua moglie come Teseo ec.
2 Teseo tentò con Piritoo di rapire Proserpina a Dite o Plutone; ma rimase laggiù incatenato finchè non discese poi Ercole a liberarlo.
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