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chi l'onore dovuto a quel nobilissimo spirito, sì perchè i principi magnanimi e giusti della età nostra sieno meglio venerati da chi consideri che vigliacchi e rei signori già regnavano per Italia. Che se la colpa dello Sforza fu fortunata, nè la vendetta della giustizia lo colse in vita, giusto è l'opprimerlo almeno coll' obbrobrio nella ricordanza dei posteri: maniera di giustizia inesorabile che il cielo ha commessa al tempo ed agli scrittori, dalla quale non può l'uomo sottrarsi nè per frode nè per potenza.

ANGELO MARIA D'ELCI fiorentino (1754-1824), fu uomo di molta erudizione, scrittor latino dei rari, e autore di Satire molto stimate per evidenza di imagini e robustezza di stile schiettamente italiano.

L'avarizia.

O gregge affascinato, o stuol grifagno,
O tu che il pasto affama e il fonte asseta,
Tu, lungi da ogni amor, solo al guadagno
Intendi, e sei nel resto anacoreta.
L'òr, che rivo esser dee, diviene stagno
Per te, che dal mattin fino a compieta
Stretto t'aggiri intorno al chiuso argento
Come intorno alla macine il giumento.
Il tesoro per quei che usar nol sanno

È un ben che in mal da lor si cambia: è un raggio
Che or ne guida, or ne abbaglia, e che d'inganno
Causa è allo stolto, e di progresso al saggio.

So che men rischio teme e meno affanno
Titiro all'ombra dell' agreste faggio
Che Creso in trono sotto aurato tetto;
Ma non sempre la paglia è il miglior letto.
Se già volea filosofia pezzente

Che l'òr sotterra ognor dormisse ignoto,
Forse era invidia di mendica gente,
E in cenci umili ambizioso voto :
Penuria spesso è di viltà sorgente,
Spesso è reo consiglier lo scrigno vôto:
Ma fausto don del cielo è il colmo scrigno
Sotto le chiavi di pensier benigno.

1

Godi, Arpagon: col corno pien la copia

1 Arpagone può tradursi con rapace; ed è nome frequente negli scrit tori per dinotare un avaro. — La copia col pieno corno, è nuova e felice

Te benedisse: in te sè stesso il Nume
(Mendiche turbe esclamano) ricopia,
E Dio te pose a noi soccorso e lume.
Porgi invocato alla fraterna inopia,

Qual madre all' augellin che non ha piume,
Porgi il pasto e tu il core hai chiuso e il pugno,
E vuoi che sol per te biondeggi il giugno ?

Ma invidïar del volgó i lari ignudi

Ti fa l'òr ch' empie i tuoi per tua sciagura,
Mentre il ciel che ti prospera deludi,

E il suo favore a te divien tortura.
Per la crescente massa aneli e sudi,
Qual nocchier fra le sirti; e di più dura
Pena te stesso apri infinita via,

Mentre t'arde dell' or l'idropisia.'

L'età (prosegue dicendo l'autore) diminuisce o spegne le altre passioni, ma l' avarizia è indomabile, cresce insieme con gli anni, e accompagna l'uomo fino alla tomba.

Nè laudo l'uom che prodigo disperde
I tesori dal padre suo raccolti,

E la mèsse divora ch'è ancor verde
O lascia i campi, per negghienza incolti.
Perde i tesori uom prodigo, li perde
Pur men d'avaro che li tien sepolti:
Li perde Ugon nel gioco e in folli imprese,
E trionfa sconfitto dalle spese.

2

La boria oltre il poter lo pasce e veste,
Però il suo sfoggio altri pur veste e pasce;
Ma gli avari son tacite tempeste

Fatali all'or qual ruggine alle grasce.3

3

L'avaro (continua dicendo) per quanto è da lui, estingue la provvidenza, tormentando sè medesimo per

maniera di ricordare il cornucopia. · messi mature.

-

- Il giugno biondeggia nel colore delle

1 Dell'òr l'idropisia. Come l'idropico infarcito d'acqua è sempre assetato, cosi l'avaro quanto più oro ha, tanto più desidera di averne.

2 Trionfa ec. Si pavoneggia, si gloria di quelle spese che lo mandano

in rovina.

3 Ruggine dicesi una malattia delle biade che si manifesta con macchie di color rugginoso. Grasce diconsi le cose necessarie al vitto; per

ciò anche le biade.

cupidigia di maggior ricchezza, e sforzandosi, colle sue incette, di far nascere carestia quando potrebbe esservi abbondanza; simile alle arpíe che rapívano i cibi già imbanditi sulle mense di Fineo.

Con tenue vitto il ventre ai servi strigne,
Nè a' figli è più cortese o all' egra moglic:
Lattughe e cavoli in lucerna intigne,
E conta del bassilico le foglie.

Il pozzo e la cisterna son sue vigne,
E avarizia il fatò da tutte voglie:
Nè spende infermo in medici prudenti
Ma le membra consegna a esperimenti.
Se gliel concedi, struggerà i sacrati
Vasi ancor pieni; e pissidi e patene
Sull' ara istessa cangerà in ducati,
E al Nume aurato 2 raderà le schiene.
Getterà in mar, pria de' barili amati,
Dal grave pin3 (se mal l' onda il sostiene),
Getterà i figli suoi, benchè non speri
Le balene di stomaco leggieri....

Tutto è avarizia: a questa dea segreta

Serve cattedra e toga e spada e chierica.
Ogni scrittor, sia storico, o poeta,
Tende al danar, nè fronda vuol chimerica.
Vedi costui che al suon della moneta
S'agita sì che par fanciulla isterica ?
I figli infetta ancor, cui par restia,"
Se mezzo lo colpì, l' apoplessia.
Sacchetti e borse a quei, non catechismi,
Mostra; i mendichi intitola assassini,
E tutti del commercio i giudaismi 5
Insegna come classici latini.

-I decrepiti servi agli ostracismi

Danna, e un Cerbero oppone ai cappuccini, G

1 Bassilico o basilico. Erba odorosa. invulnerabile.

Il fatò da ec. rese fatato, cioè

Gellerà i figli ec. Allude.

2 Al nume aurato ec. Raschierà l'oro dalle statue dei santi.

3 Dal grave pin. Dalla nave troppo carica.

alla balena il cui stomaco non tenne Giona.

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Par restia ec. Par che si fermi a mezzo. Vorrebbero che il padre

fosse morto a un tratto per non dovere mantenerlo apopletico.

5 I giudaismi. Le frodi.

6 Ai cappuccini. Ai frati questuanti, per tenerli lontani.

Scarsi di soldo odia i parenti, e infermi,
Pria della tomba, li regala ai vermi.

Volgendo poi il discorso direttamente all' avaro: Tu (gli dice) non senti in te il più bel dono del cielo; non senti quella carità che lega l' uomo all' uomo, e gl'insegna a farsi scudo e soccorso del suo simile come insegnò alla manca aitar la destra.

4

Pur l'uomo all' uom per fame d'oro è lupo;
Ma il vitto ai lupi, a te il danaro è sprone,
Che ti caccia per bosco e per dirupo,
Per via, per piazza a esercitar l' unghione.
Forse all' incude l'oro vien dal cupo,1
Sol perchè effigie esprima, arme e iscrizione?
Perchè vien, dimmi, o tu, che lo zecchino
Come un quadro contempli del Guercino? 2
Ma peggio ancor, se apri la man, se n'esce
L'oro, e dal sacco il trae maggior delitto.3
Ah! n'esce a stille, torna a fiumi, e cresce
In ampie somme, che mentì lo scritto:
Come s'offre l' uncin nel pasto al pesce,
Cosi all' uom nudo e dall' inopia afflitto
Tu spietato offri un laccio per sostegno,
E ne vuoi tutto, fin le membra, in pegno.
Gema indarno il mendico in atrio algente,
Spogli l'are, i parenti, esponga i figli,
Ma l'usure ti paghi e con la mente
Veggia anco in sogno i tuoi vicini artigli.
Questi teme del debito l' urgente
Pena, e tu del danar temi i perigli.
Miseri entrambi ! son d' affanno in gara
Così la gente povera e l' avara.
Cruda fame dell' oro, atroce dea,

Che fugò virtù, onor, libertà e pace;
A lei cede, più che alle guerre, Astrea,
E per lei fin l'altar divien mendace.
Questa noi spinge, come a palma elea 5

Dal cupo. Dalle cave, dalle miniere.

2 Guercino. Sopranome di Gio. Francesco Barbieri famoso pittore, nato

a Cento nel 1590, e morto nel 1666.

3 Maggior delitto. L'usura, coperta sotto varie finzioni.

uncin nel pasto. L'amo involto nell' esca.

5 Palma elea. Il premio che davasi ai vincitori in Olimpia nell' Elide.

O come a gloria di scalata audace,'
Del lucro a gareggiar nel corso immondo,
Si che ne par restio l'esser secondo....
Sotto apparenze di virtù si cela

Il vizio e di bel titolo s' onora.
Par modestia, par senno e cäutela
Quell' avarizia che in serbar divora.
Ma nè scrigui, nè figli a tal tutela
Mai fiderò. Chi sua pecunia adora
Ai vezzi dell' altrui non è di sasso:
Dall' avarizia al furto è un breve passo.
Quante Erifili, 2 ohime, vegg' io! Nè inulti
Starian tanto sotterra i Polidori,3
Se mesti a noi parlassero i virgulti,
Come a Enea, spie del sangue e dei tesori.
Pur la prole spogliar coi graffi occulti
Osaste, o madri, e superar tutori;

Pur voi (tanto non feo tigre in caverna)
L'uccideste, e fremè l'ombra paterna.

Ma il suon dell' òr cangia alme oscure in chiare,
E ognor le segue della fama il suono.
Chi pel trono dà il sangue e per l'altare ?
Per la pecunia dà l'altare e il trono.
Non per crescer tesori osa peccare
Urban, ma per serbarli e saggio e buono
Sembra il cristian che incenserà il demonio,
Se apostasia gli salva il patrimonio....
Nè danaro si vuol per trarne onore,
Ma onor si vuol per trarne poi danaro,
Si che tal ch'esser può legislatore,
Per guadagno maggior resta notaró....
Senza pecunia non val nome, o rango,

Nè par santo chi è in ciel se non s'indora :
Coi merti del danar chi vien dal fango

Va in alto il ricco domina e innamora,

A gloria di scalata ec. Quella gloria che acquistano i soldati salendo primi sulle mura d'una città.

2 Erifili. Di Erifile che per avarizia palesò il nascondiglio del marito Anfiarao e fu cagione che morisse sotto Tebe, vedi anche Vol. 1, pag. 144.

3 Polidoro ultimo figlio di Priamo fu affidato con gran tesoro a Polimnestore re di Tracia, durante la guerra di Troia. Ma caduta questa città, Polimnestore uccise il fanciullo e s'appropriò il denaro. Come Enea n'avesse notizia trovasi raccontato nell' Eneide, lib. III.

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