M' opprime, e in tribunal ride, s'io piango; Ma tu cerca il danar, non dond' ei venne; Dunque il mèl prendi, e lascia a quei le pecchie : IACOPO VITTORELLI, nacque in Bassano nel 1749 ed ivi morì nel 1835. Il suo unico pregio consiste in una leggiadra facilità di verso e lindura di stile. Ascolta, o infida, un sogno D' Alfesibéo mirar; 1 Chi spregiò l'oro offerto da Pirro, fu il console Fabricio; chi vinse Perseo ultimo re di Macedonia, fu Paolo Emilio. 'Di Mida ec. Mida re di Frigia ebbe da Bacco il dono di tramu tare in oro qualunque cosa toccasse: ma per aver preferito Pane ad Apollo cbbe le orecchie d'asino. Vedi Vol. II, pag. 187. Rise il buon vecchio e disse: Fuggi colei che adori. Guarda che bianca luna ! Guarda che notte azzurra ! Un'aura non susurra, Non tremola uno stel. Va dalla siepe all' orno Già vien di fronda in fronda FILIPPO PANANTI di Ronta nel Mugello studiò giurisprudenza nella università di Pisa, ma si diede intieramente alle lettere e alla poesia. Nel 1799 (aveva allora ventitrè anni) andò in Francia, e fu maestro in Soreze ma dopo due anni lasciò quel soggiorno; visitò la Spagna e l'Olanda; e andato a Londra vi si stabilì poeta stipendiato del teatro musicale. Più tardi volle ritornare alla sua patria, ma fu preso dai pirati d' Africa. Per intercessione del console inglese riebbe la libertà; e allora venuto a Firenze vi publicò le sue opere, cioè Il poeta di teatro, Prose e versi, Viaggio in Algeria: nelle quali ben può dirsi che spesse volte è negletto piuttosto che semplice, e si vale senza necessità di modi forestieri o non per anche accettati dalla conversazione delle persone meglio educate; ma piace nondimeno e merita di piacere per l'abbondanza delle locuzioni vive, efficaci, e per la costante disinvoltura. Morì nel 1837. DAL POETA DI TEATRO. Un Poeta. Una mummia il poeta par che sia, E un di quei stenterelli secchi secchi; Che pare uscito fuor dello spedale; Un cappello che sembra un spicchio d'aglio, E quando è a qualche buon desinaretto, 2 Modi tenuti dall' autore viaggiando a piedi per farsi conoscere u nato bene. n 2 Di tutto io faccio dalla parte mia Per mostrar che lo fo per mio diletto; Vi fa sgusciare. Vi fa scappar dentro. Incinfrignare per Ricucire alla peggio, dicesi in molti luoghi di To scana. E dicono anche Rinfrtnzellare. Vedi FANFANI, USO Tosc. 3 Fan ec. Cioè sporgono, escono alcun poco dai buchi. AMBROSOLI. IV. 17 Per mostrar che ho da spender, si domanda, Ed un' erba od un fior strappo, o fo vista; Sto un punto a contemplar delle mezz' ore.' 2 Vo dietro a un ciglio, o in qualche fossatello; Mi spolvero la veste ed il cappello ; Poi quando sento che non son più stanco, 3 Mi metto al collo un fazzoletto bianco, Che fuor del luogo è andato un poco a spasso; E dico: Ho fatto conto di restare. 1 Sto delle mezze ore a comtemplar un punto. 2 Ciglio o ciglione è Terreno rilevato. 3 La gola. Il collo o colletto della camicia. Mi rilego la coda. Allude all' usanza di lasciarsi crescere i capelli alla nuca e portarli ravvolti e legati. Mi do una nappatina (da Nappa, che è l'unione di più fili di seta, lana od altro) significa: Mi do colla nappa la polvere ai capelli, m'inciprio i capelli. Se volesser sapere dove io stassi,1 Rispondo Sto qui oltre a quattro passi. MICHELE COLOMBO nato a Campo di Piera, picciola terra tra Venezia e Trevigi, ai 5 di aprile 1747, prese l'abito e gli ordini tutti di sacerdote senza darsi per questo al ministerio sacerdotale. La sua vita fu al tutto aliena dai casi publici, e quanto mai dir si possa privata e modesta. Stette come maestro ed educatore per undici anni presso il conte Folco Lioni di Ceneda; poi in Conegliano presso il conte Piero Caronelli; poi in Venezia ed in Padova presso G. B. Da Riva; e finalmente in Parma fu educatore e maestro del cav. G. Bonaventura Porta, che poi per quarantadue anni lo ebbe ospite, amico e compagno, e nelle cui case morì il giorno 17 giugno 1838. Le sue cure e i suoi studi furono sopra tutto intorno alla lingua italiana: la quale diligentemente promosse coi precetti e coll' esempio. Varie specie di affettazione nello scrivere, E' ci ha di quelli che mettono infinito studio nelle parole, sicchè par che si piglino molto minor cura de' concetti, che del modo di esporli. Questi gran cercatori di parole sono di più fatte. Alcuni vogliono che quanto ha di più splendido e sfarzoso debbasi trovare ad ogni patto nel loro dire. Hanno perciò ricorso alle figure più luminose, e queste affastellano di tal maniera, che tu sei sopraffatto da un continuo bagliore; e ti par d'essere côlto da un di que' temporali in cui l' un lampo senza interruzione succede all' altro. Tali sono per lo più gli scrittori del secento. Altri non isplendidezza ma dignità affettano nel favellare. Grave è il loro stile, e maestoso l'andamento de' lor periodi ma questi sono soverchiamente lunghi, compassati, rotondi, e pressochè tutti lavorati sulla stessa foggia; ci si trovan continue trasposizioni, per lo più maggiori di quel che comporta la lingua nostra, e non di rado con discapito sommo della chiarezza. Certo l'orecchio se n'appaga; ma la mente se ne stanca; e il dicitore saggio parla alla mente e non all' orecchio. Caddero in questa sorta di affettazione non pochi scrittori del secolo decimosesto; e pare a me che moltissimo vi pecchi uno de' più gran letterati di quella età, voglio dire il cardinal Bem1 Stassi, dassi. Generalmente si scrive stessi e déssi. |