Scitiche lance e i disastrosi piani Non pria tentati e i gran deserti e i fiumi, La facenda e 'l conflitto, e come sempre E i presaghi del ver sogni e un segreto Da' cenomani colli, al mio lamento DAL DUE NOVEMBRE. Sull' emiciclo riservato ai suicidi ed agli acattolici. Ahi terra Sconsecrata, ove lagrima non cade A questi, rei del proprio sangue, misti Spirâr costoro, e non gli accolse in grembo PEL RITRATTO DI F. U. Ecco il profugo amico, ecco le care Ch' Appennin parte, e cinge l' Alpe e il mare: Ecco i vestigi de' trascorsi eventi In quel sembiante, come in guasto campo, Ecco il doppio periglio, e il doppio scampo, GIOVANNI GHERARDINI. Chiunque abbia conosciuto Giovanni Gherardini, dovette maravigliarsi trovando in quello scrittore tanto irritabile, e spesso anche mordace, un uomo di rara urbanità e modestia, di conversazione costantemente piacevole e amabile. Avviato dal padre alla medicina, nella quale fu laureato dottore, esercitò per qualche tempo quella professione; ma attese sempre di preferenza alle lettere. E da principio coltivò la poesia, e tradusse in versi sciolti gli Amori delle piante di Erasmo Darwin, per tacere di altri lavori di minor mole, ma non per questo meno pregevoli. Fu dal 1806 al 1814 compilatore del Giornale Italiano: lo diresse con fama di ottimo cittadino, e scrisse moltissimi articoli assai lodati sopra argomenti scientifici e letterari. Entrò dei primi (fino dall'anno 1811) nella controversia lungamente famosa della lingua, alla quale più tardi doveva poi rivolgere intieramente il suo ingegno e la sua rara operosità: e vi entrò con quello spirito di libertà alcun poco battagliera allora comune a molti, e vi durò costante fino all'estremo. Nel 1812 publicò una Serie di voci italiane ammissibili benchè proscritte dall'elenco del signor Bernardoni (col quale visse poi sempre amicissimo), e ne inviò un esemplare a una dama con questi versi : « Quell' io che fui già interprete Delle amorose piante E vinse realmente la pugna, ma non risali sul monte; nè per questo rimase pedante. Non voglio dire con ciò, che il Gherardini non abbia più scritte poesie dopo d'allora, ed anche poesie meritamente lodate: ma la sua celebrità mentre visse non fu di poeta; nè il suo nome avrebbe certezza di durare a lungo, come durerà senza dubbio, nella stima e nella riconoscenza dei posteri, se non avesse perseverato in quella via per la quale si mise con quel libretto. Caduto il regno d'Italia cessò dall'ufficio di giornalista, scrisse alcuni drammi, tradusse il Corso di letteratura drammatica di A. G. Schlegel, scrisse gli Elementi di poesia ad uso delle scuole, fu dal 1819 al 1821 professore di storia nel liceo Longone; e quando quella cattedra fu trasferita ad altri, cooperò validamente alla Collezione delle Opere classiche del secolo XVIII publicata dalla Società tipografica de' Classici italiani in Milano, fino al 1824: nel quale anno poi un suo zio materno, facendolo erede d'una ricca sostanza, lo tolse alla necessità di vendere (come diceva egli stesso) a dramma a dramma l'ingegno oppresso ma non ancor dómo. E che non fosse ancor dómo ne fecero testimonianza non dubbia i molti volumi publicati di poi; nei quali non sai se più abbondino o la dottrina e l'erudizione filologica, o la ricchezza della lingua e la vivacità delle imagini e dello stile; benchè una fiera paralisi percotendolo nella parte destra del corpo lo costringesse per due anni (dal 1834 al 1836) a giacere senza poter nè anche leggere. Riavutosi da quel malore, che gli lasciò un leggiero distorcimento della bocca (a cagione del quale, più che di una cotal.debolezza delle gambe da lui qualche volta accusata, ne' ventisei anni che sopravisse, non volle più esser veduto per le vie di Milano), riprese i suoi studi, e scrisse le Voci e maniere di dire italiane additate a' futuri vocabolaristi, l'Appendice_alle_grammatiche italiane, la Lessigrafia italiana e il Supplimento a' vocabolari italiani; colle quali opere mentre rese un segnalato servigio alle nostre lettere, assicurò al proprio nome una lunga celebrità. Nelle Voci e maniere e nel Supplimento a vocabolari potè essere considerato come continuatore della Proposta del suo amico Vincenzo Monti; e nella prima si compiacque anche di farne rivivere talvolta la sdegnosa vivacità: ma può dirsi che se il Monti, diffondendo per tutto lo splendore del suo ingegno poetico, ci diletta e ci attrae più fortemente, il Gherardini, accoppiando a più pensata dottrina molto maggior ricchezza di fatti o di esempi, ci è più sicuro maestro e più utile esempio. Della dottrina posta e seguíta da lui così ragiona egli stesso nella prefazione alle Voci e Maniere: « Secondo il modo che io considero le cose della lingua, mi pare che s'abbia a far differenza tra nudi vocaboli e forme di |