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Cesira.

Aristod.

Cesira.

Aristod.

Cesira.

Aristod.

Cesira.

Non lo so, ma rimanti; io te ne prego.
Cesira !

Aristodemo !

Vieni al mio seno; abbracciami.... Oh diletto !
Oh inesplicabil tenerezza! Io sento

Che nel mio cor straniera ella non giunge.
Un'altra volta io l'ho provata. Oh cielo !
La confondi tu forse a' miei tormenti
Per raddoppiarli ? Tu, crudel, m' inganni,
Tu mi deludi. Ah scòstati, Cesira.
Fu d' Averno una furia che mi spinse
Ad abbracciarti; scòstati !

Lasciami.

Qual furor ?

Deh m'odi.

Fuggi. Una fiera

Invisibile mano si frappone

Fra i nostri petti, e ne respinge indietro.
Lungi, lungi da me.

Solo un momento....

Non è più tempo. Addio per sempre, addio.
Ma férmati, ma senti....

DAL TESEO.

Teseo ritornato dopo molte vittorie in Atene, trova che le interne dissensioni han guasti gli ordini da lui posti per modo, che al di dentro prevalgono l'ingiustizia e la violenza, e intanto gli stranieri osano assalirla e la combattono con vantaggio. Qui, dice il Corifeo, di

ventarono :

un vôto nome

La giustizia, una larva
La libertà, l'amor di patria un' alta

Teseo.

Negra impostura, la virtù menzogna,
Sangue le leggi, e divenute omai
Liberal disciplina

La perfidia, la frode e la rapina.
Oh parole d'orrore! Atenïesi,
In quale stato vi lasciai partendo,
In qual vi trovo! Vi lasciai la pace,
Trovo la guerra. Vi lasciai conquiste,
Trovo sconfitte, ed il nemico insulta
Già d'Atene alle porte. Arme ed armati
Vi lasciai, e tesori,

E coraggio, e virtù. Tutto fu preda
De' vostri vizi. Dove sono i prodi

Che d'alloro coperti un di vi fêro
Il più temuto, il primo

Popol di Grecia ? Dove son? La morte
Li divorò, nè ciglio

Consolò d' una lagrima pietosa

L'ombre tradite. Ed io fremer le sento

Qui d'intorno; io le veggo

Cercar gli sguardi del lor duce antico,

E su gli aperti petti

Mostrar le sanguinose

Inulte piaghe, e sospirar sdegnose.

Ombre care, ah! nascondete

Quelle barbare ferite;

Deh! tacete, ohimè! non dite
Chi nel sen ve le stampò.
Deh! non dite che v' aperse
Più che il ferro ostil le vene
La crudele, ingrata Atene
Che i suoi figli abbandonò.

Intanto soprarriva Etra (madre di Teseo) accompagnata da molti esuli trezenesi. La loro città, ch'è patria anche di Teseo, è caduta sotto il giogo spartano. Perciò gli si prostrano ai piedi gridando: Signor, vendetta e libertà!

Teseo.

Coro.

Turbata, pensosa
Quell' alma sdegnosa
Più voce non ha.

La fronte s' oscura,

Sorgete.

Teseo.

Fa il guardo paura.
Silenzio ! La folgore
Già scoppia; già già....
All' armi, soldati;
D'amici infelici

Vendetta, pietà.

Soldati (sguainando il ferro).

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Co' brandi gli scudi ;

Que' vili, que' crudi
Corriamo à punir.

Soldati (percuotendo gli scudi).

Tocchiamo gli scudi,

Puniamo quei crudi,

Corriamo a ferir.

Parte del Coro delle donne.

Teseo e Soldati.

Vanne, o caro, e fra le squadre
Deh! ricordati di me.

Tocchiamo gli scudi.

Parte del Coro delle donne con Etra..

Teseo e Soldati.

Tutto il Coro delle

Teseo Soldati.

Vanne, o figlio, e della madre
La memoria sia con te.
Puniamo quei crudi.
donne.

Proteggete, o Dei pietosi,
Di quei petti generosi
Il valor, la fedeltà.
Tocchiamo gli scudi;
Puniamo quei crudi:
D'amici infelici

Vendetta, pietà.

DAL PROMETEO.

Tempo verrà che Cerere divina
Delle provvide leggi inspiratrice,
Dal ciel recando una gentil sua pianta,
Cortese ne farà dono alla terra;
E dagli alati suoi serpenti addotto
Trittolemo invïando, un cotal figlio
Di Metanira, a propagarne il seme,
E l'uso ad insegnar del curvo aratro,
Farà col senno e l'arte e la pietade
All' uom corretto abbandonar le querce,
Ed abborrir dell' irte fiere il cibo.
Ma parergli ben caro un sì bel dono
Gli farà di Giunon l' aspro marito :
Perocchè, Dio severo, i petti umani
Sollecitando con pungenti cure,
Comanderà di tutte l'erbe inique
L'empio parto alla terra, onde penoso
Del frutto cereal venga l'acquisto.
Di triboli e di felce orridi i campi
Si vedran largamente: aspra boscaglia,
L'ispido cardo e la sdegnosa ortica
Abbonderà per tutto, e dei sudati
Nitidi colti si faran tiranni
L'ostinata gramigna, il maledetto
Loglio e le vôte detestate avene;
Le quai proterve alla divina pianta
Il delicato corpo soffocando,

E involando l' umor del pio terreno,
Ingiusta le daran morte crudele.
Nè fian già questi gli avversari soli
Che palpitar di tema e di sospetto
Il faticoso agricoltor faranno.
Allorchè, volte al rapitor cornuto
Dell' agenorea figlia il Sol le terga,
De' fratelli ledéi la spera infiamma,2

1 Trittòlemo. Raccontano le favole che Trittòlemo, per favore di Cerere, fu portato da alati serpenti in tutte le parti della terra a insegnare la coltivazione e l'uso delle biade.

Allorchè il sole volge le terga al segno del toro (sotto la qual forma Giove rapi Europa figliuola di Agenore) ed entra nella costellazione dei gemini (Castore e Polluce) figliuoli di Leda.

E susurrando la matura spiga

Le bionde chiome inchina, e chiamar sembra
L'operoso villano a côrne il frutto,
Ecco nuovi terrori all' infelice,
Ecco nuovi perigli e nuovi affanni.
La saltante gragnuola, il caldo vento,
I torrenti, le belve, e le voraci
Torme pennute gli saran sovente
Di lagrime cagione e di sospiri.

DALL'INVITO A PALLADE (Inno drammatico).
Coro.

Tra lo splendor del trono
Bello è dell' armi il lampo:
Bello è de' bronzi al tuono
Raccôr gli allori in campo,
Steso il nemico al piè.
Ma quegli allori, oh dio!
Grondan di sangue un rio,
E scapigliate intanto
Gridan le madri in pianto:
Il figlio mio dov'è?
Rendimi il figlio! E fremiti
Mandan le tombe, e gemiti
Che al ciel la sacra accusano
Tremenda ira de' Re.

Voi sole, innocenti
Bell' Arti romite,
De' fior più ridenti
Quel sangue coprite,
E bella fra i pianti
Ne' delfici canti
Quell' ira si fe.

Coll' ineffabile

Poter che Pallade

Sul cor vi diè,

Voi sole amabile
Fate il terribile
Poter dei Re.

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