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ANTONIO CESARI.

Nato in Verona ai 16 gennaio 1760, vestì l'abito dei Padri dell' Oratorio appena compiuti i diciotto anni, e si diede con gran diligenza allo studio della teologia e della storia ecclesiastica, senza cessare da quello del greco e del latino cominciato già prima nelle scuole minori. E allora altresì, leggendo (come racconta egli stesso) lo Specchio di penitenza del Passavanti, fu preso da quell' amore della lingua italiana che gli durò e gli crebbe poi sempre. La sua vita, tutta umile e, quasi diremmo, ignara delle passioni che agitavano il mondo, non permette di attribuire quell' amore a veruna riposta intenzione; nondimeno è ben certo ch' ei fu de' primi e de' più efficaci a procurare che la nostra lingua, gittando da sè quanto vi si era introdotto già di straniero, e rifacendosi italiana, continuasse ad essere un vincolo e quasi un segno di fraternità fra i popoli della penisola. Alcune sue opere (la Dissertazione sopra la lingua italiana, il Dialogo intitolato Le Grazie, l'Antidoto, le Bellezze di Dante, il Vocabolario della Crusca accresciuto ec.) sono destinate direttamente a promuovere e agevolare lo studio, l'intelligenza e l'imitazione dei nostri classici: ma tutto quello che il Cesari scrisse (e sono molti volumi) dal lato della lingua può dirsi tutto esemplare: dal lato poi della materia, abbracciando quasi tutta la filosofia morale pratica e la storia ecclesiastica, ci mette innanzi una dottrina che a tutti s'addice, un' erudizione che nessuno può disprezzar come inutile, quand' anche non gli sia necessaria. Nelle Bellezze di Dante non si alza quasi mai al di sopra dei vocaboli e delle frasi; ma in questa parte procede da gran maestro: e chiunque vorrà confrontare quel libro col commento del Boccaccio, non potrà dolersi gran fatto che l' opera del certaldese sia rimasta imperfetta. Oltre alle scritture originali abbiamo del Cesari anche parecchie traduzioni dal greco e dal latino; tra le quali vuolsi ricordare e raccomandare specialmente quella delle Commedie di Terenzio. Nelle Lettere di Cicerone tradotte dal Cesari, parve al Giordani di ravvisare vivezza ma non dignità: può dirsi altresì che non di rado lascia desiderare maggiore conoscenza delle leggi e delle istituzioni romane.

Del modo d'imparare la lingua.

Egli è da pigliare un classico, come il Passavanti: leggerne un periodo o brano non troppo lungo, da poterne ricevere e ritener tutto il senso. Ricevuto nella mente il concetto, chiudi il libro; ed in un quaderno da ciò,1 scrivi la cosa con que' modi che tu puoi trovare migliori. Fatto questo, di contro al tuo scritto, copia il brano medesimo del tuo autore. Indi paragona questo col tuo a parte a parte, notando ciascuna voce, verbo od uso di particelle, allato allo scritto tuo. Vedrai allora, come la cosa medesima poteva dirsi troppo meglio, più propriamente e con maggiore vivacità che tu non hai fatto. Questo ragguaglio ti scolpirà nella memoria le maniere buone e proprie; sicchè dovendo tu poi esprimere lo stesso concetto, potrai farlo con maggior aggiustatezza ed eleganza. Tira innanzi : leggi un secondo brano, e raccoltone il senso, chiudi il libro, e scrivi come la tua scienza ti dà. Copia di contro, come prima, la parte del testo: ragguaglia da capo; troverai altri bei modi, voci, verbi ed usi che tu non sapevi, ed erano troppo migliori e questi pure tu avrai imparato. Séguita per la terza e per la quarta volta il medesimo leggere, esprimere di tuo capo, copiare, e ragguagliare l'uno coll'altro; consumandovi un' ora (non è gran cosa), tu avrai per lo primo di raccolto e scritto in mente non poche bellissime parole ed atteggiamenti e costrutti, a te prima ignoti. Rinnovando questo esercizio il giorno seguente, nuovo tesoro di altre belle maniere ti verrà raccolto ti torneranno sugli occhi le medesime cose notate il dì avanti (il che te le ribadirà in testa): ne scontrerai altre di nuove, e per questa via, alla fine del mese tu ti sentirai pronto a scrivere le cose medesime troppo meglio, che il primo giorno non avresti saputo fare. Ora continuando tu questa prova ogni dì, e ciò per un anno, cioè per 365 giorni; ed avendo in ciascun d'essi imparato nuove voci, costrutti, maniere, e le vecchie ricalcate, nella fine tu troverai aver ragunato assai ricco tesoro di eleganze italiane. Or questo modo mi par più utile, a fartele ricever più addentro, ed a rendertele più pronte al bisogno di usarle, che non farebbe leggendo tu quelle frasi spiccate, una per una da che il legamento e la continuazion del discorso, al quale erano necessariamente legate, te ne fa sentir più vivamente la forza e l'uso, e meglio ne vedrai la bellezza, la quale risulta appunto dall'essere così incastrate o incastonate colle parti 1 Da ciò. Adattato o Destinato a ciò.

del discorso e tu le vedi appunto così composte, collegate e ordinate e così dietro alla tua ragione, che ti fa sentire il diritto legamento del discorso, tu senti altresì la vaghezza, il brio, la proprietà e la luce che gli è data da quell' armonico dilettevole accozzamento: e per questo mezzo del senso che tu ne avrai più vivo e risentito, si scolpiranno più fonde nella memoria: onde poco saprai poscia scrivere, che non sia simile, e non senta di quelle forme di dire, ed in questa pratica verrai di giorno in giorno acquistando. Non so vedere partito ed ingegno, per imparare la lingua, più utile e pronto di questo. Ben è certo, che un maestro è solenne scrittore, più accertatamente è tritamente sopperirebbe1 a questo servigio, facendo notare al suo discente ogni cosa ogni cosa, secondo che gli cadesse tra mano; ma questi maestri non sono troppi, nè credo che ne' vostri paesi, o amico,2 debbano essere molti. Adunque ci contenteremo di quello, senza più, che ci dà il tempo ed il luogo. Ben vorre' io, che lo scolare, almen per un anno, non leggesse mai altro che scrittori de' nominati chè certo per lungo usar col mugnaio, l' uomo ne torna infarinato. Non credo poi esser bisogno avvertire, che dicendo io lingua del Trecento, non intendo di dire le voci o maniere anticate e dismesse : essendo noto fino a' fanciulli, queste essere state già ripudiate, e non avere più corso: come eziandio in Plauto assai ve ne sono, le quali al presente nessuno usa nè per questo alcuno dirà, la lingua di Plauto non essere pretto oro.

Impratichito così lo studente della sua lingua, io vorrei confortarlo al voltare di latino in italiano (non dico dal francese, chè si guasterebbe), exempligrazia, qualche opera di Cicerone. Il tradurre ha questo gran vantaggio, sopra lo scrivere di suo capo, che spesso l'uom s'abbatte a tali luoghi dell'autor suo, a'quali voltare non ha le parole così pronte, nè i modi corrispondenti. Allora egli è messo al punto di dover isforzare sè stesso a sbucarli dondechessia; e frugando e assottigliandosi, le più volte gli trova: e ciò non è picciol guadagno. Questo guadagno gli fallirebbe, scrivendo a sua posta: perchè occorrendogli dir cosa, alla quale esprimere non ha pronta la voce od il verbo, egli per cessar fatica si volge ad un altro concetto, cui gli sia agevole trovar vocabolo o modo che ben risponda. Or chi ama di ben padroneggiar la sua lingua, e farla ad ogni suo uopo servire, non ischifa travaglio, e si mette da sè medesimo nella necessità di dover cimentar le sue forze ed a ció fa3 senza fine il tradurre. Da ultimo, a

:

1 Sopperirebbe. Supplirebbe.

20 amico. Questa prosa è parte di una lettera del Cesari all' Algarotti che trovavasi fuori d'Italia. 3 Fa. Giova.

qualunque grado di perfezione si senta l'uomo arrivato nella sua lingua, non lasci arrugginire la penna: ma scriva tuttavia. Gli atti frequenti perfezionano l'abito; e per assai scrivere appensatamente e bene, si arriva farlo vie troppo meglic. Aggiunga la lettura continua de' classici; resta sempre qualcosa da imparare: ciascuno scrittore ha propri modi e maniere e uno te ne dà alquante, alquante te ne cavi da un altro; e tu della ricchezza di molti déi voler trasricchire. Così ho fatto e fo io medesimo, e credo morire con in mano i Fioretti od il Passavanti.

I Martiri.

Il numero de' cristiani, per sola cagione di adorar Gesù Cristo, martoriati e fatti morire, era infinito; e il numero di quelli, dei quali Iddio ha voluto che la memoria restasse e pervenisse perfino a noi, non è forse più che uno a mille. Innumerabili morirono nelle carceri, nelle miniere, ne' monti, ovvero infra i deserti o sommersi nel mare; de' quali nulla è rimaso a sapersene, nè anche il nome. Solo Iddio li conosce che nel duro cimento gli armò di fortezza infinita, e dopo le morti loro li raccolse a sè nel beato suo regno, dove da tanti secoli son beati, senza che la Chiesa nè il mondo renda punto di onore a'lor nomi, nè canti i loro trionfi; contenti tuttavia, che solo Iddio sappia la lor fedeltà, ed abbia coronata la lor pazienza. Ma anche a questi tiene Cristo riservato un trionfo solennissimo nel gran di del giudizio, quando a tutto il mondo li mostrerà, mettendo lor sotto i piedi i propri nemici e rendendo loro una gloria che non fu mai la maggiore, per quella che eglino rendettero al nome suo. Allora noi altresì li conosceremo, e con loro congratulandoci, benediremo la divina misericordia in essi ed in noi; se la fedeltà nostra ci avrà dato luogo dalla man destra del Giudice.

Esemplare umiltà della regina Esther.

Esther, perduto padre e madre, vivea in casa sotto le cure dello zio (Mardocheo), che certo meno di autorità dovea avere presso di lei pure ella l' onorò come padre, ed a lui ed alla sua volontà visse sempre soggetta. Nondimeno questa sua obbedienza e docilità potea aver comune con qualche altra buona fanciulla; ma che è a dire, che anche dopo coronata regina, ella conservò a Mardocheo la medesima riverenza; e che, essendo per dignità tanto levata sopra di lui, ella gli si tenne sempre soggetta, la sua

1 I Fioretti di san Francesco, de' quali vedi il vol. I, pag. 299.
2 Regina. Fu presa in moglie da Assuero re di Persia.

fedeltà e i comandamenti servando colla medesima umiltà e diligenza che ella faceva nel tempo che piccola in povero stato allevata da lui? Oh Dio, quale fermezza di abiti virtuosi! Un cangiamento di stato e di fortuna si grande non aver punto cangiato dell' animo suo? Ed essendo regina, moglie del maggior re della terra, portarsi come figlia di Mardocheo? Nè tanta grandezza averla fatta punto invanire e gonfiare, nè mossile nel capo pensieri di maggioranza? anzi ubbidire a cui ella avea diritto di comandare? Non altro, vedete, che una virtù eccellente si sarebbe potuta tener ferma al crollo che è solito a dar l'amor proprio in così fatti cambiamenti di stato. Pochi sono coloro che, essendo anche stati moderati, umili e virtuosi in bassa condizione ed oscura, se per caso siano tramutati ad altezza e splendore di stato glorioso ed alto nel mondo, conservino i medesimi sentimenti ed affetti, e non sentano qualche cosa del fumo e del vanto al quale gli espone la medesima loro altezza. I più si credono mutati in altri uomini, prendono nuovi giudizi, passioni e voglie; e non che ritengano la moderazione e il virtuoso conoscimento di sè medesimi che gli dava il basso ed umile loro grado, ma si sdegnano di pur sentirselo richiamare.

IPPOLITO PINDEMONTE.

Nacque d'illustre famiglia in Verona il giorno 13 novembre 1753. Studiò umane lettere nel collegio de' Sacerdoti della congregazione di San Carlo in Modena, dove stette dai tredici ai diciannove anni; e dove dal Cassiani (uno de' suoi maestri) e dal Cerretti che frequentava il collegio, ebbe coi primi precetti quell'amore della poesia che in lui venne poi sempre crescendo. Di non minore profitto gli furono in Verona i consigli e l'esempio di Giuseppe Torelli e Girolamo Pompei, letterati notabilissimi di quel tempo: dei quali il Pindemonte scrisse più tardi l'Elogio, e pagò loro un debito di gratitudine esaltandoli senza ombra di adulazione o parzialità. Molti altri uomini di gran valore nelle lettere o nelle scienze conobbe dipoi in Roma, in Firenze, in Milano, in Torino, nella Sicilia, nella Svizzera, a Parigi, a Berlino; dei quali egli desiderò i consigli, e n'ebbe l'amicizia e la stima.

1 Gli dava ec. Di gli plur. in vece di a loro trovansi non pochi esempi antichi; ma vuolsi evitare tutto ciò che può nuocere alla perspicuità.

AMBROSOLI. - IV.

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