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vergogna e dalla disperazione. Morì a Turnham Green presso Londra il giorno 10 ottobre 1827.

Ugo Foscolo scrisse molto di sè; nè senza evidente intenzione di volersi rappresentare egli stesso a coloro che vivrebbero dopo di lui: ma in due scritture special mente pensò di ritrarsi, ciò sono la Notizia di Didimo Cherico e la Lettera apologetica. Se egli talvolta s'ingannò di sè stesso, nè si ritrae qual fu ma qual si credeva, o quale desiderò di esser creduto, dobbiamo ricordarci, che anche le illusioni e i desiderii sono parte del carattere di un uomo; e se quest'uomo ebbe l'ingegno di Ugo Foscolo e le sue vicissitudini, non può essere senza utilità l'averne contezza. Perciò si è riferita in questo Manuale la Notizia di Didimo Cherico, una delle più semplici e più singolari scritture del nostro autore: ma la Lettera apologetica, non poteva per la sua lunghezza trascriversi tutta, nè per la materia comporta che se ne trascelga una parte anzichè un' altra; e certamente ogni giovine studioso vorrà poi leggerla intiera.

Il Foscolo, nella storia del suo tempo, ci si appresenta come persona che stesse ritta in piedi gridando tra molti che giacciono silenziosi; i quali non per questo furono tutti o meno acuti di lui a conoscere gli uomini e le cose, o meno costanti a serbarsi immuni da ogni viltà: ma non sortirono la sua focosa natura, non si giudicarono degni di essere preferiti a molti altri, non ebbero speranza di acquistarsi celebrità colla potenza del loro ingegno, di sopravvivere scrivendo lodati e ammirati al loro tempo ed a quelli che mentre vissero parvero più pregiati e più fortunati di loro. Come, scrittore, Ugo Foscolo fu senza dubbio dei più efficaci in tutta la nostra letteratura; non senza qualche soverchio di rumoroso e di gonfio, come portavano i tempi massimamente. della sua giovinezza, e come fu naturale a chi sentiva ruggire dentro di sè le sue passioni. Negare che siano delle sue scritture sentenze e opinioni contradittorie anche in argomenti assai gravi; dire che fosse ingiustamente severo chi additò sì fatte contradizioni per far tispettiva la gioventù nel seguirlo, ci pare indizio di mente affascinata da quello splendore abbarbagliante di stile che fu dote principalissima di Ugo Foscolo. La fantasia e le impetuose passioni non gli permisero di essere sempre consentaneo a sè stesso.

NOTIZIA DI DIDIMO CHERICO.

I. Un nostro concittadino mi raccomandò, mentr' io militava fuori d'Italia, tre suoi manoscritti, affinchè, se agli uomini dotti parevano degni della stampa, io ripatriando li pubblicassi. Esso andava pellegrinando per trovare un' Università dove, diceva egli, s' imparasse a comporre libri utili per chi non è dotto, ed innocenti per chi non è per anche corrotto; da che tutte le scuole d'Italia gli parevano piene o di matematici, i quali standosi muti s'intendevano fra di loro; o di grammatici che ad alte grida insegnavano il bel parlare e non si lasciavano intendere ad anima nata; o di poeti che impazzavano a stordire chi non li udiva, e a dire il benvenuto a ogni nuovo padrone de' popoli, senza far nè piangere nè ridere il mondo: e però come fatui noiosi, furono più giustamente d'ogni altro esiliati da Socrate; il quale, secondo Didimo, era dotato di spirito profetico, specialmente per le cose che accadono all' età nostra.

II. L'uno de' manoscritti è di forse trenta fogli col titolo: Didymi clerici prophetæ minimi Hypercalypseos, liber singularis: e sa di satirico. I pochi a' quali lo lasciai leggere, alle volte ne risero; ma non s'assumevano d'interpretarlo. E mi dispongo a lasciarlo inedito per non essere liberale di noia a molti lettori che forse non penetrerebbero nessuna delle trecentotrentatrè allusioni racchiuse in altrettanti versetti scritturali, di cui l'opuscoletto è composto. Taluni fors' anche, presumendo troppo del loro acume, starebbero a rischio di parere comentatori maligni. Però s'altri - n'avesse copia, la serbi. Il farsi ministri degli altrui risentimenti, benchè giusti, è poca onestà; massime quando paiono misti al disprezzo, che la coscienza degli scrittori teme assai più dell' odio.

III. Bensì gli uomini letterati, che Didimo scrivendo nomina maestri miei, lodarono lo spirito di veracità e d'indulgenza d'un altro suo manoscritto da me sottomesso al loro giudizio. E nondimeno quasi tutti mi vanno dissuadendo dal pubblicarlo; e a taluno piacerebbe ch' io lo abolissi. È un giusto volume dettato in greco nello stile degli Atti degli Apostoli; ed ha per titolo Ardupov κληρικοῦ Υπομνημάτων βιβλία πέντε : e suona Dydimi clerici libri memoriales quinque. L'autore descrive schiettamente i casi per lui memorabili dell'età sua giovenile : parla di tre donne delle quali fu innamorato; e accusando se solo delle loro colpe, ne piange parla de' molti paesi da lui veduti, e si pente d'averli veduti ma più che d'altro si pente della sua vita perduta fra gli uomini letterati; e mentre par ch' ei gli esalti, fa pur sentire

ch' ei li disprezza. Malgrado la sua naturale avversione contro chi scrive per pochi, ei dettò questi Ricordi in lingua nota a rarissimi, affinché, com' ei dice, i soli colpevoli vi leggessero i propri peccati, senza scandalo delle persone dabbene; le quali non sapendo leggere che nella propria lingua, sono men soggette all'invidia, alla boria, ed alla VENALITÀ: ho contrassegnato quest' ultima voce, perchè è mezzo cassata nel manoscritto. L'autore inoltre mi diede arbitrio di far tradurre quest' operetta, purchè trovassi scrittore italiano che avesse più merito che celebrità di grecista. E siccome, dicevami Didimo, uno scrittore di tal peso lavora prudentemente a bell'ayio e con gravità, i maestri miei avranno fraltanto tempo, o di andarsene in pace, e non saranno più nominati nẻ in bene nè in male; o di ravvedersi di quegli errori attraverso de' quali noi mortali giungiamo talvolta alla saviezza. Farò dunque che sia tradotto; e quanto alla stampa, mi governerò secondo i tempi, i consigli e i portamenti degli uomini dotti.

IV. Tuttavia, affinchè i lettori abbiano saggio della operetta greca, ne feci tradurre parecchi passi, e li ho, quanto più opportunamente potevasi, aggiunti alle postille notate da Didimo nel suo terzo manoscritto, dove si contiene la versione dell' Itinerario sentimentale di Yorick; libro più celebrato che inteso; perchè fu da noi letto in francese, o tradotto in italiano da chi non intendeva l'inglese: della versione uscita di poco in Milano, non so. Innanzi di dar alle stampe questa di Didimo, ricorsi nuovamente a' letterati pel loro parere. Chi la lodò, chỉ la biasimò di troppa fedeltà; altri la lesse volentieri come liberissima; e taluno s'adirò de' troppi arbitrii del traduttore. Molti, e fu in Bologna, avrebbero desiderato lo stile condito di sapore più antico: moltissimi, e fu in Pisa, mi confortavano a ridurla in istile moderno, depurandola sovra ogni cosa de' modi troppo toscani, finalmente in Pavia nessuno si degnò di badare allo stile; notarono nondimeno con geometrica precisione alcuni passi bene o male intesi dal traduttore. Ma io stampandola, sono stato accu· ratamente all' autografo: e solamente ho mutato verso la fine del capo XXXV un vocabolo; e un altro n'ho espunto dall' intitolazione del capo seguente: perchè mi parve evidente che Didimo, contro all'intenzione dell'autore inglese, offendesse, nel primo passo il Principe della letteratura fiorentina, e nell' altro i nani innocenti della città di Milano.

V. Di questo Itinerario del parroco Lorenzo Sterne, Didimo mi disse due cose (da lui taciute, nè so perchè, nell' epistola ai suoi lettori), le quali pur giovano a intendere un autore oscuris

simo anche a' suoi concittadini,' e a giudicare con equità de' difetti del traduttore. La prima si è: «Che con nuova specie d'ironia, non epigrammatica, nè suasoria, ma candidamente ed affettuosamente storica, Yorick da' fatti narrati in lode de' mortali, deriva lo scherno contro a molti difetti, segnatamente contro alla fatuità del loro carattere. » L'altra: «Che Didimo benchè scrivesse per ozio, rendeva conto a sè stesso d'ogni vocabolo; ed aveva tanto ribrezzo a correggere le cose una volta stampate (il che, secondo lui, era manifestissima irriverenza a' lettori), che viaggiò in Fiandra a convivere con gli Inglesi, i quali vi si trovano anche al dì d'oggi, onde farsi spianare molti sensi intricati; e lungo il viaggio si soffermava per l'appunto negli alberghi di cui Yorick parla nel suo Itinerario, e ne chiedeva notizie ai vecchi che lo avevano conosciuto; poi si tornò a stare a dimora nel contado tra Firenze e Pistoia, a imparare migliore idioma di quello che s'insegna nelle città e nelle scuole. »

VI. Ora per gli uomini dotti, i quali furono dalla lettura di que' manoscritti e da questa versione dell'Itinerario sentimentale invogliati di saper notizie del carattere e della vita di Didimo, e me ne richiedono istantemente, scriverò le scarse, ma veracissime cose che io so come testimonio oculare. Giova a ogni modo premettere tre avvertenze. Primamente avendolo io veduto per pochi mesi e con freddissima famigliarità, non ho potuto notare (il che avviene a parecchi) se non le cose più consonanti o dissonanti co' sentimenti e le consuetudini della mia vita. Secondo: de' vizi e delle virtù capitali che distinguono sostanzialmente uomo da uomo, se pure ei ne aveva, non potrei dire parola: avresti detto ch' ei, lasciandosi sfuggire tutte le sue opinioni, custodisse industriosamente nel proprio segreto tutte le passioni dell' animo, Finalmente: reciterò le parole di Didimo, poichè 2 essendo un po' metafisiche, ciascheduno de' lettori le interpreti meglio di me, e le adatti alle proprie opinioni.

VII. Teneva irremovibilmente strani sistemi; e parevano nati con esso non solo non li smentiva co'fatti; ma come fossero assiomi, proponevali senza prove: non però disputava a difenderli; e per apologia, a chi gli allegava evidenti ragioni, rispondeva in intercalare: OPINIONI. Portava anche rispetto a' sistemi altrui, o forse anche per non curanza, non movevasi a confutarli; certo è ch' io in sì fatte controversie, l' ho veduto sempre tacere, ma senza mai sogghignare; e l'unico vocabolo, opinioni, lo

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On the moral tendency of the writings of Sterne. » KNOX, Essays moral and literary. Vol. III, No 145. Poichè. Forse: perchè, affinchè.

proferiva con serietà religiosa. A me disse una volta: Che la gran valle della vita è intersecata da molte viottole tortuosissime; e chi non si contenta di camminare sempre per una sola, vive e muore perplesso, nè arriva mai a un luogo dove ognuno di quei sentieri conduce l'uomo a vivere in pace seco e con gli altri. Non trattasi di sapere quale sia la vera via: bensì di tenere per vera una sola, e andar sempre innanzi. Stimava fra le doti naturali all' uomo, primamente la bellezza; poi la forza dell'animo; ultimo l'ingegno. Delle acquisite, come a dire della dottrina, non facea conto se non eranò congiunte alla rarissima arte d'usarne. Lodava la ricchezza più di quelle cose ch' essa può dare; e la teneva vile, paragonandola alle cose che non può dare. Dell'Amore aveva in un quadretto un'imagine simbolica, diversa dalle solite de' pittori e de' poeti, su la quale egli aveva fatto dipingere l'allegoria di un nuovo sistema amoroso; ma tenea quel quadretto coperto sempre d' un velo nero. Uno de' cinque libri, de' quali è composto il manoscritto greco citato poc' anzi, ha per intitolazione: Tre Amori. Ei tre capitoli di esso libro incominciano: Rimorso primo; Rimorso secondo; Rimorso terzo; e conclude: Non essere l'Amore se non se inevitabili tenebre corporee le quali si disperdono più o men tardi da sè: ma dove la religione, la filosofia o la virtù vogliano diradarle o abbellirle del loro lume, allora quelle tenebre ravviluppano l'anima, e la conducono per la vià della virtù a perdizione. Riferisco le parole; altri intenda.

VIII. Da' sistemi e dalla perseveranza con che li applicava al suo modo di viveré, derivavano azioni e sentenze degne di riso. Riferirò le poche di cui mi ricordo. Celebrava Don Chisciotte come beatissimo, perchè s' illudeva di gloria scevra d' invidia, e d'amore scevro di gelosia. Cacciava i gatti perchè gli parevano più taciturni degli altri animali; li lodava nondimeno perchè si giovano della società come i cani, e della libertà quanto i gufi. Teneva gli accattoni per più eloquenti di Cicerone nella parte della perorazione, e periti fisionomi assai più di Lavater. Non credeva che chi abita accanto a un macellaro o su le piazze dei patiboli fosse persona da fidarsene. Credeva nell' ispirazione profetica, anzi presumeva di saperne le fonti. Incolpava il berretto, la vesta da camera e le pantofole de' mariti della prima infedeltà delle mogli. Ripeteva (e ciò più che riso moverà sdegno) che la favola d'Apollo scorticatore atroce di Marsia era allegoria sapientissima non tanto della pena dovuta agl' ignoranti prosontuosi, quanto della vendicativa invidia de' dotti. Su di che allegava Diodoro Siculo (lib. III, n. 59), dove, oltre la crudeltà del Dio de' poeti,

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