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quella Chiesa Cattedrale, il che appar da una nota posta in principio della sua Asella Camela, riportata dal Mazzuchelli al luogo citato.

Del Baratella parlano, oltre gli autori nominati altri molti, e fra questi il Papadopoli, il Tomasini, il Salamoni, il Ciacconio, il Pignoria, ecc., de' quali fa ricordanza il suddetto compilator della vita degli Scrittori d'Italia.

II.

GIORGIO DA TRABISONDA.

Se narrar si volesse la vita ex professo di questo

insigne Greco, e le sue molte vicende, in luogo di un breve articolo, qual è nostro intendimento di tessere, un grosso volume non basterebbe. Ma la nostra fatica sarebbe inutile ed inopportuna, perciocchè molti sono gli autori, che intorno a lui si occuparono. H Boernero con altri ne ha disteso la vita, e ne parlan poi il Giovio, l'Allazio, il Papadopoli, il Nicerono, citati da Bruchero e il Bruchero medesimo (1), ma tutti questi però non senza errori. Più esattamente al contrario ne dicono Apostolo Zeno (2), il Cardinal Querini (3), il Padre degli Agostini in varj luoghi della sua Storia degli Scrittori Veneziani, Alberto Fabricio, com mentato da monsignor Mansi (4), e ultimamente, per tacere degli altri, il cavalier Tiraboschi (5). Questi scrittori si potranno consultar per chi voglia formarsi una

(1) Hist. Crit. Philosoph. Tom. IV, Part. 1, pag. 65 e seg.

(2) Dissert. Voss. Tom. II, pag. 2 e seg,

(3) Diatriba ad Espist. Franc. Barb., pag. LXXVI e seg. (4) Bibl. Med. et Infim. Latin. Lib. VII, pag. 36.

(5) Stor. della Letterat. Ital. Tom. VI, pag. 357 e seg.

distinta idea di Giorgio da Trabisonda. Noi non toccheremo di lui, che quel solamente che sarà più opportuno al nostro intento e che all'idea di quest'opera nostra più si conviene.

Nacque egli in Candia l'anno 1395, ma perciocchè la sua famiglia era originaria di Trabisonda, non mai Cretese volle chiamarsi, ma Trapezunzio, e ciò per fuggire la taccia di menzognero, che il Poeta Epimenide imputar volle ai Cretesi. Fu fatto venir da Candia in Italia e a Venezia dal celebre Mecenate de' lette. rati Francesco Barbaro, e ciò per avventura perch'ei credeva di vedere in esso un forte campione a combattere gli errori de' Greci ch'egli avea già abbjurati, e ad unir quella Nazione alla Chiesa Romana. Prima che di Bologna io mi partissi (scrive il Barbaro a Lodovico Scarampi, vescovo di Trau, poi cardinale, in una sua latina epistola pubblicata dal Padre degli Agostini) (1) ti dichiarai ciò ch'io pensassi della virtù, dottrina ed eloquenza del Trapezunzio, sono studiato di persuaderti, che la sua persona, la sua fede e prudenza poteano non mediocremente contribuire a ricondurre e restituire i Greci alla Chiesa Romana.

Il Prendilacqua nel breve elogio che ci ha lasciato di lui nel suo dialogo intorno a Vittorino (2), dice che questi l' ebbe a discepolo a Vinegia, e l'i strui nella lingua latina, e nell' arte oratoria, e che siccome il Trapezunzio era allora povero ed oscuro, il mantenue di tutto, e il fornì ancor di danari e di raccomandazioni, mercè delle quali potè egli aspirare a quegli onori, ai quali in processo di tempo pervenne. Ma comecchè tali cose conformi sieno a quel cuore misericordioso e paterno con cui Vittorino riguardava e trattava i discepoli, non son però punto vere, e il Prendilacqua fu poco informato, e volle gratuitamente

(1) Scritt. Venez. Tom. II, pag. 57. (2) Pag. 43.

attribuir a quel gran Precettore un merito di cui punto non abbisogna, essendo egli di tanti altri ricchissimo. Un uomo che fu chiamato a Vinegia da Francesco Barbaro, non potea nè essere ignoto, nè mancar tampoco del necessario a sostentare la vita. Infatti fu il Barbaro, che sotto la disciplina di Vittorino pose il Trapezunzio, che suppli a tutto ciò ch'eragli necessario, come col suo patroncinio contribui in appresso al suo avanzamento. Ciò attesta il Barbaro stesso nell' accennata lettera al Vescovo di Trau. Io già è gran tempo, scriv' egli, dall' Isola di Creta feci venir Giorgio in Italia, e il feci istruire nelle latine lettere, e d'ogni cosa il fornii, ecc.; e ciò Giorgio medesimo riconoscente confessa nel suo Proemio ai 12 libri delle Leggi di Platone da lui tradotti dal greco, che voleva indirizzare al Barbaro, ed al Veneto Senato. Tu, dopo Dio, parla col Barbaro, fosti cagione che dalla Grecia venissi in Italia, e che alle latine lettere mi applicassi. Quindi è ben dovere che a quella Repubblica in che vidi la prima luce del giorno (era l'Isola di Creta allora soggetta ai Veneti) e fui educato, e a te, per opera del quale, dirò così, a novella vita rinacqui o renda se non al merito eguali, almen quelle maggiori grazie ch' io posso (1).

Prima che da Vittorino, imparò il Trapezunzio gli elementi della lingua latina da Guarin Veronese, ma ciò sol per due mesi. Tanto afferma egli medesimo all'occasion di rispondere all' invettiva del Guarino contro di lui, nella quale il Veronese il rimprovera d'essere stato suo discepolo. Appena due mesi, gli risponde egli, fui tuo discepolo, ne' quali più che ad imparare fui occupato in trascrivere, se pure imparar può chiamarsi una confusa cognizione de' primi Ele

(1) Card. Querini, Diatr. ad Epist. Fran. Barb., p. LXXVI.

menti. E più sopra: tu non ignori che tutto quello che to so di latinità, l'ho da Vittorino imparato (1).

Vittorino cercò di formare il buon gusto nelle lettere latine del Trapezunzio sulle opere di Marco Tullio, e singolarmente sulle Orazioni, intorno all'artifizio delle quali il consigliò in appresso più volte di scrivere. Ricusò lungamente il Trapezunzio, spaventato e dalla difficoltà dell'impresa, e dal timore che i suoi malevoli non avrebbon mancato di scatenarsi contro l'opera sua, e di lacerarla. Pure, instando continuatamente il Feltreuse, ed alle esortazioni aggiugnendo le più calde preghiere, volle piuttosto dar ansa a' suoi nemici, che negar cosa alcuna a Vittorino, cui dovea tutto sè stesso. Tali son le espressioni di Giorgio nel dedicar, che fa egli al suo maestro l'Operetta, che ha per titolo, De artificio Ciceronianae Orationis pro Quinto Ligario ad Victorinum Feltrensem, la qual fa poscia stampata l'anno 1477 in Vinegia. In quella dedicatoria protesta il Trapezunzio altresì, che se alcuna cosa pregevole nel suo trattato trovavasi, tutta a Vittorino la lode se ne dovea attribuire.

Da Venezia passò per opera del Barbaro il nostro Giorgio a Vicenza, ove fu per molt'anui pubblico professore, ma fu costretto, se a lui prestiam fede, quindi a partirsene, per le persecuzioni che gli fece provare il Guarino. Tornò a Vinegia ad inseguarvi il greco, poscia recatosi a Roma, vi professò l'eloquenza. Del metodo da lui quivi tenuto nell' istruire in quest' arte, fa grande elogio Paolo Cortesi, sì sobrio in lo dare, uel suo giudiziosissimo dialogo De Hominibus Doctis (2). Flavio Biondo, parlando della scuola dal Trapezunzio tenuta a Roma, scrive ch' egli insegnò la poetica, e l'arte oratoria non solamente agl'Italiani,

(1) Zeno, Dissert. Voss. Tom. II, (2) Pag. 25 è seg. :

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ma agli Spagnuoli, ai Francesi, ai Tedeschi, molti de' quali riuscirono celebri letterati (1). Quivi servi qual segretario Eugenio IV. e Niccolò V, dai quali, e singolarmente dall' ultimo, ricolmato fu di beneficj. Ma poi per alcune traduzioni ivi composte, che non piacquero, e più per il genio suo maldicente e satirico fu costretto partirsene e condursi a Napoli, ove col carico della moglie, e di molti figliuoli si trovò nelle più crudeli strettezze. Riconciliato per opera dell'amico Filelfo (2) con Nicolò V, Pontefice, ritornò a Roma, e quivi fu in appresso pur Segretario di Calisto III, e di Pio I; ma poi non si sa per quali avventure partitone, l'anno 1459 era a Venezia, ove in premio della sua traduzione dei libri delle Leggi di Platone a quella Repubblica dedicata, fu eletto professore d' umanità coll' annuo stipendio di du cati 150. L'anno 1464 parti da Venezia per Candia sua patria, e quindi passò a Costantinopoli. Tornò in Italia al tempo dell'elezione in Pontefice di Paolo II, stato già suo condiscepolo, e si recò a Roma colla lusinga di far ivi grandi fortune. Ma poco appresso, cioè nel 1466, per ordine pontificio fu chiuso in carcere, ove stette quattro mesi, poi liberato per non trovarsi egli reo di que' tanti delitti che si spargevano (3). Quali fossero questi delitti a lui imputati non s'ha certezza, ma presso il Tiraboschi legger se ne possono le conghietture (4). Negli ultimi anni suoi all' altre sue disgrazie quella s' aggiunse di perdere affatto la memoria. Mori decrepito verso l'anno 1484

(4) Ital Illustr. in Romand.

(2) Lib. XI, Epist. XXXIX.

(3) Così scrive Gaspare Veronese nella vita latina scritta da lui del pontefice Paolo II, pubblicata in parte dal Muratori. Rer. Italic. Script. Tom. III, Parte II, pag. 1059. (4) Stor. della Letterat. Ital. Tom. VI, pag. 366.

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