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XV.

FEDERICO CONTE, POI DUCA

D' URBINO.

Uno de' più gran principi di questo secolo, non

men grande per il valor militare che per l'arti pacifiche, e per il complesso di tutte le più luminose virtù morali, fu il Conte, poi Duca Federico d'Urbino. Tutti, son per dire, gli scrittor di que' tempi ne parlano con grandissimi elogj. Noi, tacendo, secondo ch'è del nostro istituto, delle tante guerre da lui esercitate, che sempre furono altrettante vittorie, direm di lui brevemente, e ciò solo che piacer possa e giovare a chi non ama di mescersi fra le stragi, il sangue e i singulti degl'infelici.

Federico nacque verso l'anno 1417 di Bernardino dalla Carda degli Ubaldini, celebre condottiero d'eser eiti (1). Al primo suo nascere fu egli adottato da

(1) Molti vogliono Federico nato di non legittimo matrimonio. Ma gli scrittori più accreditati s' accordano in dire che Guidantonio, conte d' Urbino, trovandosi senza figliuoli finse che una sua concubina fosse grossa di lui, e le suppose un bambino di Bernardino della Carda ch' era nato in quel tempo, e questi fu Federico che addottò per figliuolo. (Vedi Æn. Silv. Piccolom. Hist. de Europ. Cap. LXI. Corio Stor. di Milano, pag. 815. Cron. Rimin., pag. 948, tom. XV, Rer. Italic. Scrip).

Il Riposati nel tom. I, pag. 161 della sua Zecca di Gubbio, stabilisce la nascita di Federico alcuni anni dopo, cioè ai 18 giugno del 1422. Ma dicendo l'autore degli Annali Ferraresi, contemporaneo di Federico, ch' egli mort l'anno 1482. (Rer. Italic. Scrip., tom. XXIV, pag. 263), o

Guidantonio di Montefeltro, conte, d'Urbino, che mal soffriva d'esser senza figliuoli ed eredi del suo dominio. Ancor fanciullo fu inviato a Mantova alla celebre scuola di Vittorino da Feltre, dal quale fu assai bene accolto, perchè nella figura e nel viso di lui lesse quell'indole felice, quella bontà, quella mente, di che diede luminose prove in progresso. Apparò ben presto la greca lingua e la latina; ma la maggior sua inclinazione essendo l'arte militare, tutto s'ab. bandonò a quegli studj, che son più atti a formare un capitan valoroso. Col crescer degli anni invigorito da' corporali esercizj, divenne giovane si avvenente e grazioso, che i Mantovani concorrevano per maraviglia a vederlo, e partivano innamorati. Ma più di tutti n'era innamorato il Feltrense allo scorgere i rapidissimi progressi ch'egli facea negli studj, e oltracciò la docilità, l'onestà, la modestia, unite ad un prouto ingegno, acuto, vivace, fecondo. Io non posso mirar questo fanciullo, dicea Vittorino, senza sparger lagrime di tenerezza e di gioja (1).

Godea Federico assai al leggere descrizioni di battaglie, di bellici assalti difficili: allora s'agitava tutto, cangiava colore, battea co' piedi il terreno, alzava la voce, sembrava convulso, e già d'esser pareagli fra la polvere e l'armi. Leggendo un giorno la vita di Scipione Affricano, come imparò che costui fu ancor giovanetto alla testa degli eserciti, sospirò, ed a Vit torino rivolgendosi esclamò coi noti versi di Virgilio, da lui un po' cangiati.

en erit unquam

Illa dies mihi qua liceat mea cerncre facta ?

scrivendo il conte Baldassar Castiglione (che ben conoscea la corte d'Urbino) nel suo Cortigiano, lib. I, pag. 5, che questo principe morì nell' età sua di 65 anni, non abbiam creduto prendere errore fissando la sua nascita verso il 1417. (1) Prend., pag. 60.

Scipione, dicea egli, un poco più maturo, di me, condusse armate: io non vidi ancora nè soldati, nè accampamenti. Vittorino l'abbracciava ed il baciava teneramente, consolandolo col celebre motto del medesimo Mantovano cantore, tu quoque Caesar eris, quasi presago fosse di ciò che dovea in appresso accadere, ma che per verità non potea prevedersi allora nella totale ampiezza sua. Perciocchè il Conte d'Urbino, dopo aver Federico adottato, prese in moglie una dama di casa Colonna, dalla quale ebbe un figliuolo per nome Oddone Antonio, che dovea essere erede del principato. E il fu di fatti dopo la morte del Padre. Ma abbusando egli del suo potere, come altrove fu detto, e abbandonandosi a mille lascivie e violenze, fu dopo un anno di governo tirannico ucciso da' suoi, il che fa nel 1444. A questa occasion si conobbe a qual alto segno fosse amato e stimato il nostro Federico. Poichè, unitisi i cittadini d'Urbino dopo l'uccision d'Oddone in pien consiglio, e avendo molti d'essi più irritati proposto d'abolire il Principato per sempre, mentre si deliberava su ciò, e, com'è solito, s'altercava, fu da non so chi proclamato Federico, al cui nome, quasi voce dal ciel discesa, s'alzò un grido universale e concorde in favore di lui.

Ma se fu maraviglia la sua elezione, fu anche maravigliosa la prontezza con cui tutto lo stato d'Urbino venne alla sua ubbidienza. Erano a quei tempi dugento all'incirca le comunità che formavano quella Provincia. Tutte queste entro lo spazio d' uu giorno inviarono spontaneamente lor deputati a giurargli fedeltà e sommessione. Egli poi assai ben corrispose a tanto amor de' suoi popoli, governandoli con giustizia, con moderazione, e con carità piuttosto di Padre che di Monarca (1).

(1) Prend., 1. c.

Sebbene occupato assai spesso in espedizioni militari, sempre a lui gloriosissime, comechè in una d'esse abbia avuta la disgrazia, qual altro Annibale, di per. dere un occhio (1), abbelli con sontuose fabbriche Urbino, coltivò gli studj, e protesse i letterati in maniera, che Angelo Poliziano scrivendo quando già Federico era morto a Lodovico Odassi, ebbe a dire (2), che due soli uomini, secondo lui, avea prodotto quel secolo, i quali avean richiamato in Italia il buon gusto e le lettere, cioè Federico d' Urbino, e Lorenzo de' Medici. Questi due, continua egli, osarono fra le folle tenebre di questo secolo presagire la luce, adoperar tutte le forze loro contro il torrente de'pessimi costumi, raccogliendo ottimi libri, giovando agli uomini dotti, e coltivando eglino stessi gli studj.

Marcantonio Sabellico egli pure dicea, che dopo Giulio Cesare non s' era principe ancor veduto più forte, più sapiente, più illustre di Federico, e che meglio sapesse congiungere alle imprese laboriose di Marte, i dotti ozj di Minerva; ond' era difficile il giudicare, chi fra Cesare e Federico avesse più contribuito all'immortalità del proprio nome (3). Altri elogj di lui grandissimi si posson leggere nell'elegante libretto del Bembo delle lodi di Guidobaldo, duca a' Urbino, e di Elisabettta Gonzaga. Il Tiraboschi (4) bei passi ha in suo onor riferiti di Cristoforo Landino, che gli dedicò la seconda parte delle sue Dissertazioni Camaldolesi, e di Pirro Perrotti, che indirizzogli la Cornucopia di monsignor Perrotti, vescovo di Siponto, suo zio (5). A noi è piaciuto di non citar che

(1) Æneas Silv. Piccolom. Hist. de Eruop., cap. LXI. (2) Lib. III, Epist. VI, pag. 85. (3) Lib. VII, Epist. XI. (4) Istor. della Letterat. Ital., tom. VI, pag. 54, e 183. (5) Anche Monsignor Niccolò medesimo avea dedicato a Federico l'Opuscolo d' Aristòtile delle virtù e de' vizj, da

alcuni di que' che hanno scritto dopo la morte di di lui, ne' quali non può cadere il sospetto d'adulazione, (1).

Fra questi avrà luogo il celebre Baldassar Castiglione, il cui passo, sebbene un po' lungo, merita d'esser qui riportato. Parlando egli nell' aureo suo Cortigiano della città d'Urbino, della fertilità del suo territorio, della salubrità dell'aria, ecc., così pro. segue (2):

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Ma tra le maggior felicità che se le possono attribuire, questa credo sia la principale, che da gran tempo in qua sempre è stata dominata da ottimi signori, avvengachè nelle calamità universali delle guerre d'Italia essa ancor per un tempo ne sia stata priva. Ma, non ricercando più lontano, possiamo di questo far buon testimonio con la gloriosa memoria del duca Federico, il quale a dì suoi fu lume dell'Italia; nè mancano veri ed amplissimi testimonj, che ancor vivono, della sua prudenza, « dell'umanità, della giustizia, della liberalità, del

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lui dal greco tradotto in latino, e poscia l'anno 1504 stampato in Fano.

(1) Della vita e delle imprese di Federico d'Urbino, oltre altri molti, hanno scritto anche i seguenti, le cui fatiche su ciò giacciono inedite la maggior parte nella libreria Vaticana di Roma: Francesco Filelfo, Vespasiano Fiorentino, Bernardino Baldo, Pietro Antonio Poltronio, Giovanni Gallo di Tiferno, Girolamo Buzio, Giulio Cesare Capaccio, Batista Cantalicio, vescovo di Penna, Luigi Guidone da Cagli, il Porcello Napolitano, Guidone da Pergola, e finalmente il Vescovo Antonio Campano, di che può vedersi lo Zeno nel primo volume delle sue Dissertazioni Vossiane, pag. 200; il qual Zeno medesimo ci ha data la notizia anche degli altri in certi suoi zibaldoni MSS., cousultati dal chiar. signor abate Morelli. (2) Lib. I, pag. 4.

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