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nita del sapere. Correggea con rigore gli ostinati e i caparbj nelle opinioni letterarie e i contenziosi (1), e forse temea di vederli, col crescer degli anni, col cangiar degli studj, convertiti in altrettanti accaniti sofisti e settarj.

Nell' esaminare le loro composizioni era attentissimo perchè nulla gli sfuggisse di ciò che lode o biasimo si meritava, rendendo sempre conto al discepolo e di quel che lodava, e di quel che biasimava. I troppo ubertosi e fioriti non riprendea, dicendo che l'età ben potea regolare l'ingegno, ma non accrescerlo. I tralci delle viti, scrivea Cicerone, che licenziosamente si spargono, posson di leggieri raccogliersi, e troncarsi se superflui col ferro, ma non colla cultura prodursi, ove manchino. Similmente amo nel giovinetto piuttosto una facondia che ecceda, e un ingegno che abbia bisogno del ferro. Non può mantenersi a lungo quel sugo ch'è venuto a maturazione con soverchia celerità (2). Agli aridi e secchi proponeva lezioni d'autori che i più acconcj fossero a correggere questo difetto pericoloso. Abborriva per altro la prolissità di sole parole, l'affastellar troppo frequente d'epiteti eziosi, l'uso soverchio delle ardite metafore, e de' concetti che offendono la perspicuità e proprietà dello stile, e sono di nocumento al buon gusto.

Se qualche composizione gli era presentata o in verso o in prosa, che mostrasse e giudicio ed eleganza, ne sentiva consolazione grandissima, e pel diletto ne lagrimava; ed allora al felice discepolo non era scarso di lodi anche per destare negli altri un' utile emulazione (3). In genere era, anzi che no, liberal delle lodi purchè in qualche modo fossero meritate, e singolar

(1) Platin., I. c. (2) De Oratore, Lib. II. Leggi anche a questo proposito il Cap. IV, del Lib. II. delle Istituzioni Oratorie di Quintiliano. (3) Platin., 1. C.

mente verso de' timidi, che bisognosi erano d'incoraggiamento e d'ajuto. Co' discepoli presuntuosi ed altieri n'era più scarso anche in maggioranza di meriti, mostrando quanto mancasse loro d'esser perfetti, e quanto quella lor presunzione, che sempre arresta e ritarda i progressi dell' ingegno, fosse in loro ridicolosa (1). Spiegando logica bandiva tutti i cavilli, le oziose quistioni, e gli andirivieni de'Sofisti, che tanto erano in moda a' que' tempi; volea che la logica insegnasse veramente a pensare, non a spropositare (2). Così pure nell' altre facoltà non si serviva che d'autori sani ed eccellenti.

Quando egli o pubblicamente o privatamente insegnava, volea che tutti stessero attenti, e già la loro attenzione egli arguiva, non tanto dall'equivoca quiete del corpo, quanto dai movimenti degli occhi, e dalaria del volto. Consigliava quindi i discepoli di riandiar subito, appena terminata la scuola, le lezioni ch' egli dettava, e di meditarle, notando i tratti che per essi fossero od oscuri, o difficili, onde domandarne quindi dal Precettore la spiegazione.

Anche volea che i passi più insigni, e le più importanti sentenze si ripetessero più e più volte onde imprimerli nella mente, dicendo, che il buon gusto non s'acquistava se non se che imitando il bue che rumina il cibo. Così, ruminando i precetti e le bellezze de' celebri autori, in sangue, dirò quasi, e in natura si convertiva il buon gusto.

Avvertiva pure i discepoli, acciocchè prima d' accingersi a compor qualche cosa, in verso o in prosa che fosse, vi si apparecchiassero colla lettura di qualche autore eccellente, che un argomento conforme trattato avesse a quello che avean per le

(1) Platin., 1. e. (2) Castill. in Vit. Vict. Felt. Saxol., Prat. in Epist. Sup. Vict. Feltr.

mani (1). Ciò in fatti molto contribuisce a riscaldar la mente e la fantasia, a fare schizzar, dirò quasi, le scintille dell' ingegno, e presentar nuove scene, ad aprir nuovi teatri. Sappiam che tal metodo può essere pericoloso ai letterati, e li può condurre all'imitazione, la quale, al caso che sia servile, è sempre obbrobriosa; ma non già ai principianti, che non hanno ancora formato il gusto e lo stile, e che abbisognano di chi a man gli conduca, e regga i mal fermi lor passi.

Volea altresì che i suoi alunni imparassero a memoria gli squarci più eccellenti de' poeti, oratori, e filosofi. E veramente un tal uso fu biasimato da qual che uomo dotto, come esercizio meccanico (2), seb. bene esaltato a ciel da molt' altri (3): ma, oltre ch'è di grande utilità l'ajutar ad esercitar la memoria che diventa ognor più felice e tenace, altro vantaggio grandissimo pur ne deriva, ove i passi da imprimersi nella mente sieno opportuni, e per le cose che contengono atte ad ammaestrare, e per lo stile con cui sono espresse.

Senz' accorgersi i giovani formano il buon gusto e un tatto finissimo ed un orecchio imperioso, che abborrirà col lungo abito delle cose perfette tutto ciò che sia aspro, barbaro e tralignante, in una parola, dall' oro purissimo di che si saranno, a così dire,

nutriti.

Si dee però avvertire quello a che mirava Vittorino con grandissima cura, cioè che ben intendano prima ciò che imparar deggiono, e che i passi che a lor si danno

(1) Castill., 1. c. (2) Rousseau. Emile, Tom., I, pag. 162. (5) Plutarch. De Liberis Educand., pag. 7. Philelph. De Educat. Liber., pag. 41. Eneæ Sylv. Piccolom. De liber. Educat,, pag. 975. Oper. Locke, Educ. de' Fanciulli., tom. II, pag. 94.

non sieno come la bandiera del Piovano Arlotto cuciti di pezzi diversi e pel colore e per la tessitura. Non si confonda Cirerone con Seneca, non Livio con Curzio o Procopio, non con Vigilio Lucano e Stazio, come pur troppo suol farsi in alcune delle infelici scuole moderne. Del rimanente, qual gran dono e qual fonte d'ogni erudizione sia la memoria ben lo mostraron gli antichi, fingendo Mnemosine, che viene a dire memoria, madre di tutte le Muse.

Per ciò che s'aspetta ai poeti e agli oratori, Vittorino non volea in sulle prime che i suoi discepoli leggessero e meditassero che questi quattro soli: Virgilio ed Omero, Cicerone e Demostene. Risguardava costoro come i veri padri d'ogni eleganza, e d'ogni eloquenza. Insino a che non s'erano ben nutriti e formati con questo latte purissimo, nou permetteva lor che passassero ad altri cibi di vario gusto e sapore (1). L'idea per altro che dava loro di quasi tutti gli scrittori, così latini come greci, adombrandone in pochi tratti il carattere, ci mostra quanto fosse in essi versato, e non dovrà dispiacere d'intendere com'egli, che fiori nel secolo XV, secolo, a detta d'al cuni di poca critica, e di gusto assai depravato, ne giudicasse.

Tra i Poeti più spesso d'ogni altro dicea doversi aver fra le mani Virgilio, perchè costui avea supe rato in diligenza e in istudio Omero medesimo. Lodava la tessitura maravigliosa dell'Eneide, la commozione degli affetti, il decoro e il costume de' personaggi. Trovava in questo poema i semi di molte scienze e molt' arti. Virgilio insomma, sempre nobile, sempre preciso e vibrato, sempre poeta. Credea utile la lettura di Lucano per un non so che di concitato e d'ardente che potea le menti riscaldar de' lettori ti

(1) Saxol. Pratens. in Epist. Sup. Vict Feltr.

midi e freddi. Curava poco gli elegisti, perchè nor d'altro trattavano che d'inezie è d'amori, questi disonestamente il più delle volte spiegati.

Chiamava lussureggiante Ovidio, ma pur amabil poeta, onde non potea dalla lettura in tutto astenersi dell' opere sue. Tra i satirici poi facea gran conto d'Orazio e di Persio, ma più ancora encomiava il primo per le sue liriche composizioni, nelle quali aveva portato la poesia al più alto colmo della grandezza e della forza. Non disprezzava ne' tampoco Giovenale, ma dicea non potersi legger da' giovani senza scandalo, perchè troppo palesemente turpe ed osceno. Le tragedie si greche e si latine doveansi aver fra le mani ( e più ancor le prime che non le seconde) per la cognizione del cuor umano, per la gravità delle sentenze, e per il costume de' personaggi. Fra i comici, lodava la proprietà di Terenzio, e i sali nativi, e la meravigliosa imitazion della natura di Plauto, Innalzava a cielo fra gli storici Sallustio per la brevità ed eleganza, Giulio Cesare per la proprietà, disinvoltura e rapidità, Tito Livio per la ric chezza quasi ondeggiante dello stile, e l'eloquenza delle concioni. Non sapea intendere come quello stitico di Asinio Pollione, straniera vena, e patavinità (per ciò che risguarda allo stile) obbiettasse a quel sovrano Scrittore (1). Volea che si leggesse Valerio Mas.

(1) Ben potea giudicar del merito di Tito Livio il Feltrense, egli che il primo fu nel suo secolo che studiasse profondamente questo Scrittore, che pubblicamente lo spiegasse dalla cattedra, ne correggesse gli errori introdottivi dagl'ignoranti copisti, e ne dilucidasse i luoghi oscuri ed ambigui, onde ottenne anche per questo grande celebrità. Ciò impariam da Giovanni Andrea de' Bussi, vescovo d' Aleria, suo discepolo, il quale nella Prefazione premessa al Tito Livio, stampato in Roma nel Secolo XV, senza nota d'anno,

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