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simo per la varietà delle storie, e per l'abbondanza degli ottimi esempli. Non sapea perdonargli per altro il vizio dell' adulazione, di cui si mostrò studiosissimo. Dicea che Cicerone, riguardato come oratore, come filosofo e come filologo era il più sicuro, e il più eccellente modello di tutti. In esso si trovava l'esempio di tutti gli stili, e di tutti gli argomenti che l'uom volesse trattare. Nutriva senza mai generar sazietà. Quanto più con lui conversavasi, più mettea desiderio di sè. In sè contenea tutto il migliore degli Accademici, de' Peripatetici, degli Stoici. Da lui potea l'uomo i precetti apprendere onde ben condursi iu qualunque stato e condizione di vita ei si trovasse, o pubblica

e ristampato a Vinegia da Vindelino da Spira nel 1470, fa un grandissimo elogio di Vittorino, e, fra le altre cose, dice così: Illud verissime referre me puto primum omnium ætate nostra Victorinum Feltrensem lectionem publice audientibus præisse Livianam ingenti hominum admiratione et fama. E poco appresso soggiugne : Et Livium primus, ut intactum pelagus, atque inexpertum noster Thiphus apparuit, et Patavinos thesauros Hesperidum hortis clausiores, patefecit. Quindi il Vescovo d'Aleria confessa, qual grato discepolo, che se qualche lode si meritava la sua edizione di Livio, questa tutta a Vittorino dovea attribuirsi, dal quale avea egli imparato su ciò quanto sapea. Istic ego, (intende di Mantova ) cum illo usus parente et magistro, istic Livii Decadum partem prælegentem audivi; quod ideo non fuit silentio prætereundum, ut si quid in recognitione profeci, auctori receptum Victorino referatur. Il Robortello (Lib. II, Emendat. ) afferma che il Tito Livio del Vescovo d'Aleria fu impresso sopra un testo corretto di Vittorino, ma ove ciò fosse, non l'avrebbe taciuto l'Aleriense, il qual, com'è detto, confessa, dovere al Feltrense tutte quelle utili correzioni, che in quel grande Storico avea fatte, ma intese dalla viva voce di lui, e non altramente.

fosse o privata. Dovea leggersi Seneca per le cose utilissime da lui con molta ricchezza e varietà trattate intorno ai costumi, ed alle virtù. Lodava molto il suo ingegno, ma ne biasimava la guasta eloquenza e lo stile corrotto, e dicea doversi studiare con molta cautela, acciocchè poi non s'imitassero, all'occasione, colle sue molte virtù anche i molti suoi vizj, tanto più pericolosi quanto più amabili. Si volean finalmente pur leggere Marco Varrone, Plinio, Cornelio Celso per l'utilità e varietà delle trattate materie. Fra Greci paragonava Omero all'oceano, ricco, anzi ridondante d'ogni virtù. Era utile Esiodo per i precetti, Teocrito ammirabile per la soavità e per l'ingenua imitazion di pastorecci costumi. Pindaro, pria. cipe di tutti i lirici per la sublimità de' suoi voli, per la grandezza delle immagini e de' pensieri. Aristofane dovea riguardarsi come opportuno persecutor de'vizj e scrittore elegantissimo (1). Così in pochi tratti caratteristici il merito rappresantava degli altri classici greci ch'io tralascio per brevità, bastando il già detto a far fede quanta fosse la sua erudizione, e, ciò ch'è più da stimarsi, il suo giudizio e buon gusto, e quanto approfittar dovesser gli alunni sotto un sì eccellente maestro.

Non contento egli d'istruir i discepoli nella pub. blica scuola, sebbene da tante occupazioni distratto, a que' che più vogliosi erano d'imparare, e che più si distingnevano per ingegno e per costumi, dava private lezioni, e tanto era il suo zelo del loro profitto, ch' egli stesso di buon mattino, recando seco e lumi e libri, entrato nella loro stanza, soavemente dal sonno svegliatili, gli eccitava allo studio e all'acquisto della virtù (2). Oltracciò se in qualche giovane povero, ma di molto ingegno, e d'incorrotti costumi

(1) Platin., in Vit. Vict. Feltr. (2) Prend., pag. 84.

incontravasi, il qual non fosse de' suoi discepoli, per allettarlo a lasciarsi istruire buona quantità di danaro Contavagli, e lo riguardava poi sempre com'uno de' suoi più cari e diletti (1). Ma già delle generosità ed eroiche azioni di quest'uomo incomparabile avrem nel libro seguente motivo di ragionar con qualche estensione.

Tali erano le Accademie di Vittorino, tale la sua disciplina e il suo ardore per l'avanzamento de' cari suoi allievi nella carriera difficile degli studj. Prima però di chiudere quest' articolo, diamo una qualche idea del profitto che faceano alcuni d'essi sin da' primi anni dell'età loro, perciocchè di quello che riportarono quando già furon formati, partitamente diremo allora che d'essi si farà menzion più solenne.

Ambrogio Camaldolese, scrivendo a Cosmo de' Medici da Basilea, ov'era giunto il settembre dell'anno 1435, qual Legato del Papa a quel Concilio, dan. dogli contezza del viaggio suo (2), gli dice che da Modena si volle condurre a Mantova al solo fine di vi sitar Vittorino e la sua scuola, già fatta celebre. Non avendolo quivi trovato, ed inteso com'egli era a Goito, castello dodici miglia distante, in compagnia de' giovani Principi, volle condurvisi. Ma sentiamo che dica Ambrogio medesimo, le cui parole riporterem noi fedelmente tradotte nella volgar lingua nostra. Trovammo ch' erano a pranzo. Vittorino venne ad incontrarci ... Mi presentò Gian-Lucido, figliuolo del Principe di Mantova, fanciullo di quattordici anni, da lui educato ed istrullo. Ci recitò questo giovinetto da dugento versi da lui composti, ne' quali la pompa descrivesi fatta in Mantova, quando l' Imperador Sigismondo ventrò; e ciò fece con tanta grazia e con sì soave pronunzia, che a me per quell' età è paruto prodigio.

(1) Prend., pag. 84.

(2) Lib. VII, Epist. III.

Credo che con più garbo non pronunziasse Virgilio, allorchè alla presenza d' Augusto recitò il suo Sesto libro dell' Eneide. Il poemetto era bellissimo, ma la soavità di chi recitava ne accrescea la nobiltà ed eleganza. Quest' amabil fanciullo ci mostrò due proposi zioni da lui aggiunte alla Geometria d'Euclide, unitamente alle sue figure; onde oggimai si può far giudi zio quai frutti in appresso darà il suo ingegno. V'era pure una figliuola del Principe (Cecilia), all'età incirca d'anni dieci, la qual già scriveva in greco con tanta eleganza ch' io mi vergognai in considerando, che di quanti insin qui ho istrutti appena un solo si trovi che scriva si bene. Vavea parecchi altri nobili discepoli suoi, i quali m'onoraron moltissimo, tale essendo la volontà di Vittorino, il quale avea lor detto, che tutte le cose sue eran meco comuni.

In altre due lettere, scritte due anni innanzi, e dirette al celebre Niccolò Nicoli (1), all'occasion di passar la prima volta da Mantova, più diffusamente scrive della scuola di Vittorino. Dice che tutti i discepoli di lui erano molto diligenti e assai bene istrutti; che molti d'essi così possedevano le due lingue greca e latina, che d'una traducevan nell'altra gl' interi volumi, ch'egli annovera. Dice che nove poi tra essi così bene scrivevano, ch' ei ne stupi. In altra epistola ripete le cose medesime (2), e più a lungo ancora nella Relazion de' suoi Viaggi intitolata Hodeporicon: ma tanto basti ad un saggio.

Vittorino però, malgrado di tante fatiche, avrebbe fatto assai poco, se dopo aver procurata a'suoi disce poli la sanità del corpo e la cultura dell'ingegno, avesse quindi lasciato vuoto il lor cuore delle morali virtù, e della religione. Se un corpo sano e robusto, se un

(1) Lib. VIII, Epist. XLIX e L. (2) Lib. XV, Epist. XXXVIII.

ingegno ardente e coltivato con un cuor gaasto e vi zioso accompagnansi, forman dell'uomo talvolta un mostro più brutale ed indomito di qualunque più inospita fiera. Veggiamo ora qual fosse questa terza ed ultima parte, ma più importante di tutte, della disciplina di Vittorino, che la cultura del cuore riguarda.

Già s'è detto ch'egli amava di ricevere a discepoli i fanciulli ancor in tenera età, e se ciò è molto opportuno alla cultura dell'ingegno, lo è vie maggior mente a quella del cuore. Le inclinazioni e i vizj, che uella prima età in questo introduconsi, sono assai più pericolosi e difficili a sradicare, che gli errori non son degl'ingegni, perchè sou dilettevoli, e perchè trovano in noi un fondo, dirò così, che gli coltiva e gli nutriea, e questo fondo son le passioni che si sviluppan più presto d'assai che comunemente forse non credesi.

Di qualunque età però fossero i discepoli che a Vittorino presentavansi, egli alcuno non ne riceveva, che conosciuto non fosse per giovane di onesti costumi, e che sul limitar del liceo non promettesse di depor sul momento qualunque malvagia inclinazione, e qualunque viziosa abitudine. Oltracciò prescriveagli al primo ingresso il sistema di vita che condur ivi dovrebbe, il quale ove fosse da lui maliziosamente violato, veniva, senza dar luogo a scusa o a pretesti, dal ginnasio espulso come non atto alla sua disciplina (1). Del rimanente, ove l'indole fosse felice, ed innocenti i costumi, in egual modo cortese Vitto sino accoglieva i discepoli che gli si presentavauo, ricchi o poveri, d'oscuro fossero o d'illustre lignag gio (2). Anzi luogo avrem d'osservare quanto grande fosse il numero di coloro ch'eran mendici a segno, ch'egli stesso dovea mantenerli d'ogni cosa necessa

(1) Platin., 1. c. (2), Prend., pag. 51.

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