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Feci ospite il grande pittore, l'illustre poeta, di un cavaliere romano don Mario Ghigi mentre esponeva al pubblico il suo magnifico quadro della Fortuna e scriveva la più bella delle sue satire, Babilonia, in cui la città e la corte di Roma eran trattate a dovere.

Non aspirar ad altra gloria o palma,

Che del sollazzo e aver per ciancia o apologo
Ciò che dopo di noi sarà dell'alma.

E so ben ch'io non sia vate od astrologo
«Che ognun qui studia in diligenza eccedere
D'aver migliore il cuoco che il teologo.
· Bisogna insomma serrar gli occhi e cedere,
«E dir che quanto a Babilonia aggrada
Tutto a spese si fa del nostro credere.

Lo stesso quadro era una satira sanguinosa alla nobiltà Romana, poichè vedevasi la fortuna abbandonare i suoi tesori agli animali più abietti ed immondi. Della qual cosa rimproverandolo dolcemente Don Mario, rispondeva il Pittore: Date uno sguardo agli uo> mini e vedrete se le figure allegoriche del

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» mio quadro non facciano aperta la virtù. › Lasciate che quei vili che hanno gloria dal › caso, merito dalla fortuna conoscano sè me› desimi nelle mie allusioni. Se alzano la » voce contro di me, accusano la loro ignavia e ne' miei danni trovo le mie vendette. » Tanto la pittura che i versi scatenano contro di lui mezza Roma.

Un nuovo ricco, messer Bellosguardo, carico d'ignoranza, di scudi e di albagia vuol comperare il quadro per distruggere un' opera contro di lui diretta;

Bell. Voi avete dipinto una volpe, una tigre ed un asino che nuotano in mezzo all'oro. Che negozio è questo? che significano codesti animali?

Salv. Vi appago subito. La volpe e la tigre significano che la fortuna protegge gli astuti ed i malvagi....

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Bell. Ed io sono venuto a domandarvi

ragione di quell' asino.

Salv. Ed io ve l'ho data.

Bell. Ma tutti dicono che quell'asino....
Salv. Proseguite.

Bell. Dicono che l'avete dipinto per

alludere.....

-

Salv. Alludere a che cosa?

Bell. Non lo so: ma quell' asino mi

sta sul cuore.

Salv. Me ne rincresce davvero.

Bell. Voglio che mi vendiate quel quadro o che scancelliate quell' asino.

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Salv. Ci resterà, signore: e se non basta uno ne dipingerò altri dieci.

Costui a forza d'oro e di cabale move un processo criminale contro il pittore, d'onde piovongli addosso mille guai.

Al mercante arricchito si unisce il nobile prosuntuoso, il quale si attacca più particolarmente al poeta per le fiere terzine della Babilonia in cui gli sembra di riconoscere le imprese sue.

Costui per ischerno commette a Salvator

Rosa un sonetto per le sue nozze.... per le sue nozze con Crezina figlia di don Mario della quale Salvatore è amante corrispostp...

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Il sonetto è pronto, risponde il poeta,

e per appagarvi più presto state attento che ve lo improvviso.

SONETTO

E chi è costui che al portamento altero
Agli atti audaci, agli oltraggiosi accenti
Sembra dell' universo aver l'impero
E calpestar col piè tutti i viventi?
Dunque fia ver che l'onta e il vitupero
Renda onorati gli uomini e potenti?
Gloria, merto, virtù, dunque fia vero
Che s'abbian dalla sorte o dai parenti?
Dunque sorger gli stupidi, gl' indegni
Vedrassi e tra gli affanni e le molestie
Languir gli animi eccelsi e i divi ingegni?
Nuovi incanti di Circe or vediam noi;
Quella dava agli eroi forma di bestie
E alle bestie or si dà forma di eroi.

Il nuovo arricchito per il quadro promuove

un giudizio, il nobile offeso vuole per i versi

un duello.

parte.

Cosi le gioie spuntano da ogni

Due altri personaggi, storici entrambi, introduceva nel mio dramma.

Uno era Gian Domenico Peri del monte Amiata, detto il poeta contadino, che era di moda a quel tempo come ai di nostri furono di moda il poeta fornaio, il poeta facchino e non so qual' altro poeta che facesse odi e pentole, sonetti e stivali.

-

Chi sei tu? gli chiede Salvatore, che vuoi da me? Hai bisogno di qualche cosa? Peri. Io ?.... Non ho mai avuto bisogno di alcuno. Pane e castagne non me ne mancano. Come l'annata è buona bevo del vino, come è cattiva ricorro alla fontana. Coltivo i miei campi e vivo col fatto mio. Ho veduto i palazzi dei grandi, non ho invidiato la loro sorte e mi son sempre creduto più grande di loro. Io non comando ad alcuuo, ma neppure a me v'ha chi comandi. Dimoro al monte

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