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giare in su queste ultime vocali U ed I, acciochè imitando quella un cupo ululato, e questa un acuto nitrito, il cantore non paia divenuto ad un tratto un gufo od un ronzino».

Se così è, non si potrebbe far gran carico al nostro vernacolo d'essere della I quasi altrettanto parco, quanto liberale si mostra l'italiano d'oggi, cacciandolo dapertutto, non solo a spese della gravità ed energia, ma della grammatica.

Il nostro dialetto adunque, lungi dall'abbondare nel senso di questa simpatia, diresti piuttosto che egli pecchi dal lato opposto, e preferisca di parer rigido, anziché sdilinquito, a segno che molti vocaboli aventi quest' iniziale se la videro senza remissione mozzata, forse non meno in odio dell'I che per amore dell' A (V. lett. A), come se quello rappresentasse il nitrire, questo il parlare (riguardo a tale antipatia, V. pare R); I mutasi talvolta in A, come riguardevole, ragguardevole; in O, come dovizia da divizia, domanda e dimanda, domani e dimani, e sim.; in U, come ribelle, rubello, ec.

L

L si scambia talvolta con D (V. D); ama associarsi con G (V. G); preceduta da C, mutasi in chi, come da oclo (oculo), occhio, da clave chiave (noi o si sincopa, come eui, fënoi, o si converte in ci, come ciav, macia); cambiasi pure in I, come piangere da plangere, noi piorè da plorare; e più ancora in R (massime nel dial. tosc.); antic. mutavasi persino in U, alla provenzale, nelle v. altro, allo e sim., uso rimasto nel nostro dialetto.

M

Cambiasi in N, dal lat. in ital., quando la precede, come danno da damno; e dall'ital. nel nostro dial., ma solo nella

pronuncia, come ambizione, ambission (pronunc. an); mu pure in N, nella voce stessa, in forza della consonante segue, come cambiare e cangiare,

N

Viceversa (V. M), cambiasi in M, in forza della consona che segue, come immobile, imperfetto e sim. (però nel letto pronunciasi sempre in/; N ama pure cangiarsi in come Palermo, Bologna, da Panormo, Bononia; similme allorchè la precede, come illazione, illogismo, đa inlazio ec., collegare, collegio, collega da con, ec., veleno da vene cuna e culla (noi cuna soltanto); così, innanzi a R, mu in questa, come irreparabile, corrispondere, da inreparab conrispondere, e sim.; viene pure assorbita ancorché preceda la R, immediatamente, come porre da ponere, ve da veniró (ma in tal caso il dialetto si tiene più all'orig

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Questa è la vocale più sonora e più maschia, direbbe nostro Tesauro; per amore di essa (pronunciata però chius noi diciamo fomna, da fëmna, femina; andoma, andomo andemo (antic.) per andiamo; avoma, avomo da avemo; so da semo; col, cost (o ch.) da chël, chëst, ec.; si ritiene (p nunciata più o meno aperta) in molte v. d'orig. lat., co om, nom, scola, son, ton, long, ec.; talvolta mutasi nel d tongo eu, talvolta in u, ma meno sovente che in ital.; resto, V. A, E, I, U.

P

Scambiasi facilmente con B (V. B); con V, come da pere, savere (ant., noi savei), savio, saviezza, sapore, savol ec.; noi oltre a questi, anche savon da sapone, levr da lepa luv da lupo, rava da rapa, ec.

Cambiasi talora in C, sia nella lingua, sia nel dialetto. ome quotidiano, cotidiano, noi col e cost (o ch.), da quel, uest, ec.

R

Questa consonante avendo qualche affinità di suono con , anzi parendo quasi un L indurita, scambiasi facilmente ɔn essa, come albero da arbore, varcare e valicare, scirocco scilocco, peregrino e pellegrino; assorbe N precedente, nè blo immediata (V. N); mutasi talvolta in D (V. D); in I me pajo da paro, e sim. Nel nostro vernacolo poi, Riniale ha una specialità tutta propria; ove dopo le venga un se ne disfa, e piglia il suono di semivocale, ovverossia ronunciasi chiusa, come rbate, rfè (ribattere, rifare), suono a po' duro, ma comunemente allargato e perciò raddolcito A, sua simpatia. (V. a questo proposito nel Dizionario la ta alla lett.

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J.

S

Lettera potentissima nel nostro dialetto, avendo non solo tto man bassa sullo Z, ma allargato il suo dominio a spese i C, là dove questa consonante è seguila da e o i, ce, ci; rse per l'indole sua energica, poco amica di suoni siffatti. irca le sue permutazioni con F, G, Z, V. queste lettere.

T

Si permuta facilmente nell'altra dentale, massime in piemontese (V. D).

U

Merita osservazione questo che le favelle nello stato loro primitivo anzichè il suono dell'U, prediligono quello dell'O, assai più aperto, maschio e sonoro; così il latino, e così pure l'italiano. La vocale U non si fe' strada, non si dilatò, che più tardi, e questa che gli antichi segnalavano alla poca loro simpatia col cucurrire del gallo, come l'i col tintinnire d'un uccellino, non solo giunse a sostituirsi in molte parole all'O, ma non contento ancora, dove non potè scavalcarlo, gli si attaccò ai panni, sto per dire da parassito, e fece il guasto che tutti sanuo, non risparmiando tampoco l'uomo, e il cuore (omo, core), e impinguando persino il verbo muovere. Nè il sottile e mingherliuo compagno se ne stette a bada, ma lavorando anch'esso del suo meglio, quasi fossero di balla, riuscì a ficcarsi per tutto, e a dare il la alla lingua (Manco male che la poesia, se non li mise alla porta, non fe' mai loro troppo buona cera); che abbiano voluto esercitar rappresaglie, vendicar il cucurrire e il tintinnire ?....... Sul serio, la lingua può aver guadagnato in elasticità, in pieghevolezza, che so io, ma se ciò non sia un po' a spese d'altre qualità più maschie e robuste, lascio ad altri il giudicare.

Per tornare alla vocale U, essa permutasi quindi assai facilmente con O, come groppo e gruppo, sovero e suvero, bove e bue, emolo, emulo, oliva, uliva, urina, orina, scodella, scudella; e noi inoltre, cuverta e coverta (o ch.), cucumer e cocomer, ec. Scambiasi pure con I, e con E (V. queste lettere); talvolta eziandio colla consonante sua affine (V. V).

V

Ama talora scambiarsi con U come Pavolo da Paulo, cavolo da caulis colis, onde noi per sinc. coi); vedova da

NUOVO DIZIONARIO

PIEMONTESE-ITALIANO

A, prima lettera dell' alfabeto. V. A NOZIONI PRELIMINARI. A, segnacaso o preposizione non si congiunge all'articolo innanzi a vocale, ma rimane disgiunto, come a j'uss agli usci; così nel feminile a la porta, a le porte; lo stesso dicasi degli altri due segnacasi dë, da, di, da: forma primitiva della lingua italiana, anzi poetica durante tutto il cinquecento. Premesso ai nomi, o verbi, in m. av. comprende si può dire tutti gli usi della lingua per indicare luogo, tempo, modo, fine, direzione, distanza, prossimità, ufficio, uso, disposizione, materia, forma, distribuzione, estimazione, paragone, peso,

A

misura, condizione, ec. come a Turin, a ca, a Porta Susa, a Torino, a casa, a Porta Susa (stare, andare); a mesdi, a tre ore, a giornà, a lune, a vita, a temp (temporaneamente), a mezzodì, a tre ore, a giornate, a lune, a vita, a tempo; e così, arrivare a tempo, a tempo e luogo; a poco a poco; a braccia aperte, portare a braccia, predicare a braccia, roba a bracciate, a manate, a brancate, a pugnate, a palate, a mucchi, a balle; a piè giunti, a man giunte, a man piene, a man salva, a mano, a dritta, a mancina; a voce, a bocca, a mente, a digiuno a buon fine, a buon conto, a posta,

NB. Come accennai nella prefazione, i nostri lessicografi hanno fin qui confuso l'a iniziale vera, coll'a ripieno, mettendo così in fascio le voci, come ambient, andè, angol, argent, arma e sim. con l'altre che radicalmente cominciano in im, in, ri, come amparè, andebità, arbate, arfè e sim. imparare, indebitato, ribattere, rifare, ecc. Per rimediare a sì grave sconcio, ho distinto queste da quelle staccandone l'a eufonica nel modo che si vedrà in seguito.

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