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Ma il dotto quanto giudizioso Gherardini caldeggiava non meno, e vivamente invocava dal patriotismo degli Italiani la sollecita compilazione dei rispettivi dizionarii vernacoli in correlazione coll'universalità della lingua (*).

Tale compilazione io l'aveva già ideata prima di saperla caldeggiata dal valente filologo, l'autorità del quale mi fu di stimolo a proseguire nell'intrapreso lavoro.

Ma il maggiore incoraggiamento a farlo di pubblica ragione mi venne dalla seguente lettera d'un nostro illustre concittadino, il i senatore conte Federico Sclopis, nell'occasione che io mandai innanzi col mezzo della stampa periodica un saggio di questo mio a dizionario già condotto a termine.

Chiarissimo signor Professore,

« Le sono veramente tenuto, sig. Pro«fessore, del cortese pensiero che la mosse « ad inviarmi la sua elaboratissima lettera « sull'italianità del dialetto piemontese. Que

(*) Questo principio nazionale della lingua comune è pure ammesso, anzi propugnato da P. Fanfani, Paulina, Novella, dal Franceschi, Dialoghi di lingua parlata.

X

« sto suo scritto acquista maggiore oppor<tunità in questi giorni in cui si pubblicò < la sentenza della Commissione istituita < per diffondere la cognizione e l'uso della « buona lingua e della retta pronunzia.

«Non so se tale sentenza si avrà per << inappellabile, ma so che vi ha gran bi« sogno di cercare di avere una lingua che << ci serva per le nostre relazioni ufficiali << e sociali.

« Lo studio dei dialetti è un valido mezzo << per compiere il disegno di una lingua « comune e generale. L'uso rettificato dalla << logica e dalla legge di precisione deb« b'essere la sorgente della lingua. In Italia « s'è andato dietro all'idea di una lingua « letteraria, e s'è raggiunto da un lato la << pedanteria, dall'altro la scorrezione. Fac«ciamo di ravvederci, ed ella, signor Pro«fessore, vi si adoperi continuando i suoi << nobili studi.

« Le rinnovo i miei ringraziamenti, e vi << aggiungo l'espressione della mia perfetta

« osservanza, ecc.

« Torino, li 22 marzo 1868 ».

Finora i dizionarii vernacoli, non meno delle altre province che di questa nostra, compilati, non v' ha dubbio, coll' intendimento di agevolare la conoscenza della lingua comune, van lodati più per il fine che per il mezzo.

Forse nel movente ci avrà avuto parte anche l'amor proprio locale: volere che il proprio dialetto, immediato rappresentante del paese che lo parla, avesse anch'esso il suo piccolo codice, come la lingua comune. E sta bene: tanto più che le province rappresentate dai varii dialetti, formavano un tempo quasi tutte altrettanti Stati.

Ma anche qui la strada da loro battuta non fu la migliore: vado più in là, e dirò cosa forse un po' dura; non fu la buona, nè dal lato letterario, nè dal politico o patriottico; perciocchè non pensando a ravvicinare possibilmente il linguaggio domestico al nazionale, a cercarne e mostrarne tutte le relazioni, tutto ciò che vi ha di comune, che è immenso, sia nelle voci, sia, e più ancora, molto più ancora, nei modi di dire, non badando punto a questo, paghi

di dare il corrispondente (che spesso corrisponde Dio sa come), nè si facilitava la conoscenza della lingua, nè si promoveva lo spirito nazionale; anzi in certo modo. cadevasi, senza volerlo, nel fallo medesimo che si rimproverava ai fiorentinisti a oltranza, innalzando una barriera fra i dialetti e la lingua, come quelli fra la lingua e i dialetti.

Insomma, i dizionarii vernacoli furono fin qui, se non abborracciati, certo compilati con poco criterio, per non dire empiricamente, e quindi di poco vantaggio, per non dire inciampo; non s'insegna una lingua a dovere, se questa non si possiede a fondo: ora partendosi dalla erronea opinione, fin qui prevalsa, che per parlare in buon italiano, bisogna scostarsi quanto più possibile dai dialetti, come si può egli saperlo a fondo? Se si sapesse a fondo, si saprebbero pure le relazioni strettissime che passano tra esso e i varii dialetti, e si farebbero conoscere; non facendosi conoscere, è segno che si ignorano; di li non si scappa. Non è già per nulla che quel valentuomo del Gherardini tanto vivamente

raccomanda una simile riforma. Ebbene questa riforma, per ciò che riguarda il nostro dialetto, se non altro io l'avrò tentata, avrò aperta la via a far altrettanto e meglio; e un tale esempio sarà partito ancora dal paese a cui mi glorio d'appartenere.

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