sotto il freddo cielo, sotto il gelato clima della Moscovia, come, ecc.; che se il monte Tabernicch o l'altro di Pietrapana vi fosse caduto sopra, non si sarebbe quel ghiaccio smos nè avrebbe scricchiolato neppure dall' orlo, ove suol essere più sottile, e prima si stacca. Non sarebbe pure (il lago) sgrossato dalle sponde, ne fatto suono cri cri (B.). Que les bords méme n'auraient pas craqué (Ls.). Tabernicch. Non è ben sicuro quale monte abbia voluto indicare: probabilmente la Frusta Gora, vicino a Tovarnico in Schiavonia, o il Javornick, cioè il monte degli Aceri, vicino ad Adelsberg, nella Carniola (Bl.). Pietrapana, 0 Pietra Apuana, monte in Garfagnana, sopra Lucca (F.). 32-39. Quando sogna, Di spigolur. Indica il principio della state. - Insin la dove appar vergogna, infino al volto, che è quella parte del corpo che dimostra la vergogna (B.). Agli occhi che Aristotile dice sede della vergogna. Petr.: Vergogna con man dagli occhi forba (T.). Altri: Insin dove si mostrano le parti pudende. Mettendo i denti, ecc., tremando a dente a dente, e percuotendo li denti l'uno con l'altro, come fa la cicogna quando percuote lo becco di sotto con quel di sopra (B.).— Da bocca il freddo... Tra lor ecc., tra quella gente il freddo fa fede di sè per la bocca, con lo sbattere de denti, e il cuor tristo, addolorato, fa fede di sè per gli occhi gonfi di pianto. 44-49. E quei piegaro i colli all' indietro, staccandosi l'uno dall' altro per poter guardare in su. Le labbra, gli orli delle palpebre; poichè nel gran freddo non avrebbero le lagrime avuto il tempo di scendere fino alla bocca. Altri legge: giù per le labbra, indicando la bocca (B. B.). E il gielo strinse, agghiacciò le lagrime tra essi occhi e li riserrò. Spranga, caso retto (T.). 52-56. Ed un altro dannato - Pur col viso in giue, continuando a tenere il capo basso. Ti specchi, rimiri. I ghiaccio rifletteva l'immagine come vetro (v. 24), onde il dannato vedeva anche col viso in giù. - Bisenzio, piccolo flume di Toscana, che passa vicino a Prato, e sbocca nell'Arno sotto Firenze, di contro alla Lastra (Bl.). Di lor fue, fu possessione d'Alberto degli Alberti loro padre e di loro. Questi due fratelli furono Napoleone et Alessandro de' conti E come a gracidar si sta la rana 31 34 37 Col muso fuor dell'acqua, quando sogna Diss'io, chi siete. E quei piegaro i colli, 40 43 49 Gli occhi lor, ch'eran pria pur dentro molli, 46 La valle, onde Bisenzio si dichina, 52 55 58 Potrai cercare, e non troverai ombra Se Tosco se', ben sa' omai chi fu. 64 Alberti (conti di Mangona). fitto et morto, et quasi tutta i quali furono di sì perverso sua gente, et che il re non animo, che per torre l'uno al- si trovava, e pertanto non fal'altro le fortezze, che avevano cessono ragione di lui... Si in val di Bisenzio, vennono a fece coronare.... Il re Artù tanta ira ed a tanta malvagità venne verso Cammellotto colla d'animo, che l'uno uccise l'al- sua forza: fu grande battaglia tro, 8 così insieme morirono fra loro: infine Mordaret si (A. F.). - D'un corpo usciro, scontrò col re Artù. Il re il nacquero d'una stessa madre. passò per lo petto d'una lancia In gelatina, nella ghiaccia dall' uno lato all' altro, et al infernale; scherzosamente. trarre della lancia, il sole pasCome li polli nella gelatina sò per la fedita, sì che ivi si (B.).- Non quelli, ecc. Il re Artù ruppe l'ombra del corpo di si mosse di Cammellotto per Mordaret. Mordaret ferì il re in andare assediare Lancillotto. sul capo d' una spada, et così Mordaret rimase vicario del re, uccise l'uno l'altro (A. F.). — ch'era nipote del re, figliuolo Non Focaccia. Affrettò la morte della sirocchia ch' era reina d'uno suo zio, ch'era gran ricco d'Orgama. Fece Mordaret con- uomo per godersi più presto traffare lettere e il suggello del il retaggio di lui (A. F.). Nelle re, et mostrò che messer Cal- Storie Pist.: Era.., de' Cancelvano scrivesse, da sua parte lieri della parte Bianca: ficome il re Artù era stato scon- gliuolo di M. Bertacca: prode E perchè non mi metti in più sermoni, Fatti per freddo: onde mi vien riprezzo, Non so: ma, passeggiando tra le teste, Che bestemmiava duramente ancora: Percotendo, rispose, altrui le gote, Si che, se fossi vivo, troppo fora? Vivo son io, e caro esser ti puote, 67 70 73 76 79 82 85 88 91 Fu mia risposta, se domandi fama, E dissi: E' converrà che tu ti nomi, 97 100 quello stettono ad assedio per ventotto di; alfine, per tradimento di Carlino, per moneta ch'elli n'ebbe, ebbono il castello. Essendo Carlino di fuori, feco a' suoi fedeli dare l'entrata del castello; onde molti vi furono morti et presi, pure dei migliori usciti di Firenze (A. F.). In cujus occupatione occisi sunt unus frater patris et consanguineus ejus (Benv.). 70-72. Cagnazzi, paonazzi o morelli II Blanc: cagneschi. Riprezzo, arricciamento di freddo a ricordarmene (B.) Guazzi, stagni. unus 73-78. E mentre che, ecc., entrando nella seconda sfera, detta Antenora, andavano verso il centro della terra, al quale tutti i gravi tendono per loro Rezzo, ombra natura. freddo (B.). Se voler fu di Dio (F.). Inf., xv, 46: Qual fortuna o destino (T.). 79-84. Mi peste, mi pesti, calpesti. Se tu non vieni, ecc., ad accrescermi il castigo che soffro pel tradimento che feci a Mont'Aperti, perchè mi molesti Quando i Sanesi et i Fiorentini Ghibellini, usciti di Firenze, uscirono di Siena contro all'oste de' Fiorentini, ch'era a Monte Aperti, più Ghibellini ch'erano nel campo de' Fiorentini et a cavallo et al piè, veggendo appressare le schiere de' nemici, come era ordinato il tradimento, si fuggirono dall'altra parte, et ciò furono di quelli della Pressa et degli Abati et più altri; et come la schiera de' Tedeschi percossono ruinosamente la schiera de' Fiorentini, ov'era la 'nsegna della cavalleria, la quale portava messer Jacopo de' Pazzi, uomo di gran valore, il traditore di messer Bocca degli Abati, ch'era in sua schiera et presso di lui, colla spada fedì messer Jacopo, et taglioli la mano colla quale tenea la 'nsegna del Comune di Firenze, onde i Fiorentini furono sconfitti (A. F.). V. Inf., x, 85-87. — Si ch'io esca, ecc., d'un dubbio che mi è venuto intorno la persona di costui, quando egli nominò Montaperti. Quan tunque, quanto. e gagliardo molto di sua per- come consorti, Camicione pensa sona. Non attendea ad altro di pigliarle per sè, morto mesche a uccisioni e ferite, (fug- ser Ubertino, così cavalcando giva al bisogno e scusavasi) gli corse addosso con un col che meglio era dire: Quinci tello, et diegli più colpi, et fifuggio il Focaccia, che: Quivi nalmente l'uccise (A. F.). fu morto il Focaccia. - Non Carlin che mi scagioni, con la questi che col capo mi sta di- grandezza del suo peccato amnanzi e m'impedisce di vedere morzerà il mio (0.). Mi scolpi. più oltre. Sassol Mascheroni. Ezechiello, xvi, 51. Nel 1302, Essendo tutore d'un suo nipote, essendo l'oste del Comune di per rimanere erede l'uccise (0.). Firenze intorno a Pistoia, si Ben sa' omaichi fu. Il Giul. rubellò a' Fiorentini il castello legge: Ben dei saper chi fu. di Piano di Trevigne in Val V. sotto, xxxIII, 136. d'Arno, per Carlino de' Pazzi 67-69. Non mi metti in più di Val d'Arno, et in quello, col Sermoni, non mi faccia altre detto Carlino, de' migliori uodomande. - Il Camicion de' mini (nuovi. G. Vill., VIII, 53) Pazzi. Alberto Camicione. Fu di Firenze usciti, Ghibellini et 97-102. Per la cuticagna, pei de' Pazzi di Valdarno; et an- Bianchi, grandi e popolani si capelli della cuticagna, ch'è dando un di a diletto mes- rinchiusono e faceono grande la parte concava e deretana del ser Ubertino de' Pazzi, suo guerra et danno nel Val d'Arno capo. V. v. 37. Perchè tu mi cugino, et egli, perocchè ave- disopra. I Fiorentini n'ando- dischiomi. Per dischiomarmi, vono certe fortezze comuni rono al detto castello, 90-96. Si che se fossi vivo troppo fora, sarebbe troppo sarebbe la percossa stata troppo forte. Tra l'altre note del mio canto (T.). Del contrario, di non esser nominato. - Lagna, noia cagion di lamento. et a o strapparmi i capelli che tu Quel da Duera. G. Vill. vii, 4: I Franceschi (di Guido di Carlo Monforte, capitano di d'Angiò) passarono senza contasto di battaglia e arrivarono a Parma. Bene si disse che uno messer Buoso della casa di que'da Duera di Chermona, per danari ch'ebbe da' Franceschi, mise consiglio per modo che l'oste di Manfredi non fosse al contasto al passo, com'erano ordinati. Onde poi 103 Io aveva già i capelli in mano avvolti, 109 115 Va, via, rispose, e ciò che tu vuoi conta 112 Tu hai da lato quel di Beccheria, Ch'io vidi duo ghiacciati in una buca Così il sovran li denti all'altro pose, Le tempie a Menalippo per disdegno, 118 12) 124 127 130 133 convegno, 136 il popolo di Chermona a furore distrussono il legnaggio di quegli da Duera. - Stanno freschi, in ghiaccio. - Quel di Beccheria. Tesauro di Beccheria. Negli anni di Cristo 1258, del mese di settembre, il popolo di Firenze fece pigliare l'abate di Valombrosa, il quale era gentile uomo de' signori di Beccheria di Pavia (legato di Alessandro IV), essendogli apposto che a petizione de' Ghibellini usciti di Firenze, trattava tradimento; et quello per martorio gli feciono confessare, et sceleratamente in sulla piazza di Sant'Apollinare gli feciono, a grido di popolo, tagliare la testa, non guardando a suo ordine sacro; per la qual cosa il Comune di Firenze et i Fiorentini dal Papa furono scomunicati, et dal Comune di Pavia e da quelli di Beccheria, suoi consorti, i Fiorentini che passavano per Lombardia riceve- giti in quella citta, che gli Essi dunque son confinanti, vono molto danno (A. F.). — avevan rubato due porci. I in loro si toccano le due classi Gorgiera, fig.: gola. - Gianni Lambertazzi, sorpresi, in gran (B. B.). - Cappello, coverchio del Soldanier. G. Vill., v11, 14: parte scapolarono nudi. N'andò Si manduca, è divorato. I grandi (Ghibellini) ordina- famoso. D'un uomo di mal Il sovran, colui che stava di rono di mettere la terra a aspetto si dicea in Romagna: sopra. Tideo, figliuolo romore e disfare l'oficio dei Questi pare colui che tradi neo, re di Calidonia, e Menatrentasei (ordinato dai due frati Faenza, > Fu fatto cavaliere lippo, tebano, combatterono Godenti). Ogni uomo fu all'ar- dai Bolognesi, ai quali apri presso Tebe, e si ferirono a me... e messer Gianni de' Sol- Faenza di notte tempo. Peri morte. Tideo, sopravvivendo al danieri si fece capo del popolo nella strage che i Forlivesi nemico, si fe' recare la testa di per montare in istato, non fecero de' Francesi. lui, e per rabbia la si rose (B. guardando al fine che dovea 125-139. Ch'io vidi, quando B.). Per tal convegno, con riuscire a sconcio di parte io vidi. In una buca, in uno tal patto. -Ti piangi, ti duoli. Ghibellina e suo dammaggio. foro di ghiaccia (B.). La buca - Piu la, più presso al centro. in che stanno questi due spiriti -Ganellone, Gano, V. Inf. XXXI, è la cavità circolare dello spar15-17. Tribaldello o Tebal- timento che divide l'Antenora, dello de' Zambrani, secondo ove siam tuttora, dalla ToloBenv., nobile, ma spurio, tradì mea, che inmediatamente seFaenza per vendicarsi de' Lam- gue, poichè l'uno d'essi tradì bertazzi, esuli bolognesi, rifug- la patria, l'altro l'amicizia. 139 d'E La sua pecca, il peccato commesso contro di te. Io te ne cangi, te ne renda il cambio, col pubblicare le tue ragioni e i torti di lui. -Se quella, ecc., se la mia lingua non ammutolisce per morte. Il conte Ugolino narra come i Pisani, rinchiusolo con due figli e due nipoti nella torre der Gualandi, lo facessero, insieme co' suoi, morire di fame. Passando dall' Antenora alla Tolomea, il Poeta trova frate Alberigo de' Manfredi, dal quale sente come l'anima dei traditori, appena fatto il tradimento, cada in Inferno, è come un diavolo ne regga il corpo fino che sia scorso il tempo prescritto al viver loro nel mondo. La bocca sollevò dal fiero pasto Quel peccator, forbendola a' capelli Che frutti infamia al traditor ch'io rodo, E poscia morto, dir non è mestieri. La qual per me ha il titol della fame, 4 7 10 13 16 19 22 gettarne le chiavi in Arno, perchè si morissero, come infatti morirono, di fame (B. B.). 11 Tronci, negli Annali Pisani, all'anno 1284, narra come alla battaglia della Meloria, Ugolino, quando era maggiore il pericolo dei Pisani e il bisogno d'aiuto, fuggì con tre galee, scorando i soldati ed agevolando ai Genovesi la piena vittoria. Anche guastava le pratiche di pace, perchè non tornassero quei cittadini di conto ch' egli aveva aiutato a far cadere in mano ai nemici. Invece s'aggraduiva i Fiorentini, e a quelli di maggiore autorità mandava fiaschi pieni di fiorini d'oro invece di greco, e quel che più rileva. dava pegni di fede guelfa. Così fu quasi signore di Pisa, finchè gli venne la mala meccianza predettagli da Marco Lombardo. V. G. Vill., VII, 121 e 128. Tal vicino, sì molesto vicino i, gli - tal, avv. a questo modo (Fanf.). - Perch' io li fo questo (B.). V. Inf., xxx11, 125. Ma' pensieri, perfidi, consigli. Fidandomi di lui, come Astiage d'Arpago, non E in che conviene ancor ch'altri si chiuda, pensando all'offesa fattagli. V M'avea mostrato per lo suo forame 25 Più lune già, quand'i' feci il mal sonno, Che del futuro mi squarciò il velame. 2-12. Forbendola, nettandola. l'arcivescovo Ruggieri degli - Del capo, V. xxx11, 126 e segg. Ubaldini, cacciò di Pisa Nino Gia pur pensando, al solo de'Visconti, giudice di Gallura, pensarvi. - Den, denno, debbo- nato d' una sua figlia che se no. Parlare e lagrimar, ecc. n'era fatto signore, occupando Inf., v. 126; Farò come colui il luogo di lui. Ma poi l'arciche piange e dice. Il dottissimo vescovo, o per invidia, o per prof. S. Grosso allega qui il odio di parte, o per vendicare v. 21 del Prometeo d' Eschilo, un suo nipote, uccisogli da che suona: Non vedrai voce nè Ugolino, alzata la croce, con forma d'uomo, vi ha zeugma l'aiuto de' Gualandi, de' Simentale, o, se si vuole, sillessi: riscontra col veder parlare e lagrimar, ecc. Bocc., Lab. 7: Cominciai non a lagrimar solamente, ma a piangere. Quand' io t' odo. Accenna alle parole dettegli (xxx11, 133 e segg.), che al modo ed alla pronunzia il manifestavano fiorentino, V. Inf., x, 25. smondi, e de' Lanfranchi, nobili famiglie pisane, a furore di popolo, avendo dato a credere che per denaro quegli avesse renduto a' Fiorentini e a' Lucchesi alcune castella, assali le case del conte, e lo fece prigioniero con due figli, Gaddo ed Uguccione, e due nipoti Ugolino, detto il Brigata, ed 13-18. Conte Ugolino. Ugoli- Anselmuccio. Dipoi lo fece, inno della Gherardesca, conte sieme co' suoi, rinchiudere nel di Donoratico, nobile pisano, di la torre dei Gualandi, alle parte guelfa, di concordia con sette vie, e dopo sette mesi sopra al v. 13. Dir non è mestieri, come notissimo. 19-24. Quel che non puoi aver inteso, come avvenuto nel segreto della mia carcere. Breve pertugio, piccola finestra muda, quel chiuso ove tengonsi gli uccelli a mudare, a mutar le penne (l'innamoramento ed il canto L.). Secondo il Buti vi si tenevano a mudare le aquile del Comune, -Questa torre che fu già de' Gualandi, alle sette vie, poi degli Anziani, da ultimo de' cavalieri dell' Ordine di S. Stefano, era nel palazzo che adesso appartiene ai Finocchietti, e precisamente a man dritta di chi passa sotto la volta per andare dalla piazza de' Cavalieri all' Arcivescovado. cronaca pisana vuole che la porta fosse stata murata (Ferrazzi, 1v.400).- Conviene ancor ch'altri si chiuda, per gli alterni trionfi e le furiose vendette delle parti civili. Una 25-27. Forame, pertugio. Più lune già. La luna s'era rinnovata piu volte. Eran trascorsi parecchi mesi: dall' agosto 1287 al marzo 1288, secondo G. Villani. Altri: più lume. Che del futuro, ecc.. che mi svelò l'avvenire. meliche 28-37. Questi, l'arcivescovo - Cacciando, ecc., in atto di cacciare al monte San Giuliano, posto tra Pisa e Lucca; onde vieta che le due città si possano vedere. Con cagne magre. Queste sono lo popolo minuto, che comunemente è magro e povero. - Magre, fastudiose, sollicite, desiderose (B.).. -conte, ammaestrate. S' avea messi dinanzi dalla fronte, spingendoli primi alla caccia, i Gualandi, i Sismondi e i Lanfranchi. Lo padre e i figli, il lupo e i lupicini. - Scane, zanne. Innanzi la dimane, innanzi che fosse chiara mattina (B.). ora dei sogni veraci. Int., xxvi, 7. 41-53. Che'l mio cor. Altri: Ch' al mio cor. S' appressava. Altri: trapassava. Cioè della terza (B.). : Ed io, ed ecco ch'io. Chiavar, inchiodare. Altri chiovar. - Elessono per loro capitano di guerra il conte Guido di Montefeltro, dandoli grande giurisdizione e signoriz. E giunto il detto conte del mese di marzo, feciono chiavare la porta della torre e le chiavi gittare in Arno, e vietare a' pregioni ogni vivunda. Domandando con grida il conte Ugolino penitenzia, non gli concedettono frate o prete che 'l confessasse. G. Vill.,vii, 128.- Guardi sì, sì fiso. 57 66. Per quattro visi il mio aspetto stesso, e per la somiglianza di famiglia e per esser tutti del pari pallidi, macilenti e spauriti (F.). Fessi, facessi. Manicar, mangiare. Lerorsi, si alzarono. - Quetani, mi quietai. 67-71. Al quarto di venuti, dal di che fu chiavato l'uscio. Mi si gittò, ecc., venendo meno per la fame. - Dicendo, ecc. Odi parole accoratorie che l'autore finge! (B.). Quivi mori, e nel luogo ove cadde, morì. Come tu mi vedi, come tu vedi me (B.). Li tre, gli altri tre. 1 73-75. Già cieco, ecc. Pel digiuno mancategli le forze e anche il vedere, si diede a cercare tastando con le mani in Pianger senti' fra 'l sonno i miei figliuoli, Ch'eran con meco, e dimandar del pane. Ben se' crudel, se tu già non ti duoli, 40 Pensando ciò che'l mio cuor s'annunziava: E se non piangi, di che pianger suoli? Già eran desti, e l'ora s'appressava Che il cibo ne soleva esser addotto, E per suo sogno ciascun dubitava: Ed io sentii chiavar l'uscio di sotto All'orribile torre: ond'io guardai Nel viso a' miei figliuoi senza far motto. I' non piangeva, si dentro impietrai: Piangevan elli; ed Anselmuccio mio Disse: Tu guardi sì, padre: che hai? Però non lagrimai, nè rispos'io Tutto quel giorno, nè la notte appresso, Infin che l'altro sol nel mondo uscio. Come un poco di raggio si fu messo Nel doloroso carcere, ed io scorsi 43 46 49 52 E quei, pensando ch'io il fessi per voglia Di manicar, di subito levorsi, 55 58 64 E disser: Padre, assai ci fia men doglia, 61 Quivi morì: e come tú mi vedi, Vid'io cascar li tre ad uno ad uno 67 70 73 Tra il quinto di e il sesto: ond'io mi diedi, Già cieco a brancolar sovra ciascuno, E tre di li chiamai poi che fur morti: Poscia, più che il dolor, potè il digiuno. torno per conoscere s'eran bus sine nutrimento cibali conservare il grano! - Poscia, vivi, o per modo d' uom vicino (Benv.). Nel luogo ove fu a morire (T.). A brancolar raso il palazzo di Ugolino (paridest, ad palpandum (Benv.). rocchia di S. Sepolcro Lun--E tre di li chiamai. Altri: g'Arno), i Cavalieri di S. Stedue di. - Et sic videtur co- fano, padroni del suolo, fecero mes Ugolinus vixisse octo die volgendo gli anni, fosse da più che il dolor, ecc., lo digiuno potè più che il dolore, e ni la mia vita, che non l'avea potuta finire il dolore (B.). Più che la forza del dolore a tenermi vivo, valse la forza |