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narchia, 11, § 3). Bruto, che liberò Roma dai tiranni, con Lucrezia, Giulia, figlia di Cesare. Marzia, sposa a Catone, e Cornelia (madre del Gracchi), nelle quali quattro donne io veggo figurate le virtù che resere grande il popolo romano. Separato da loro vedono il Saladino, ammirato per le sue alte qualità, e principalmente pel suo animo generoso verso i cristiani di Gerusalemme dopo la battaglia di Tiberiade. Dipoi D. vede i filosofanti, schierati intorno ad Aristotele, che per lui è il dottore irrefragabile ed inattaccabile in tutte le quistioni che alla teologia non si riferiscono. (Conv., iv, 6). Rispetto all'ordinanza de' savi o de' contemplativi, ne giova un passo del Convito, 11, 11), dove si legge: le scienzie nelle quali più fer< ventemente la filosofia ter<mina la sua vista, sono chia<mate per lo suo nome, sic<come la scienzia naturale, la <morale e la metafisica, la <quale perchè più necessaria<mente in quella termina lo

suo viso, e con più fervore <prima Filosofia è chiamata. > Di qua due serie decrescenti di filosofi. Nell' anteriore stanno i filosofi morali ed i naturalisti che scrutano la morale ed il mondo nel generale e nel complesso, nelle sue leggi e ne' principj. Quindi siedono innanzi tutti presso Aristotele i moralisti Socrate e Platone, poi i naturalisti, Democrito, Anassagora, il fondatore del Deismo, il discepol suo Diogene di Apollonia (altri intende il Cinico), Talete, Empedocle, Zenone eleatico e Dioscoride, tutti filosofi appunto, i quali diedero una metafisica del mondo, investigandone l'origine e l'attinenza ch'esso ha con Dio. Nell'altra schiera sono i filosofi, i quali più particolarmente si addentrano nella morale e nello studio della Natura. E qui di bel nuovo vengono primi i moralisti, Orfeo, Lino, Cicerone e Seneca; e seguono i naturalisti che attesero a scienze speciali, siccome il matematico Euclide, l'astronomo Tolomeo, ed i quattro medici Ippocrate, Galeno, Avicenna e Averroè. L'estremo adunque della prima schiera, il botanico e medico Dioscoride, accostasi agli ultimi della seconda ai quattro medici; talchè le due schiere annodansi insieme, e compongono così un

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cerchio, l'anima e il principio c. 9), ma e di molte altre cose del quale è Aristotele. unente (piante, metalli, terre, ecc.) in se tutte le diverse discipline buone per medicamenti (G.). qui rappreseutate, come Virgilio la tendenza de' poeti che vanno con lui. >

123. Grifagni, rapaci (T.). Dal tedesco: greifen, ghermire, afferrare.

127-129. Tarquino, Tarquinio. Solo, senza nè predecessori, nè successori che li somigliassero (Foscolo). In parte, in disparte. - Sala dino, sultano d' Egitto e di Siria, nato nel 1137, morto nel 1193.

136. Che il mondo a caso pone, che pone il mondo essere stato fatto a caso pel cieco concorso degli atomi.

139-140. Il buono accoglitor del quale, valente a conoscere e radunare in ordine di dottrina non pure le qualità o virtù dell' erbe (Conv.. t. iv,

143. Avicenna. In arabo Ibn Sina, filosofo arabo d' Ispahan, autore d'un commento sopra Aristotele, nato nel 980, morto nel 1037.

144. Averrois o Averroe, in arabo Ibn Roschd, filosofo arabo di Cordova, n. nel primo quarto del secolo XII, m. in Marocco nel 1198, comentatore di Aristotele. - Feo, fe'.

145-147. Ritrar, riferire. Al fatto il dir vien meno. Maintes fois le dire reste en arrière des choses (Ls.).

148. Sesta compagnia di sei. Arrighetto: Settima сотраgnia, compagnia di sette. In due si scema, di due.

150-151. Trema di sospiri e poi di turbine (T.). Non è che luca, non è cosa che dia lume, astro, nè altro (T.)

Sull'ingresso del secondo cerchio, ove son discesi i Poeti, sta Minos, che giudica le anime. e assegna loro la pena. Sul ripiano d'esso cerchio vedono i lussuriosi che sono continuamente rapiti in giro e tormentati da un orribile turbine. Qui Dante trova Francesca da Rimini, che gli narra la storia del suo amore infelice.

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7-12 Mal nata, sciaurata cui meglio sarebbe stato il non nascere. Tutta, pienamente, non lasciando alcuna colpa. (Buti). Conoscitor, ecc., è proprio voce tutta del foro, che vien dal latino cognoscere, in senso di far il processo (Ces.). -Peccata, peccati. E da essa, si conviene all' anima confessata (Buti). - Cignesi. 11 BI. non sapendosi acquetare all'idea che la coda fosse si mostruosamente lunga da poter avvolgersela intorno sino a nove volte, chè tanti sono i cerchi dell'Inferno, spiega: Il demonio cinge tante volte intorno a sè a colpi semplici e ripetuti la coda (ch'è di giusta lunghezza), quanti sono i cerchj ch' e' vuole indicare. Come il leone quando levasi in ira, si sferza i fianchi colla coda, così questo dimonio, il cui bestiale furore è sì ben descritto, Inf., xxvi, 124 e segg. Quantunque, quanti gradi appella i cerchj infernali, perocchè sono appunto come i gradi di

Non t'inganni l'ampiezza dell' entrare!
E il Duca mio a lui: Perchè pur gride?

Non impedir lo suo fatale andare:
Vuolsi così colà dove si puote

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(L.).

Ciò che si vuole, e più non dimandare.

Ora incomincian le dolenti note

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A farmisi sentire: or son venuto
Là dove molto pianto mi percote.

Io venni in loco d'ogni luce muto,

Che mugghia, come fa mar per tempesta,
Se da contrari venti è combattuto.
La bufera infernal, che mai non resta,
Mena gli spirti con la sua rapina,
Voltando e percotendo li molesta.

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1-3. Primaio, primo. Cin- de' Cretensi, uomo di severa ghia, cinge, enserre moins d'es- giustizia, il quale finsero i poeti pace (Ls.). E tanto più do- che fosse giudice all' Inferno tor, e contiene tanto più dolore con Eaco e Radamanto (Volpi), che pugne a guaio, che punge Dante ne fa un demonio, in cui e tormenta quelli spiriti fino a raccoglie le due pitture virgifarli trar guai, e non soli so- gliane di Minosse e Radamanto spiri come nel Limbo. Guaio è (T.). Orribilmente, in atto propriamente la voce lamente- orribile ringhia, digrigna i vole che manda fuori il cane denti, freme d'ira. Nell' enpercosso, e allora si dice il cane trata, nell' entrare di ciaguaire (V.). -Discendendo si scun'anima, o meglio sull'inscema il sito del luogo e cresce gresso d'esso cerchio (F.). la pena (0.). Manda, manda il dannato tanti 4-6. Minos, figliuolo di Giove cerchj giù quante volte rivolge e d'Europa, re 0 legislatore intorno a se la coda.

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anfiteatro

13-15. Molte, anime. A vicenda, l'una dopo l'altra.

Dicono i peccati, e odono la

sentenza. - Volte. Una forza superna, quella che detta a Miaosse il giudizio, lo eseguisce, spingendo giù l'anima per l'appunto nel luogo assegnato. Inf., XIII, e Purg., XXV, in questo senso: cade (T).

16-19. Ospizio, hospitium, le dolenti case. -Lasciando, ecc.. suspendant l'exercice de sa haute fonction (Ls.). Di cui, di chi fide, fidi. 20-24. Ampiezza, En., vi: Patet atri janua Ditis, Sed...

Fatale, voluto dal fato di Dio. - Vuolsi così, ecc. Le stessissime parole dette da Virgilio a Caronte (111, 95-96) (L.).

25-28. Le dolenti note, le voci di lamento. Mi percuote, l'orecchio e l'animo (T.).— Muto, privo.

31-32 Bufera, è un vento impetuoso, forte, il quale percuote e rompe abbatte ciò che dinanzi gli si para (B.).

Mai non resta, non cessa mai. Vedi al verso 96. Mena, trae seco. Rapina, rapinoso movimento (B.). Dante, Conv

La rapina del primo mobile. Quando giungon davanti alla ruina,

Emporte les esprits dans sa course rapide (Ls.).

34. Davanti alla ruina. Il Tommasèo e Filalete intendono per ruina il lembo interiore di questo cerchio, cioè quello che riesce a cerchj più bassi, e spiegano le ombre gittate qua e là dal vento, appressandosi a quest'orlo, temevano di essere precipitate all' ingiù. Ma D. pose per legge fondamentale dell'Inferno, che nè demonj, nè dannati possano mai abbandonare il cerchio loro assegnato, e che anzi le ombre dovevano man mano essere fatte certe di questa legge per propria esperienza, e non potevano quindi temere del contrario... Il Vellutello pensò che i lamenti e le strida incominciano al punto che le anime mandate da Minosse toccano l'orlo del cerchio, e sono turbinate dalla bufera, e della stessa sentenza sono lo Scolari e lo Zani de' Ferranti. Una sola obiezione potrebbesi fare, che a questo modo le parole di D. varrebbero solo per l'anime giunte di fresco, mentre è manifesto che nel poema non solo a queste riguarda, ma più a quelle altresi che sono là da gran tempo. Perciò noi crederemmo col Magalotti, che, come per gli altri cerchj, così per questo, uno solo sia il luogo accessibile, е che questo formi l'ingresso. E proprio là nasce la bufera, là la bufera coglie

le anime, tanto le nuovamente arrivate quanto le altre del cerchio, quando cioè, come è d'uopo figurarci, menate dal vento ci capitano. Il Magalotti assai bellamente le paragona ad un oggetto qual sia, che, galleggiando su larga fiumana, come arriva allo sbocco d'infuriato torrente, è rapinato e buttato qua e là (Bl.).

37-42. Intesi, o udì da Virgilio, o intese da per sè, argomentandolo dalla natura della pena. Talento, appetito sensuale. Stornei, plurale di Stornello. Ali. Caso retto. Nel freddo tempo, nel verno (T.), Bocc., Tes., iv, 64: Nel tempo caldo - A schiera larga e piena, à bandes épaisses et larges (Ls.). Fiato, vento -mali, malvagi. Dopo mali il Witte col Torelli pone punto fermo.

46-47. Lor lai, lor versi, ed è questo vocabolo preso per parlar francesco, nel quale si chiamano lai certi versi in forma di lamentazione nel lor volgare composti (B.). Purg., IX, 13-14: I tristi lai della rondinella, Lunga riga, percioc

Quivi le strida, il compianto e il lamento
Bestemmian quivi la virtù divina.

Intesi, che a così fatto tormento
Eran dannati i peccator carnali,
Che la ragion sommettono al talento.
E come gli stornei ne portan l'ali,

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Nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
Così quel fiato gli spiriti mali
Di qua, di là, di giù, di su gli mena:
Nulla speranza gli conforta mai,
Non che di posa, ma di minor pena.
E come i gru van cantando lor lai,
Facendo in aer di sè lunga riga;
Così vid'io venir, traendo guai,
Ombre portate dalla detta briga:
Perh'io dissi: Maestro, chi son quelle
Genti, che l'aer nero si gastiga?

La prima di color, di cui cui novelle
Tu vuoi saper, mi disse quegli allotta,
Fu imperatrice di molte favelle.

A vizio di lussuria fu si rotta,
Che libito fe' licito in sua legge,
Per torre il biasmo, in che era condotta.
Ell'è Semiramis, di cui si legge

Che succedette a Nino, e fu sua sposa:
Tenne la terra, che il Soldan corregge.
L'altra è colei, che s'ancise amorosa,
E ruppe fede al cener di Sicheo;
Poi è Cleopatras lussuriosa.
Elena vidi, per cui tanto reo

Tempo si volse, e vidi il grande Achille,
Che con amore al fine combatteo.

chè stendono il collo, il quale essi hanno lungo, innanzi, e le gambe, le quali similmente hanno lunghe (B.). Se formant dans l'air en une longue ligne (Ls.). V. Lor. de'Med. Ambra, 264.

49-57. Briga, tempesta. Allotta, allora. Favelle, nazioni. Si rotta, abbandonata ed ardente in lussuria. Libito, il beneplacito (B.). -Fe', disse lecito (licito) quel che piace. -Per torre il biasmo, per levar via l'infamia in che era condotta per l'opre sue disoneste. Lactantii Epit., c. Ix: Venus deorum et hominum libidinibus exposita cum regnaret in Cypro, artem meretriciam reperit, ac mulieribus imperavit, ut quæstum facerent ne sola esset infamis,

58-60. Succedette, altri sugger dette. Si le stampe sì i mss. del poema leggono con rarissime varietà succedette, e ciò conviene a capello colla

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storica tradizione di Semiramide, che era stata consorte a Nino, e, morto costui, aveva usurpato l'impero del figlio Ninià. Ma nè storia nè leggende accennano punto che la fosse stata sposa del figlio Nino (ilale veramente chiamavasi Ninia); anzi la tradizione suona ch' ella volesse usare con lui, e ch' egli perciò l' uccise (B). Tenne, regnò dove in Babilonia. - Corregge, regge.

61-63. Colei, Didone - che s'ancise amorosa, che, abbandonata da Enea, s'uccise per disperazione d'amore, e ruppe fede, non si tenne casta, come avea promesso, al cener di Sicheo, stato suo marito (Buti).

Cleopatras, regina d'Egitto, che dapprima si diede a Giulio Cesare e poi ad Antonio.

64-66. Elena, uccisa da una donna greca per vendetta del marito, uccisole sotto Troia. Tutti i qui nominati da Dante morirono di mala morte (T.)

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Parlerei a que' duo, che insieme vanno.
E paion si al vento esser leggieri.
Ed egli a me: Vedrai, quando saranno
Più presso a noi; e tu allor li prega
Per quell'amor che i mena; e quei verranno.

Si tosto come il vento a noi li piega,
Mossi la voce: O anime affannate,
Venite a noi parlar, s'altri nol niega.
Quali colombe dal disio chiamate,

Con l'ali aperte e ferme, al dolce nido
Volan per l'aer dal voler portate:
Cotali uscir della schiera ov'è Dido,

A noi venendo per l'aer maligno,
Si forte fu l'affettuoso grido.

Che visitando vai per l'aer perso

O animal grazioso e benigno,

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Noi che tignemmo il mondo di sanguigno:

Se fosse amico il Re dell'universo,
Noi pregheremmo lui per la tua pace:
Poichè hai pietà del nostro mal perverso.
Di quel che udire e che parlar ti piace
Noi udiremo e parleremo a vui,
Mentrechè il vento, come fa, si tace.

Siede la terra, dove nata fui,

Sulla marina dove il Po discende
Per aver pace co' seguaci sui.

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Amor, che al cor gentil ratto s'apprende, 100
Prese costui della bella persona

Che mi fu tolta, e il modo ancor m'offende.

- Vidi. Vedi legge B. B. Reo, di guerra (Ť.). — Achille Egli invitto nell'armi, d'amore di Polissena fu vinto, e nello sposarla morto (En., vi) (T.). Lattanzio di Giove che s'astenne da Teti: Pugnavit ergo cum amore, ne quis se major nasceretur. Combatteo, combattė.

Il tragico fatto segui nel 1284 o 1285, non in Rimini, ma a Pesaro (F.). Al vento, con

Ve

minor fatica volanti (B.).
78-81. Che i, che li.
nite a noi parlar, a parlare
con noi s'altri, modo antico
per indicare forza superiore
indeterminata. Inf., xxvi, 141:
Com'altrui piacque (T.). Dio.In
Inferno si evita al possibile di
mentovare il nome di Dio (Fil).

82-84. Con l'ali, ecc. Intendi: volan per l'aere con l'ali aperte e ferme, cioè dirette al dolce nido; o volano al dolce nido con l'ali aperte e ferme descrivendo in tal guisa il volo delle colombe, quando con l'ali tese volano velocissimamente, senza punto dibatterle; in che si raffigura un certo non so che più di voglia e di desiderio di giungere (M.).

84-87. Ov'è Dido. E' pare che Dante distingua pur qui, come nel cerchio antecedente, le anime nobili vinte dalla passione, ma non corrotte del tutto, da quelle che peccarono per brutale sensualità. Di Francesca, della cui sorte è profondamente commosso, stretto com'era per amicizia alla famiglia di lei, nota questa particolarità ch'ella era uscita della schiera ove trovavasi Didone, e quindi da compagnia ben diversa da quella ove sono Semiramide e Cleopatra... Di siffatte distinzioni non si trovano nel resto del poema, che al canto xv in fine, ove le onibre sono divise in diverse schiere secondo il grado e la condizione che teneano nel mondo (B.). Si forte, si possente, sì efficace.

88-90. Animal, D., 1. E.: Sensibilis anima et corpus, est animal. Grazioso, cortese. D. nel

gliuolo di messer Malatesta da Perso, oscuro. Rimino. Questa era bellissima Conv., iv, 20: Perso è un colore del corpo; il marito era soz- misto di purpureo e di nero, zissimo, et era sciancato, e ma vince il nero e da lui si dequesto Lanciotto avea un suo nomina. Sanguigno qui è fratello che aveva nome Paolo, sost. come rosso: E tinto in rosch'era bellissimo giovane; onde so il mar di Salamina (Ces.). s'innamorarono insieme. Stan- 91-92. Fosse, a noi. — Pace, do un dì soli in una camera salute spirituale. sicuramente come cognati, e 95-96. Vui, voi. - Si tace. 67-69. Paris. Il cavaliere del leggendo come Lancellotto si Non contraddice qui al detto medio evo, amante di Vienna innamorò della reina Ginevra, di sopra: che mai non resta: (T.). Paride (Bl.). - Tristano, e come per mezzo di messer perciocchè presuppone che in Amante d' Isotta, trafitto dal Galeotto si congiunsono in- suo favore si conceda una brere Marco, marito di lei, con sieme, Paolo acceso d'amore ve tregua alle anime alle quali dardo avvelenato, ed ella mori baciò Francesca, e trascorsero parla, durando tuttavia eterna con lui (T.). - Dipartille, Petr.: a peccato, e dopo quello venne la legge che quivi regna (Bl.). Ch'anzi tempo ha di vita Amor tanto palese il loro amore e 97-102. Siede la terra. Dice divisi. usanza, che venne alli orecchi che la terra ove ella nacque, 74-75. Que duo, Paolo e Fran- di Lanciotto; onde appostatili cioè Ravenna, siede sul mare, cesca che fu figliuola di mes- e trovatili un dì insieme, con- perocchè dal mare solamente ser Guido di Polenta da Ra- fisse l' uno insieme con l'altro tre miglia discosta; anzi un venna, signor di Ravenna, e con uno stocco, sì che amen- tempo v'era del tutto vicina fu maritata a Lanciotto, fi- due irsieme morirono (Buti). (V.) - Nata fui, nacqui, modo

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latino. - Dove il Po discende, in vicinanza, a circa una diecina di miglia dove si scarica il Po. Per aver pace co' soguaci sui, per riposare le aoque sue e de' suoi influenti. Šui, suoi. Amor, eco. V. N Amore essenza del cuor gentile. - Prese, invaghi. - Costui, Paolo. E il modo ancor m' offende, il modo onde fai uccisa ancora mi crucia per la macchia che impresse al mio nome; o, secondo il Foscolo, allude all' inganno d'aver fatto credere a Francesca, come vuole il Boccaccio, che Paolo, andato a Ravenna a sposarla con procura del fratello, dovesse essere il suo marito.

Mi martira il modo della mia morte, perchè mi colse nel peccato, e non mi lasciò tempo a pentirmi Bl. Altri: il mondo, la nominanza e faina (Lanèo). Il Barlow sostiene che Francesca non fosse rea che d'innocente е mal guardata simpatia verso Paolo e dolevasi che il mondo perfidiasse a calunniarla.

-

103-105. Amor, ecc. Amore che non consente che chi è amato non riami. Mi prese. ecc., m'invaghi si forte della costui bellezza. Bocc.: Piùs del piacer di lui s'accese. - Non m'abbandona. Intendi: amore (B.B.). Ad una morte, perocchè ambedue a una otta li uccise (Chiose). Caina, luogo nell'Inferno assegnato ai traditori ed uccisori de' propri consanguinei, detto così da Caino, uccisore del fratello Abele. Chi vita ci spense, altri: Chi in vita ci spense. -- Da lor, perchè parlava Francesca in nome anco del cognato. - Porte, dette. Offense, offese di doppio dolore.

114. Al doloroso passo, alla morte e dannazione.

119-120. A che, a qual indizio e come, per qual modo?

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Dubbiosi, per non essersi ancora l'un l'altro discoperti.

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Amor, che a nullo amato amar perdona, 103
Mi prese del costui piacer si forte
Che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi vita ci spense.
Queste parole da lor ci fur porte.
Da che io intesi quelle anime offense,
Chinai viso, e tanto il tenni basso,
Finchè il Poeta mi disse: Che pense?
Quando risposi, cominciai: Q lasso,

Quanti dolci pensier, quanto disio
Menò costoro al doloroso passo!
Poi mi rivolsi a loro e parla' io,

E cominciai: Francesca, i tuoi martiri
A lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi: al tempo de' dolci sospiri,
A che e come concedette amore,
Che conosceste i dubbiosi desiri?
Ed ella a me: Nessun maggior dolore,
Che ricordarsi del tempo felice
Nella miseria; e ciò sa il tuo Dottore.
Ma se a conoscer la prima radice

Del nostro amor tu hai cotanto affetto,
Farò come colui che piange e dice.
Noi leggevamo un giorno per diletto

Di Lancilotto, come amor lo strinse:
Soli eravamo e senza alcun sospetto.
Per più fiate gli occhi ci sospinse

Quella lettura, e scolorocci il viso;
Ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso
Esser baciato da cotanto amante,
Questi, che mai da me non fia diviso,
La bocca mi baciò tutto tremante:

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123. E ciò sa il tuo Dottore, il tuo maestro Virgilio, il quale 128. Di Lancilotto, eroe della cellotto. Benvenuto nota che si nel presente stato si ricorda Tavola rotonda. Lo strinse, diceano così al suo tempo i con dolore del dolce mondo. lo legò, lo invaghi di Ginevra. mezzani d'amore; ond'è che Altri intese Boezio, studiatis- 130-138. Gli occhi ci sospinse, insegnandosi amorose malizie simo da Dante, che nel libro ci mosse ad amorosamente ri- nel Decamerone, fu cognomiDe Cons. Philosoph, disse: in guardarci. Il disiato riso, nato Principe Galeotto. — Quel omni adversitate fortune infe- la bocca. - Galeotto fu il libro giorno più, ecc Accenna con licissimum genus infortunii e chi lo scrisse, Gallehaut, re nobil modestia l'interrompiest fuisse felicem. Il Caro, d'outre les marches. V. sopra, mento della lettura, ed in confamigliarmente: quel ricor- 74-75. Qui il nome proprio è seguenza il passaggio dai tredarsi d'aver goduto e star ma- preso per appellativo, e vuol manti baci agli amorosi able è un gran consumamento dire, che quella impura leg- bracciamenti (M.). genda e il suo autore indussero Paolo e Francesca a peocare. come Galeotto a far che Ginevra desse il bacio a Lan

de' malestanti.

124-125. La prima radice, la prima origine. Cotanto affetto, si gran desiderio,

140-141. L'altro, Paolo, pian geva sentendosi autor principale della sventura dell'amata donna. - Morisse, morissi.

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