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me segue in caratteri prima maiuscoli, e poi minuscoli coi supplimenti.

ΟΗΥΙΟΥ ΤΛΑΣΙΑΙΟ ΜΕΝΕΚΡΑΤΕΟΣ ΤΟΔΕΣΑΜΑ ΟΙΑΝΘΕΟΣ ΓΕΝΕΑΝ ΤΟΔΕ ΔΑΥΤΟΙ ΔΑΜΟΣ ΕΠΟΙΕΙ ΕΣ ΓΑΡ ΠΡΟΞΕΝΓΟΣ ΔΑΜΟΥΦΙΛΟΣ ΑΛΛΕΝΙΠΟΝΤ ΟΛΕΤΟ ΔΑΜΟΣΙΟΝΔΕ ΚΑΟ..Κ.....

ΠΡΑΞΙΜΕΝΕΣ. ΑΥΤΟΙ

ΑΠΟΠΑΙΔΟΣ ΕΝΘΟΝ

ΣΥΝ ΔΑΜ. Ι. ΟΔΕ ΣΑΜΑ ΚΑΣΙΓΝΕΤΟΙΟ ΠΟΝΕΘΕ

Υιοῦ Τλατίαο Μενεκράτεος τόδε σᾶμα

οἰανθέος γενεάν. τόδε δ ̓ αὐτῷ δῆμος ἐποίει

ἧς γὰρ πρόξενος δάμου φίλος ἀλλ' ἐνὶ πόντ(ῳ)

ὤλετο δαμόσιον δὲ κα........

Πραξιμένης (δ) αυτῷ (κάτι) ἀπὸ πατρίδος ἐνθών σὺν δάμῳ (τ)όδε σᾶμα κασιγνήτῳ ὁπλῶν ἔθη.

Che questi sforzi de' letterati corciresi a leggere e restituire alla pristina integrità una delle più belle iscrizioni poetiche della loro patria, siano lodevoli, ce lo concederà di leggieri chiunque conosca le difficoltà de' nostri studi. Abbiano dunque per queste fatiche dagli ellenisti le grazie che meritarono accolgano però cortesi anch'essi ciò che un ellenista italiano aggiungerà per rendere migliore il testo dell'epigramma.

Osservo primieramente, che secondo la lezione adottata il primo, il quinto e il sesto esametro hanno tutti qualche difetto contro le regole del metro o della greca prosodia. Al primo manca una sillaba, perchè fu trascurata in principio la vocale, non creduta lettera, ma semplice ornamento, o sim

bolo, o monogramma di Corcira. Ecco le parole del signor professore Orioli: « La iscrizione si comin»cia per un carattere in forma di rombo messo in

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piede sopra uno de' suoi angoli, come un ◊ (theta) » etrusco; il qual segno o ridonda come specie di » ornamento, a indicazione forse del principio, in » iscrizione che non ha intervalli di parola a paro» la, ma tutte ha le lettere conseguitanti fra loro ; » e tanto è a senso del Mustoxidi: o sta lì, secondo » un'ingegnosa conghiettura del sig. cav. Woodhou» se (ov'io pur bene riferisca dictum de dicto), a quel modo come sta nelle medaglie corciresi, qua» si un simbolo nazionale di monumenti pubblici, » e forse un Coph iniziale del nome Corcira ». Sarebbe adunque nell'opinione del cav. Mustoxidi lo stesso che la foglia, o interpunzione cardiaca d'altre iscrizioni: e in quella del cav. Woodhouse il simbolo, o il monogramma di Corcira; e non già lettera. Fatto sta che la foglia è d'uso troppo recente in principio, in mezzo, e in fine delle iscrizioni per semplice ornamento, e non si accorda coll'arcaica scrittura dell'epigrafe. Arrogi che quelle sono più grandi e larghe, e questa non supera la misura delle altre lettere. Neppur può essere simbolo, o monogramma di Corcira; perchè il simbolo più frequente di Corcira nelle sue monete sono le aiuole degli orti d'Alcinoo, e il monogramma è nesso della sillaba KOP iniziale di Kopzupa, o Kɛpzupa come si può vedere nell'Eckhel (4): (1) Doct. Num. Vol. II, pag. 179.

mentre poi il Coph latinamente QV tanto corintio, quanto corcirese 9, è rotondo anch'esso come l'O, e non è mai senza la sua codetta di sotto nè manco nell'alfabeto latino, molto meno nel greco. Io considero pertanto come lettera questo rombo, e a mio giudizio è un posto in principio per esclamazione di dolore, come il peu degli attici, e l'Heu degli antichi romani. Se questo non fu scritto in figura circolare eguale a quella degli altri O, ma in figura romboide, ne fu causa il primo tentativo dello scalpellino in materia tanto fragile quanto è il tufo, su cui le linee dritte erano più facili e stabili delle circolari. Del resto lo scalpellino deviò pochissimo dalla figura ordinaria di questa vocale; e d'altronde egli non fu costantissimo neppur nello scrivere la figura rotonda da lui preferita in seguito, perchè ora vi aggiunse ed ora tralasciò il punto in mezzo. Questa leggiera incostanza osservasi altresì nella iscrizione d'Acarnania sopra lodata, che è d'una paleografia sorella alla paleografia corcirese. Imperocchè dopo OAOIO scritto senza segno d'aspirazione e con gli O rotondi segue immediatamente un ◊ per os col segno d'aspirazione e con l'O romboide; e nessuno dubita, o può dubitare che questa voce non sia parte integrante del pentametro preceduto dall'esametro.

Che poi questa esclamazione di dolore & in principio dell'epigramma sia necessaria a compiere il primo esametro, potrà ciascuno riconoscerlo da sè stesso scandendo il verso; purchè tenga per fermo

e

che il genitivo Τλατίας del nome Τλασίας ha brevi le prime due sillabe e lunga la penultima. Basta non lasciarsi ingannare dalla pronunzia dell'accento nel caso retto per accorgersi di questa verità. Nègià si creda che Τλατίαςderivi da Τλῆσις e sia dorico per Tandías. Poichè sia che debbano ammettersi due verbi ταλάω sincopato τλάω tolero, ond τάλαςmiser ed altre voci; ε τελάω parimenti tolero, onde τελάσσαι per τελάται in Esichio spiegato τλήναι, e τελάμων bracciale dello scudo passato anch'esso in nome proprio nel celebre Telamone, e ne' telamoni o atlanti, a cui successero le cariatidi: sia che thaw stesso avesse due preteriti attivi, uno τέτλαα antico, e l'altro τέτληκα piu recente, e quindi anche due preteriti passivi tétλapat ε τέτλημαι coi verbali analoghi alla diversa quantità de' temi; egli è indubitato che la penultima in Teháp pronunciato Tlamun dagli etruschi facile a confondersi del pari col dorico τλαμών per τλημών, ε tuttavia breve, come pur breve è senza fallo in tέthquer Od. 7, 209. 5, 190 in térhaft Il, a, 586. ɛ, 382. Od. v, 18. in τετλάτω Od. π, 275. e in τετλάμεναι Od. v, 307. Ora secondo l'analogia della lingua la penultima in Tasías deve esser breve, e ve ne ha prove infinite d'altri nomi simili; dovrà dunque esser breve anche l'antepenultima sillaba in forza dell'esametro, e non vi ripugnerà l'etimologia, perchè come abbiamo dimostrato, ve ne ha doppia fonte. Ma posto che Tasiao dopo visu formi, come dee, nell'esametro due mezzi dattili, è indispensabile una sillaba lunga davanti ad viu per formare il primo

τε

piede spondeo dell'esametro stesso; egli è dunque certo che questa vocale è parte integrante dell'esametro. Mi si opporrà che questa esclamazione di dolore nell'epigramma non lega col resto, e riesce in qualche modo solitaria; ed io risponderò che ottimamente è connessa con tutto il fatto, e che questa è una espressione di profondo e sentito rammarico. Anche un epigramma di Antagora rodio (1) incomincia così:

Ω ἴτε Δήμητρος πρὸς ἀνάκτορον κ. τ. λ.

e nessuno vorrà metterne in dubbio la squisita eleganza. Che se a taluno parrà dura in principio la corcirese esclamazione di dolore, vi sostituisca leggendo la corrispondente attica qɛʊ, o la romana Heu, e capirà che neppur l'altra è priva di grande affetto.

Φεῦ · υἱοῦ Τλατίαο Μενεκράτεος τόδε σᾶμα

Nel quinto esametro dell'epigramma le voci avt zás 'año o in parte, o in tutto supplite nella lezione adottata, guastano il verso e non possono tolerarsi nel metro. Facea d'uopo avvertire che la prima sillaba in zάss fratello è breve, e ve ne ha prova dentro il nostro epigramma stesso nel suo composto asiyentos che sta nel sesto verso. Diremo di più che la ultima sillaba in zάotę è breve anch'essa secondo l'analogia della lingua e la prosodia greca; e però la restituzione di questo verso dee tentarsi in altro modo. Rifletto che qui si nomina la patria de' due fratelli conosciuta per mezzo del secondo (1) Anthol. Lib. IX, epigr. 147 ed. Jacobs.

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