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>> catanzia. E ordinò camarlingo che ricevea e pagava, e fece » coiglierisu e segretari con cui guidava tutto. E da tutti i >> cavalieri e masnadieri era ubbidito come fosse loro signo>> re, e manteneva ragione tra loro la quale faceva spedire >> sommariamente.... E benchè fra loro fossero grandi baroni >> alemanni tutti vollero che il titolo della Compagna et la >> capitaneria fosse di Messer fra Moriale, ma dierogli quat>>tro segretari de' cavalieri...e dei masnadieri quattro co>> nestabili». Da Monreale dunque e da questo fu il principio delle bande che diventarono peste e flagello non solo d'Italia, ma di tutti i paesi cui toccò la sventura di esserne infestati. Fu prima la Marca, ove la banda s'afforzo ed ebbe vita: prede, ruberie, uccisioni, taglie, tutti i mali furono allora patiti da quella provincia e non fu sicurezza di sorta. Gli stati di Malatesta furono invasi; ed egli e Gentile da Mogliano durarono gran fatica a ricomperarsi per forza di danaro.

Dalla Marca volse i nembo verso Toscana, la quale egualmente non potè ricattarsi che per opera d'oro; e dalla Toscana tutta la Compagna prese soldo a prezzo di cinquantamila fiorini d'oro per quattro mesi contro il signore di Milano con la lega di Lombardia. Fatto questo trattato Monreale affidò il comando del suo esercito al conte di Lando, barone di gran seguito creandolo suo vicario, ed egli venne a Perugia per provvedere di fare altre imprese al ritorno di quelle bande. Pare che, avendo bene veduto le condizioni d'Italia, pensasse di fare una massa capace di assoggettarla; tanto più che i tanti suoi signori si valevano troppo spesso di forestieri per fare le guerre. Spedite dunque le bande in Lombardia a passare l'inverno, ei rimaneva in Toscana a ordinare ogni bisogna per la novella stagione. Il progetto però gli falli. Ei venne in Roma e si dubitò da moltissimi che s'intendesse coi Colonnesi e con gli altri baroni romani congiurati ad abbattere la nuova signoria di Cola di Renzo. Fatto

sta che fu chiamato presto dal tribuno a giustificarsi delle violenze commesse nella Marca, nella Romagna, nella Toscana: delle quali o non essendosi saputo scusare, o non avendo soddisfatto, fu condannato a lasciare il capo sul palco dei malfattori. Giustizia di Dio! capo di un esercito formidabile, prode e inespugnabile come Agatocle, pronto d'ingegno, vincitore di tante battaglie, finiva con disonore, e senza lasciare di sè desiderio la vita, mentre sarebbe potuto passare alla posterita con una gloria invidiabile! Peggio fu che le sventure onde Italia piangeva non cessaron con lui.

La morte di Monreale non fu però la morte della sua banda; ed il conte di Lando per valore, per esperienza, per ardire era ben uomo da supplirlo e si vide col fatto. L'Italia per altri sette anni almeno fu oppressa da quel flagello. La Lombardia, la Romagna, la Marca, il regno di Napoli in tutta la sua estensione, la Toscana, il Genovesato furono corsi e ricorsi più e più volte da quelle formidabili masnade, le quali non avevano altro pensiero, altra religione che la rapina e la preda. Gli stati italiani troppo divisi d'interessi, e perciò senza forze corrispondenti a tanto bisogno si accordavano vergognosamente con quelle genti e si francavano per danaro dalle incursioni. Il che non sempre giovava, perchè tenere i patti non era sacramento inviolabile per coloro; e dove il destro si presentasse, o il bisogno il volesse tornavano ad occupare le terre che si erano ricomprate dalla invasione. Il card. Egidio Albornoz legato d'Innocenzo VI in Italia cercò di riparare a tanta ruina, e fatto processo contro la masnada, le bandi addosso la croce, e non giovando ciò si adopero con la forza ad ottenere l'intento. Nel luglio del 1358 i toscani ruppero il conte di Lando nell' alpe tra Castiglione e Biforco, e questo fu primo segnal di ruina; pure il conte si ricattò, la banda si riebbe dalla disfatta, passò in Romagna, prese terre e città e rivisse egualmente tremenda, finché ritornata in Toscana fu di nuovo sgominata da' fiorentini. E

di qua pure vinta ma non perduta d'animo volse in Lombardia contro Bernabò Visconti, a favore del marchese di Monferrato; e prima che la guerra finisse passò con Bernabò Visconti a combattere quel marchese di Monferrato che poco innanzi aveva difeso. Fra tutti gli stati che si risentirono più gravemente di tanta sventura fu il regno di Napoli, che tante e tante volte vide i predatori. I quali con la loro celebrità, cell'immenso bottino eccitarono degli imitatori, che si volsero subito a quella parte. Motore di questa nuova banda fu un Anichino di Bongardo che nel 1360, capo di una novella compagnia di ladroni vestiti da soldati, entrò nel regno a rinnovare le imprese del conte di Lando e de' suoi. Fu allora che Innocenzo VI, che fino a quel punto avea cercato di porre un freno a quelle masnade col mezzo del suo legato, indirizzò direttamente al conte di Caserta (1) un breve per

(1) È questo il luogo di ringraziare pubblicamente S. E. il signor D. Enrico Caetani Duca di Sermoneta ecc. ecc. il quale con somma cortesia ci ha permesso di usare dei documenti storici de' quali è pieno a dovizia l'antichissimo archivio di sua famiglia. Intorno a questo primo monumento che pubblichiamo diremo che il Conte di Caserta cui è diretto non era della famiglia Caetani, ma della Ratta (Matt. Villani lib. III.); poichè la famiglia Caetani cui la signoria della città di Caserta fu conceduta da Carlo II. d'Angiò nei primi tempi del pontificato di Bonifacio VIII. la alienò nel 1307; e forse vi fu astretta dalla Corte, gelosa della troppa potenza de' suoi baroni; poichè i Caetani possedevano la contea di Fondi, la quale comprendeva trentadue feudi. Però la signoria di Caserta rientrò nei Caetani sull' incominciare del secolo XVII, toccata in dote a D. Anna Acquaviva che fu moglie a D. Francesco Caetani Duca di Sermoneta. Ed ecco come l'archivio baronale di Caserta passò in quello dei Caetani, ed ecco come il presente breve vi esiste. La signoria di Caserta in fine passò alla famiglia reale di Napoli al tempo di Carlo III. per cambio fatto col principato, di. Teano che oggi è posseduto dai Caetani.

Conchiuderemo questa nota ringraziando anche l'egregio sig. G. B. Carinci conservatore di quell'archivio ed intelligentissimo di ogni cosa che all'arte diplomatica si riferisce, il quale con altrettanta gentilezza corrisponde ai nostri desiderii, ed alla bontà che ebbe per noi il Duca Caetani.

fulminarle. Abbiamo trovato questo breve originale col suo piombo nell' insigne archivio dell'eccellentissima famiglia Caetani e crediamo di fare cosa grata ai nostri lettori col riferirlo: tanto più che pare la parte presa dalla S. Sede in quelli avvenimenti avere contribuito non poco a menomare i mali che sarebbero naturalmente durati più lunghi ed acerbi.

DILECTO FILIO NOBILI VIRO COMITI CASERTANO ETC.

Innocentius Episcopus servus servorum Dei. Dilecto filio nobili viro Comiti Casertano salutem et apostolicam benedictionem. Dum tranquillitatis et pacis ac bonorum multiplicum commoda quibus regnum Sicilie affluere felicioribus hattenus temporibus consuevit, in memoriam revocantes ad diversarum deinde procellarum turbines, quibus regnum ipsum ab annis plurimis miserabiliter fluctuavit, oculos considerationis nostre convertimus, tanto suis et incolarum ejus angustiis incommodis et pressuris pio magis affectu compatimur quanto gravius esse cognoscimus assuetis affluere deliciis adversitatibus perturbari. Sane nuper ad audientiam nostram implacidus rumor adduxit, quod nonnulli iniquitatis filii quos de diversis nationibus in societatem immo perversitatem unam congregavit impietas, nonullas prefati regni partes ipsius desolationem incendiis depopulationibus, et rapinis, aliisque dampnis plurimis more predonico intendentes, religioni, ordini dignitati vel sexui non parendo nequiter invaserunt. Nos igitur dilecte fili adversus tam multiplices ejusdem regni angustias et pressuras ad auxilium divine potentie recurrentes, eum qui ventis imperat et cessare facit spiritum tempestatis suppliciter exoramus et petimus, ut ipse per intercessionem et merita beati Petri Apostolorum principis cujus est regnum ipsum peculiaris hereditas ejusdem regni incolis in omnipotentie sue dextera suis assit favoribus et regnum ipsum a temerariis talium perversorum tueatur conatibus, sicque carissimorum in Christo filiorum nostrorum Ludovici regis et Johanne regine Sicilie illustrium ac fidelium et devotorum ipsorum consilia prosperet virtutem corroboret et vires adaugeat eorundem, quod sub ipsorum regis et regine potentia malignantium hujusmodi confundatur iniquitas et superbia conteratur. Nos etiam pro ut urgentis necessitatis celeritas patitur quod in nobis est exequentes adversus malignatores ipsos ac dantes eis in hujusmodi presumptionis insania auxilium consilium vel favorem spiritualis potestatis gladium exerimus eosque incurrisse in sententias et penas spirituales et temporales adversus invasores et impugnatores dicti regni per

costitutiones apostolicas promulgatas per alias nostras litteras denuntiari mandamus. Quocirca nobilitatem tuam monemus, requirimus et hortamuṛ tibique salutis et honoris tui obtentu expresse precipimus et laudamus quatinus considerans attente dampna obprobria injurias rapinas incendia et spolia aliaque scelera que talium congregationum exercere malignitas consuevit et in regno prefato dudum exercuit, fidemque tuam erga prefatos regem et reginam solida constantia conservans eisdem tam potenter quam favorabiliter et efficaciter auxiliis tuis assistas, ut tandem illo favente qui pro rei publice defensione laborantibus propitiatus assistit, malignantium ipsorum iniquitas a suis resipiscat conatibus, ipsumque regnum victis virtute malis debita securitate gaudeat et solite dudum pacis et quietis dulcedine perfruatur.

Datum Avinioni xv. Kal. Martii Pontificatus nostri anno nono.

Locus plumbi
S. Pa. S. Pe.
Innocentius PP. VI.

Io. de Sancto Maximo

ACHILLE GENNARELLI.

BELLE ARTI

LE NOZZE DI AMORE E PSICHE

Dipinto di Francesco Coghetti da Bergamo.

Chiunque ritrovò primo la favola di Amore e Psiche, avea certamente la grazia e la sapienza nell'anima: tanto è soave ne' particolari e tanto efficace è l'ammaestramento che sotto il velame di essa si cela. Psiche è l'anima umana che senza amore non vive: fornita com'è delle facoltà di pensare e di sentire, è così necessario alla sua esistenza l'amore come il pensamento: e più la vista della bene amata persona, più il consorzio della vita e il ricambio degli ufficj in che dimora il maritaggio, è combattuto o differito, più l'anima s'infiamma e si conforta a superare le difficultà. Quanto difficili e scabrosi esperimenti non so

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