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stenne Psiche prima di sposare Cupido! nè però s'inviliva, nè dalla porta d'inferno ritraeva il piede.

Ogni incidente di sua vita potrebbe fornire argomento di odicella a' poeti, di scoltura e dipinto agli artefici, sia che appressi la lampada al viso dell' ignoto amatore, o pianga il subito disparire di lui, o venga meno nell'erebo oppressa dalle influenze di un vapore mortifero.

E se pochissimi sono i monumenti dell' antichità che risguardino a questa favola, ciò avvenne perchè niuno raccogliendo e purgando le tradizioni che a Psiche si riferivano, aveva tessuto un nobile raccontamento di sue vicissitudini prima di Apulejo vissuto in un tempo che le arti e le lettere erano decadute.

Ma poichè le arti del disegno una co' buoni studj rifiorirono, la favola di Amore e Psiche fu vario e delicato argomento alle opere degli artefici. E Raffaele primo la espresse alla distesa nel piccolo palagio di Agostino Chigi, facendone egli stesso i cartoni con quel magisterio ineffabile: e poi il Dossi, il Luti, il Reni, il Novelli e mille altri ritrassero la bellissima Psiche o solitaria o a lato di Amore, e le gioje e gl' infortunj suoi nel che Giulio romano più di qualunque altro si appressò alla perfezione del maestro imcomparabile figurando nella volta di una sala del Te il maritaggio, e negli ottangoli il bagno, il convivio e più altre storie di Psiche.

E oggi alla schiera de' dipintori che questa favola piacevolissima scelsero a subbietto di loro tele, dee connumerarsi Francesco Coghetti da Bergamo, che al vivo espresse le nozze de' due fortunati amatori.

Si festeggia il convivio nell' olimpo, non in quello che descrive Omero ed è il monte che corre dall' oriente all'occidente la Tessaglia, ma si in quello che descrive Apulejo ed è la parte più pura del firmamento. Nel mezzo del dipinto, su le nuvole e' si vede la mensa circolare, e in

torno si stanno gli iddii, meno il segmento che è sul da vanti, vôto ed aperto a fine di mostrare compiuto e intero a' riguardatori lo spettacolo di tanta letizia e di tanto amore. A capo della mensa, in un gruppo di nuvole più rilevate, sopra mondissimi e delicatissimi lini che disgradano l'opera delle tessitrici di Coo, posano mollemente Amore e Psiche, e sono in atto di stringersi, di baciarsi: Amore ebbro nella dolcezza di quello amplesso inclina la patera che tiene con la destra, né si avvede del vino che già tocca il margine di essa, già trascende, e fluisce.

Vicine di Psiche sono le Grazie e da colmi alberelli versano su la beata coppia essenze e balsami di ogni ragione, e quello di che Giunone si profumò quando cercò d'innovare in petto a Giove i desiderî dell'antico amore... e quello che spirò dalla chioma Venere quando sparve agli occhi di Enea, o quando più con vezzi che con parole ottenne da Vulcano le armature per il figliuolo carissimo, e quello con che le stesse Grazie composero le membra di Adone.

Sono a sinistra Giunone e Giove: il re de' celesti che in tanta letizia di maritaggio e di convivio tempera la maestà del sembiante, sporge la patera a Ganimede che riverente gli ministra da bere: presso a' piedi di Giove si vede l'aquila superba della signoria che su la famiglia de' volanti le diede il nume, e più superba di tenere la vece di scabello de' piedi suoi e di ministra di sue vendette: a dietro è Mercurio araldo suo pronto di correre la distanza che separa il centro della terra dał sommo del firmamento, gli indi dagli iperborei.

A destra Nettuno con Anfitrite sua che gli posa mollemente la mano sù l'omero e pare che gli rimemori le dolcezze dell'amor primo: di poi una con Proserpina sua Plutone intento a guardare la regina degli Dei che gli sta rimpetto nell' altro semicerchio della mensa: fra la prima

coppia e la seconda si vede Morfeo giovinetto, in piedi, tutt' occhi per conoscere le voglie de' convitati, e prontissimo di satisfarle.

Conseguitano Ebe ed Ercole: questi è volto di schiena in atto di parlare alla compagna, e poggia la sinistra mano su la bocca di un gran vaso: Ebe già letiziata dal vino non dà segno di udirlo, ed è tutta su lo sporgere la tazza a Bacco che le sta vicino, e sul pregarlo di versare senza nè risparmio nè indugio il licor generoso: ma Bacco non dalle ascolto intento com'è a ministrare al buon Vulcano che aveva preparato il convivio, e che si sta da parte in piedi, negletto o non veduto, e quasi vergognando di sua deformità.

Riducendo il guardo alla sinistra Venere riconciliata col figliuol suo e finalmente amicata con la bellissima nuora sorride e danza: in alto sono le muse col maestro e principe Apollo.

Guardando a nuovo la destra, sono in alto, a riscontro delle muse, le deità severe, il Fato che si vela il viso, Marte, Minerva, la Fortuna, la Modestia. In avanti dall' una parte si vede Pane giacente, e volto di schiena, con la zampogna, dall' altra un genietto che guarda il sacro vaso; sono da presso tazze, piattelli, guastade e tutt'altro che può servire in un convivio - Sotto la mensa, vicino di Giove vedete grappoli d'uva e frutta diverse. In alto nel mezzo del dipinto, sopra le teste de' convitati le Ore conducono il loro ballo, e Iride spiega la pompa de' suoi colori.

Sono in questo dipinto trentanove figure: ma e le figure sono collegate, e composti e spartiti i gruppi con tanta avvedutezza, che nella moltitudine degli obbietti e delle persone è bellissimo ordinamento, e l'occhio vi trova quiete e armonia non faticamento e dissonanza, e il riguardatore si crea di presente una idea compiuta e lu

cida di tutto il dipinto. E vorrei che committenti ed artefici intendessero quanto ardua cosa egli sia ritrarre un convivio, un ballo, ed altrettali scene: mercechè in queste la indole e l'attitudine delle molte figure, de' molti gruppi dev'essere propria e comune, variata e concorde, tutti deono partecipare alla gioja del convivio, del ballo . . . ma bisogna pure che ciascuno abbia una particolare espressione, e mostri un pensiero, un affetto proprio, o almeno diversi i gradi e le significazioni dello stesso pensiero, di un affetto comune. E mi gode l'animo che il Coghetti ( nè temo che l'amicizia mi faccia velo all' intelletto) abbia compreso la importanza e la verità di queste dottrine: voi vedete nel suo dipinto le deità partecipare alla gioja del convivio e del maritaggio: ma svariate sono le movenze che modificano nelle molte figure lo effetto della luce, e la incarnazione del nudo, svariati li affetti che elle vestono, e però le espressioni di che s'informano. Chi domanda bere e senza pro, chi il prende, altri sguarda a' lontani, altri parla co' vicini: in Ebe leggete la impazienza, in Bacco la gratitudine a Vulcano, in Vulcano la timidezza originata dalla memoria di quel giorno che fu esiliato dal cielo, in Anfitrite la tenerezza, in Nettuno il ricambio dell' amore.

Avvedutamente il Coghetti figurò, com'è detto, Ercole volto di schiena, e Pane non pure volto di schiena, ma rannicchiato e quasi nascosto in un angoletto: diversamente Ercole col suo collo taurino, con la sua folta barba, con la fronte ed il petto inarcati, e Pane con la faccia piena di rugosità e col naso lungo e beffardo avrebbe stolta l'attenziozione de' riguardanti dal subbietto primario e caratteristico della tela. Nel ritrarre le molte deità osservò pure i monumenti, e così le vesti di quella indole e le distinse con quegli attributi che a ciascuna di loro si convengono- Ho detto che Ercole poggia la sinistra mano sulla bocca d'un gran vaso, e sta bene: egli, chi nol sapesse, era bevitore grandissi

mo, e in un bassorilievo frammentato di Villa Albani (1) é figurato con un bicchiere capacissimo in mano a cui un fanciullino per mezzo di una scala si prova di salire. Bacco dà bere a Vulcano, e questo ancora sta bene: erano amici, e in molti vasi dell'antichità si vedono assieme. Forse a qualcuno non piacerà che Ebe giovinetta sia stata espressa dall'artefice già con gli occhi alquanto incerti e pure in atto di chieder vino: ma sappia costui che Ebe comeche giovinetta era pur la dea del piacere e del brio.

Il conte Terni di Crema che allogò questo dipinto al Coghetti, volle che vi paresse il ritratto della donna sua: osservate in che modo l'artista satisfece al volere del committente: nella Modestia espresse i lineamenti e le fattezze della contessa Terni: ingegnoso pensiero! così rendette il debito elogio alla virtù di lei, e alle severe deità, che sono testimoni non partecipi del convivio, una convenientemente ne aggiunsc.

PAOLO MAZIO

VARIETA'

Ragionamenti intorno alla Eneide di Virgilio,
opera di M. Marcacci.

L'egregio amico nostro, abate Desiderio Pallocchi, ci notificò come il Marcacci, già professore di belle lettere nel seminario pisano, intende partecipare agli amatori de' buoni studi il frutto delle sue molte è diuturne considerazioni intorno a quel poema divino che Properzio disse maggiore della Iliade, pubblicando tanti ragionamenti critici ed estetici quanti sono i libri di esso. Abbiamo innanzi gli occhi il primo ragionamento che riguarda il primo libro, e che l'autore pubblicò separatamente a fine di interrogare il giudizio delle colte persone, e giovarsi degli altrui consigli.

(1) Guattani T. 2. pag. 216.

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