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Esamina in questo la tessitura del primo libro, e specialmente l'uso che fece il poeta degli esseri soprammondani, il rivendica dalle false o smodate censure di certo Zoilo francese mr. Tissot, ne' luoghi simili come a dire nella descrizione della tempesta istituisce accurato paragone fra l'epico di Roma e i molti altri cosi antichi come recenti, offerisce in pochi fogli raccolto il meglio delle svariatissime considerazioni metriche critiche storiche estetiche che fecero sul primo libro lo Scaligero, l'Heyne, il Dubos, il Delille, il Lacerda da Vincenzo Monti gridato principe degli spositori, e avvezza il giovanetto non tanto a giurare nelle parole del suo maestro, quanto a studiare nelle mirabili composizioni dell'antichità. Il perchè troviamo lodabile la opera del Marcacci, e il consigliamo di continuarla e ridurla a compimento come alle scuole utilissima, agli amatori dei classici studi piacevole.

Il cav. Giovanni Rosini ha ultimamente pubblicato un nuovo romanzo storico - Il Conte Ugolino della Gherardesca e i Ghibellini di Pisa È esso preceduto da tre capitoli nei quali sono narrati i principali avvenimenti della pisana repubblica dal 1063 al 1280, o in quel torno, a migliore intelligenza di tutto il racconto. Avendo determinato di non produrre riviste critiche di romanzi speciali se non esposti i nostri principii in generale, dobbiamo in questa occasione contentarci di un semplice annunzio.

La raccolta delle Lettere di Enrico IV, di cui sono già pubblicati due volumi, si è arricchita di un gran numero di lettere che il sig. Marziale Delpit ha trovato autografe in Londra, e che sono dirette alla regina Elisabetta, a Giacomo I, a Scaligero, a Casaubono ec. Lo stesso sig. Delpit ha pure portato di Londra in Parigi 139 lettere di Caterina de' Medici, e moltissimi altri importanti documenti. Egli sarà quanto prima rinviato colà dal ministro della pubblica istru zione, perchè continui le ricerche sì bene incominciate.

SOMMARIO

ARCHEOLOGIA - Sopra un sepolcro greco scoperto a Corfù (proseguimento e fine) G. P. Secchi. STORIA - Il carnevale del medio evo in Roma (proseguimento e fine) A. Coppi. Le bande di Monreale e del conte di Lando; e breve d'Innocenzo VI. in proposito. A. Gennarelli. BELLE ARTI - Le nozze di Amore e Psiche, dipinto di F. Coghetti. P. Mazio. VARIETA'.

Roma 15 Febbraio 1844.

IL SAGGIATORE GIORNALE ROMANO NUM. 5.

STORIA

DI FIRENZE, E DI ALCUNI STUDII NECESSARII A FARSI INTORNO ALLA VITA MORALE DELLE COMUNI ITALIANE.

Fra le comuni italiane del medio-evo, Firenze è senza dubbio quella, che ne presenta uno de' più ricchi sviluppamenti di natura umana: e se la la condizione morale de' tempi avesse saputo trovare e comportare una forma di reggimento nella quale i diversi elementi che costituivano la vita di quel popolo si fossero potuti insieme comporre, difficile è a dire sino a quale altezza di civiltà e' si sarebbe levato. Se, posti in disparte per un poco gli ahberramenti e le infelici lotte delle passioni, noi cerchiamo di coglierne i buoni germi, vi ritroveremo da prima una nobiltà piena di generose convinzioni, una nobiltà che sa morire pe' suoi principii, che, o si consacri all'impero, o alla chiesa, o alla patria, tien fede a' suoi voti, ed è, per parlare il linguaggio del suo poeta, tetragona ai colpi di fortuna; vi ritroveremo una cittadinanza ingegnosa e intraprendente, costante nelle avversità, pronta e sottile nel trovare i rimedi; che, insofferente de' stretti limiti della vita municipale, esce spesso di Firenze per spargersi co' suoi commerci in quasi tutta Europa, e nell'Oriente; che, dentro città, non esaurita dai continui moti civili, promuove gli studî, le arti, le industrie d'ogni maniera, fabbrica edificì pubblici, iunalza templi, che l'età nostra è solo buona ad ammirare; produce una schiera di nobilissimi storici delle cose patrie, di scrittori ed artisti che si innalzano a sublimi ispirazioni e rinnuova in molti suoi cittadini esempi di tali virtù. che Grecia e Roma, non avrebbero, ne' loro bei tempi, sdegnate; infine vi troveremo una plebe, alla quale la fatica materiale e le necessità della vita fisica non fanno dimenticare i bisogni di una più elevata natura, una plebe che tende continuamente a sviluppare le sue facoltà, e non si crede, per esser povera, aver perduto ogni dritto alla soddisfazione delle esigenze morali. Parmi che il carattere distintivo de' fiorentini fosse un profondo sentimento della propria dignità ed importanza individuale, congiunto ad un estremo bisogno di agire e di pronunziare al di fuori di se nel dramma della vita pubblica le loro potenti facoltà. Questo felice temperamento del popolo fiorentino, questa sovrabbondante vita de' diversi elementi che componevano la città, quanto bene fruttificato ANN. I.

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avrebbe sotto una forma civile, ove le forze individuali avessero potuto agire di conserto e coordinarsi ad unità di mire e d'affezioni sociali, altrettanto male produsse in Firenze per gli opposti interessi a' quali quelle forze si vennero rivoltando, con iscontri e abbattimenti fierissimi intra loro; e la stessa vivacità di que' risentiti animi rese impossibile ogni composizione; sicchè prima la nobiltà guelfa umiliò la ghibellina, poi l'una e l'altra fu dal popolo combattuta e vinta, nè questo stette guari in pace, che l'insolenza de' ricchi da una parte e il risentimento de' mediocri cittadini, favoriti dalla gente minuta a nuove e più fatali discordie dette occasione; sino a che la stanchezza delle fazioni, il bisogno, sentito dai più, di un potere che contenesse l'intemperanza delle ambiziose passioni, e un nuovo rivolgimento della attività individuale dai carichi dello Stato alle funzioni industriali, letterarie ed artistiche, rivolgimento preparato dalle generali condizioni del secolo, e promosso dalla politica Medicea, rese possibile l'elevazione di una casa cittadinesca sulle rovine della Comune. Mal si apporrebbe chi volesse recare tutta la responsabilità di questo fatto all'uomo, che ne raccolse i frutti. Cosimo de' Medici usò a propri fini, non fece tutta la rivoluzione che gli die' in mano la patria, ed il suo peccato fu non averla, potendolo, contenuta, come sarebbe stato dovere di buono e modesto cittadino. Nè in vero, cotali mutazioni si ponno operare da un uomo, se molte cagioni intrinseche ed occasioni esteriori non le preparano innanzi, e non le rendono agevoli. Io esporrò adunque in questo saggio, una parte di quelle cause, che da' miei brevi studi sulle cose di Firenze m'è parso di poter riguardare siccome preparatrici del decadimento municipale, e della elevazione di casa Medici; non che io mi creda di poter dire novità, ma perchè reputo utile alla ragionata associazione delle idee storiche il richiamare e mettere in rapporto tra loro cose anche note.

La forma politica delle città italiane nel medio-evo era ben diversa da ciò che se ne potesse pensare dietro le idee de' tempi nostri. L'azione progressiva della civiltà e la centralizzazione del potere hanno assimilate le masse e rese impossibili le reazioni individuali; ma a que' tempi le cose andavano ben altrimenti. Come le città italiane furono composte dal concorso di più classi distinte e avverse tra loro, ciascuna di queste serbò nel procedere della vita sociale la propria fisonomia, ebbe interessi separati, e si lasciò dominare da passioni ed ire ereditarie, che per più secoli travagliarono le comuni, e furono cagione della loro rovina. La mancanza di un'autorità sovrana, la quale potesse farsi arbitra delle singolari contese, e regolarle sotto la tutela di un equo sistema politico, fece che queste varie membra della società, in difetto di pubblica difesa, cercassero nelie private associazioni la propria sicurezza. Così Ja tendenza individuale ed esclusiva prevalse sempre ne' municipii, malgrado gli sforzi fatti per condursi ad una conversione più sociale; e quelli che uno stesso muro ed una fossa serrava, alla classe, alla consorteria volontaria, alla fazione, più che alla patria e al bene comune aveano fermi gli animi; di che

nacque che non si potè mai nell'opinione pubblica formulare in tutta la sua perfezione l'idea municipale, e molto meno poi l'idea confederativa ne' rapporti tra città e città. Ciò è ben naturale se si consideri che tra la storia dell'umanità e la storia dell'uomo interiore è identità di procedimenti. Le medesime leggi che presiedono alle evoluzioni dello spirito umano nell'uomo individuo, presiedono ancora al corso delle società. Di fatti la società non essendo, per così dire, che il multiplo dell'individuo nello spazio e nel tempo, le sue varie fasi debbono rispondere a' diversi modi de' sviluppamenti di quello, ond'è che la psicologia e la storia si danno reciprocamente la mano. Ora la mente umana va sempre dal particolare al generale, dall'interesse del momento all'interesse costante, dal senso alla ragione, dalla famiglia alla patria, da questa alla nazione. Pigliate l'uomo in tale stato, in cui le impressioni del senso si tengano ancor quasi schiava la sua razionale natura, ponetelo tra un interesse presente e materiale, e un motivo morale risultante da una lunga deduzione, egli non esiterà ad appigliarsi all'interesse che parla al senso, trascurando il motivo che la sua ragione non può ancora comprendere. Trasportando questa legge psicologica al fatto della storia, è naturale, che in uno stato di grossolana ragione quale era quello dell'umanità al suo primo risorgere dalla barbarie, tutto il processo della vita storica avesse a prodursi in una maniera articolata, individuale, senza unità morale d'azione, come quella che suppone l'influenza delle idee generali. Al primo nascere delle comuni, il focolare domestico, l'industria particolare, la famiglia, i consorti e coabitanti nel medesimo paese, le prepotenze di uno o più signori de' contorni, il bisogno di difenderne sè e i suoi, costituivano que' soli elementi e motivi su' quali il borghese di que' tempi poteva elaborare il suo concetto sociale; le comunicazioni tra terra e terra erano rade e difficili, e tutto concorreva a limitare la mente e il cuore di quegli uomini nel circuito delle mura natali; nè l'idea sociale poteva stendersi più in là della terra, che custodiva le ossa de' loro padri. Erano necessari nuovi contatti, nuove compli cazioni di commerci e di guerre, era necessaria l'influenza di nuovi principii, che, con azione meno particolare del feudalismo, abbracciassero tutti questi fochi stac cati di nascente civiltà, e, o con beneficii universali, o con minaccie e paure comuni li avvicinassero insieme, e li trasportassero dalla vita municipale alla vita nazionale. Ma l'idea di nazionalità, come assai generale, dovea presentarsi ben tardi allo spirito umano. Questa idea è propria de' moderni tempi; nè l'antichità greca e romana, nè il medio-evo conobbero mai questa parola nel significato che noi le associamo. La ricostituzione de' Comuni subì adunque l'influenza individuale de' tempi, e non giovò gran fatto a' rapporti sociali delle genti tra loro; anzi, nelle relazioni esteriori, il principio stesso che avea combattuto il feudalismo, si costitui colle forme di questo medesimo. Milano, e più tardi Firenze, e la maggior parte delle potenti repubbliche municipali ad altro non intendevano, nel a loro esterna politica, che a circondarsi di un grande vassallaggio di città.

Inoltre, la partecipazione politica allo Stato era avuta nelle città libere più

come un fatto che come un diritto (1) La cittadinanza attiva era spesso formata da un'associazione arbitraria e parziale di abitanti, esclusine gli altri. Non era il comune consenso che elevasse alla dignità di cittadini statuali, ma sovente la potenza di più famiglie, che insieme strignendosi con loro consorti e con loro amistà, assumeano la cosa pubblica, associandosi alla cura di quella chi più loro piacesse. Questa fu la cagione di quasi tutte le rivoluzioni di Firenze, mosse cagli sforzi continui de' cittadini esclusi per nascita, o ammoniti per arbitrio di parte, a pervenire allo Stato. Era questa, in poche parole, una specie di tirannide divisa per molti capi, invece d'essere cumulata in un solo; e ben misera esser doveva la condizione di coloro che non avevano diritto a' pubblici uffici, come quella che li esponeva a tutte le triste conseguenze de deboli ordinamenti civili, togliendo loro dall'altra parte il compenso di poter rappresentare con modi legali i bisogni e le sofferenze di buona parte della popolazione, e di prevenire i mali trattamenti a che erano fatti segno. E quanto fossero difettivi e mal guarantiti gli ordinamenti giudiziari, e quanto arbitrarie le procedure e le esecuzioni, e come soggette agli impeti delle parti, e quanto mal ferma la sicurezza personale del cittadino, n'abbiamo continui esempi nella storia delle repubbliche.

Ora mi farò a scorrere rapidamente i rivolgimenti di Firenze sotto tali forme governative. Abbiamo de Ricordano Malaspina, all'anno 1177 (2), le prime memorie di aperta guerra tra il Comune e i nobili; e in quelle cronache primitive (3) vediamo il Comune inteso fuori ad allargare il contado e combattere i castelli de' Conti rurali, dentro occupato frenare le soperchierie della nobiltà cittadina, sino a che nell'anno 1250 si fece il primo popolo, come dicono gli storici fiorentini, cioè si costitui politicamente il ceto di mezzo (4). I popolani, che poca parte pigliavano alle contese private de' nobili, e ne sentivano assai danno, sendo per esse sturbaţi da que' loro commerci e lavori di che traevan la vita, profittarono delle divisioni de' medesimi, e fu loro facile il vincere entro le mura e tra le case della città quelli, che in aperta campagna non avriano potuto fronteggiare. Le associazioni per arti, e l'ordine delle milizie cittadine fecero del popolo una confederazione stretta e potente, dinnanzi alla quale le consorterie de' nobili doveltero in fine atterrare la fronte. Non era però il popolo alieno in sulle prime dallo associarsi i nobili nello Stato (5), ove fosse riuscito a temperarne gli animi all'autorità delle leggi, e più volte a questo fine e in questa speranza richiamò le

(1) Sismondi: Forti, Istituzioni civili.

(2) Cap. 80. apud Murat. rer. ital. vol. VIII. col. 935-36.

(3) Ricord, Malasp. e Giov. Villani. passim.

(4) Gio. Villani cap. XXXIX, lib. VI. apud Murat. vol, XIII. col. 181-82. (5) Ma venuto Federigo II a morte, quelli che in Firenze erano uomini di mezzo, ed avevano più credito con il popolo, pensarono che fusse piuttosto da riunire la città, che mantenendola divisa rovinarla. Operarono adunque in modo che i guelfi deposte le ingiurie tornarono, ed i ghibellini deposto il sospetto gli riceverono. Macchiavelli stor. fior. lib, II. p. 69. Vedi anche Gio. Villani,

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