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parti cacciate, e con parentadi cercò pacificarle tra loro. Ma quelli aveano appena deposte le ingiurie che le ripigliavano; e in guerra con se medesimi, e di accomunarsi al popolo sdegnosi, e irriverenti alle leggi, e fieri della loro indipendenza, ogni cosa mettevano a scompiglio e rumore. Viveano in mezzo ai cittadini come stranieri, entro palagi fortificati d'alte torri e asserragliati, co' loro servi e clienti a mano armata. Era insomma la vita feudale messa entro le mura della Comune. La nobiltà si guelfa che ghibellina veniva rivocata costantemente dalle tradizioni domestiche, e da uno spirito cavalleresco ignoto alla casa del mercante e dell'artigiano, ad idee ed interessi superiori alla vita cittadinesca, ed estranei al recinto della Comune: per quelli ponevan le fortune e la vita, e il municipio era un nome senza soggetto per chi combatteva per l'imperio o per la chiesa. All'interesse di parte ogni altro avrebbero sagrificato, e lieve cosa saria parsa ai nobili ghibellini congiurati a Empoli nella rovina di Firenze, il torre via quella nobilissima città, se Iddio non risvegliava in cuore ad un di loro la carità del luogo natale (1). Egli è adunque chiaro che con tali animi e costumi non era al popolo aperta alcuna via di conciliazione. Comuna nza d'onori sdegnavano, ubbidire non sapevano; pe rò il popolo prese partito di cacciarli, od umiliarne per modo l'orgoglio, che mai più s'avessero a rilevare: lo che gli potè succedere per questo, che la nobiltà fiorentina, per le spesse divisioni, esilii, morti con che s'era di per se travagliata, assai perduto avea dell'antica forza, e molto era scema di numero, specialmente la ghibellina, che fu già la più vigorosa e, per le sue relazioni con l'impero e con tutti i signori ghibellini d'Italia, potente. Or questa dai guelfi, forti dell'amicizia del popolo e de' pontefici, fu molto battuta, e poi sotto Carlo d'Angiò ridotta in tali estremità da non potere più in appresso esercita re entro Firenze alcuna influenza. Ma que' che il popolo non volle ti ranni entro ebbe nemici fuori (2); e buona parte delle guerre che sostenne la repubblica furono concitate ed aiutate contro quella da' nobili fuorusciti. Si mescolarono alle armi degli imperatori e dei signori ghibellini d'Italia, tenner mano agli Scaligeri e ai Visconti; e Fiorenza, priva della sua nobiltà e con essa del valore guerriero, dovette, come osserva Macchiavelli, assai più volte alla fortuna che alla propria virtù la sua salvezza. I nobili guelfi, rimasi in città, a' quali il popolo si era tenuto amico, poco tempo stettero a levare ancor essi arroganza e usar modi incivili, sicchè il poco rispetto che aveano alle leggi, e l'insolentire che facevano ai cittadini, fu cagione che si creasse il gonfalon iore di giustizia, il quale dovesse

(1) Giov. Villani cap. 82. lib. VI. apud Murat. col. 213-14. Dante, Inferno canto X.

(2) Non è il popolo pronto a vendicarsi de' grandi col sangue loro, ma si sfoga le più volte col mandargli in esilio, il che quando avviene, ne seguita it medesimo effetto, che se fussero dentro, perchè hanno favori di principi, ed altre repubbliche vicine, appresso alle quali hanno ricetto, e finalmente con simili ajuti sono nella patria restituiti ec. Donato Giannotti, Repub. Fiorent. lib L cap. V. p. 49.

contro la coloro oltracotanza i dirit.i del popolo e la maestà della repubblica sostenere; ma non bastando questo maestrato a frenare i nobili sin che qualcuno di loro sedeva de' priori, perchè, sendo tra quelli, ne attraversavano continuo le ordinazioni, il popolo finalmente, per consiglio di Giano della Bella, si mosse a fare una riforma di Stato per la quale tutti i nobili vennero esclusi dalla signoria, e si fecero que' fieri ordinamenti di giustizia (1) e fu, per così dire, armata di ferro la legge. Questi umori tra la nobiltà e il popolo, e la necessità per conservar quieto lo Stato di bandir quella dai pubblici uffici, produsse effetti pessimi per la repubblica; prima, perchè in sì fatto modo le venne meno, come è detto, l'elemento guerresco, sì che, spoglia di virtù militare, dovette ricorrere ad armi mercenarie, e trattar le guerre a danari; onde nel procedere de' tempi la forza regolatrice de' destini di Firenze non fu più la volontà de' suoi cittadini, ma il danaro, il che pose lo stato in mano de' capitalisti, come avvenne all'epoca di Cosimo; poi perchè, se questa nobiltà perdette valore, conservò però sempre la boria del nome, e la smania di voler sovrastare, e quando non potè più colla forza del braccio, tentò colle male arti recuperare lo stato; oltre a che priva di occupazioni degne, e smarriti avendo nell'ozio i generosi suoi spiriti, si dette ai vizi con quella medesima foga, con la qual prima le forti imprese aveva cercate, e fu operatrice che in Firenze si alimentasse ognor più quella tendenza spensierata e sensuale, la qual poi rese la repubblica facile preda alla politica di casa Medici.

Ma, cessata la lotta tra la nobiltà e i ricchi popolani, o popolo grasso che dicono gli storici, altre più fatali nimicizie si accesero tra questo e le arti minori dalla plebe aiutate. Nella ripartizione fatta delle proprietà de' nobili, allorchè Parte guelfa si costituì a consorteria (2), una porzione di que' beni fu da' più ricchi cittadini comperata, e le successive confische delle possessioni dei nobili di campagna fatte a pro del Comune. dettero agio a molte famiglie del popolo grasso di aumentare e stabilire i loro capitali, e così sulla antica aristocrazia della nascita, surse una nobiltà di fatto, o civile, come la chiama Scipione Ammirato, la quale, se non il valore, riassunse l'orgoglio di quella prima. Dall'altra parte anche nelle minori arti e nel popolo minuto, specialmente dopo che Gualtieri di Brienne, nel tempo della sua signoria in Firenze, per rincalzare del favore dell'ultimo la propria tirannide, ebbegli concesso alcun valore politico, s'era risvegliata una gran vita civile, e mal sofferiva quella concentrazione aristocratica dello Stato, della quale i ricchi erano operatori. I fallimenti delle case dei

(1) Onde molti buoni cittadini popolani e mercanti . . . . afforzarono il popolo.... e fecesi leggi, che si chiamarono ordini della giustizia contro a' potenti, che facessero oltraggi a' popolani, e che l'uno consorto fosse tenuto per l'altro; e che i maleficj si potessono provare per due testimonj di pubblica voce e faDiro Compagni col. 474. apud Murat.

-ma.

(2) Macchiavelli, Stor. Fiorent. lib. II. p. 76.

Bardi e Peruzzi, e la scossa che ne derivò alle più ricche famiglie del popolo grasso, molto fecero perdere a questo d'autorità; e il popolo minuto, che già avea cominciato a numerarsi e a pigliare concetto della propria forza, alzava ognor più le sue pretese allo stato. Vuolsi attribuire, come osserva anche il Leo nella sua storia degli Stati italiani, questo continuo movimento democratico in gran parte alle frequenti evoluzioni della proprietà, e al progresso industrioso delle basse classi, per cui non si potè mai stabilire in Firenze una forte ed ereditaria aristocrazia. Quando nel 1355, per provvedere al debito pubblico, cresciuto nelle precedenti guerre e disordini, si trattò di fare un estimo di tutti i fondi di città e di contado, per ripartirvi sopra una tassa, trovarono che le proprietà si scambiavano si velocemente che prima d'essere molto avanti nel lavoro, tutto il già fatto s'era mutato (1). Oltre a ciò la situazione di Firenze, rapporto ai paesi che la circondavano, era tale da doverne continuamente subire le influenze. Era generale nelle repubbliche toscane la reazione delle idee democratiche contro l'aristocrazia si territoriale che mercantile, e l'antica nobiltà era stata dapertutto posta fuori de' diritti politici; nè la nobiltà della ricchezza che le era succeduta, trae mai seco il prestigio di che può l'altra circondarsi agli occhi del popolo. Era Firenze piena di gente avventizia, di mercanti, artefici ed operai venuti di fuori a cercarvi fortuna (2), e chiamativi dalla immensa elaborazione industriale e mercantile di che Firenze era centro e fuoco principalissimo in Italia (3). Questi foresi, non legati da alcun interesse od affezione alle consorterie de' grandi cittadini, ed esclusi per legge dalla cittadinanza attiva, doveano naturalmente far causa comune co' malcontenti, eccitare continuo le reazioni democratiche, legarsi alle arti minori e alla plebe, e cumulare agli interessi di questa i loro per conseguire lo stato. Non era la nuova aristocrazia di Firenze san zionata dalla antichità delle origini, non decorata da tradizionali meriti verso la patria, non appoggiata ad alcuno almen nominale diritto, come era per esempio il feudale, per cui potessero levar nota d'usurpazione da qualunque tentativo operassero sopra lo Stato. Molte famiglie erano sorte a grandezza dal popolo minuto, molt'altre spesse volte di buona condizione in fondo ricadeano. Il basso popolo sapeva stimarle per quel che valevano, sapeva dire il fatto suo, le avea vedute spiccar fuori dal niente, e non si tenea da men di loro: sicchè l'opposizione fu sempre viva, e non potendo

(1) Questa medesima signoria ordinò la tavola di tutte le possessioni, stimando che dovesse essere util cosa al comune, per levar la briga a'creditori di ritrovare i beni del debitore. Ma essendo stata questa opera tirata innanzi per alcuni anni con molta spesa, fu poi abbandonata per la confusione, che nasceva dalla descrizione de' termini, e della mutazione de' possessori. Scip. Ammirato, Stor. Fiorent. all'anno 1555. Vedi anche Leo.

(2) Filippo Villani lib, XI. cap. 65. an. 1565.

(3) Chi desiderasse formarsi un'idea del immenso commercio de' fiorentini, legga la pratica della mercatura del Balducci, che era un agente della compagnia de' Bardi, la qual pratica è scritta alla meta del XIV. secolo.

mai direttamente i ricchi cittadini recarsi a mano il governo della città, nè osando attentare alle forme della costituzione, non rimase loro altro modo, che d'eser citare per coperte vie il loro potere nello Stato. Non essendo adunque possibile ai maggiori cittadini e a parte guelfa il contenere i moti delle arti minori, e non potendo togliere lo stato a tutta la classe, concepirono una sottile malizia per ferire almeno individualmente i loro avversari, e questa fu la legge dello ammonire, per la quale chiunque dai capitani di parte guelfa, veniva mostrato ghibellino, o disceso da ghibellini, era ammonito che non potesse esercitare alcun magistrato (1). Quando le contese fra l'imperio e la chiesa si ammorzarono, i nomi di guelfi e ghibellini non furono più legati a' loro veri principii, e rimasero segnacolo di antichi odii, o pretesto a gare novelle e a private vendette. Vero è però che il guelfismo in Firenze specialmente, si venne sempre più as- • similando agl' interessi popolari, e il ghibellinismo al contrario vesti per quasi tutta Italia forme tiranniche. Sappiamo da Giovanni e Matteo Villani che nel quartodecimo secolo il nome di ghibellino suonava fautore della tirannide, e a quello di guelfo si associavano idee più civili, e che parte guelfa era riguardata, sono parole di Matteo, rocca stabile della libertà (2). Questo stato dell'opinione pubblica, e le avare o ambiziose divisioni onde tutta la città era piena, furono cagione che quella legge pigliasse piede. Ma se essa fu poi in mano di parte guelfa e degli Albizi, capi di quella, un mezzo col quale sfogare le loro ire e vendette e levare alto la loro potenza restrignendo ognora più i squittini dei magistrati ne' loro consorti ed amici, non giovò però loro a conservarsi in istato, perocchè non poterono sempre impedire che cittadini loro avversari e amatori del popolo, come fu Silvestro de' Medici, o fautori di nuova tirannide, come accadde alla loro estrema disfatta, non pigliassero il governo della repubblica. E ultimamente il gran numero di malcontenti e nemici che e' si fecero con quell'iniquo ordine, e la stanchezza che coi loro umori cagionarono nell'universale, e la corruttela e inettitudine ai carichi dello Stato che l'ozio politico generava negli esclusi, e il disamore verso una patria che li rifiutava e per conseguente, il rivolgersi dell'attività de' cittadini dalle cure politiche agl'interessi individuali e al pacifico egoismo della vita domestica, tutte queste cose insieme e prepararono la coloro rovina, e facilitarono la medicea dominazione. Sappiamo dagli storici dei tempi come i mercatanti fiorentini fossero ne' paesi fuori con dispetto guardati pe' loro poco buoni costumi, e come entro città abusassero sopra le inferiori classi dėl popolo della loro potenza e delle loro ricchezze. Messer Nicolò Rosso da Teramo, podestà di Firenze, condannò a morte un di costoro, il quale avea prima fatto bandire, e poi cercato di perdere un pover uomo per far sua voglia con la donua di quello. Agnolo Pandolfini neile ammonizioni a' figliuoli perchè si astenessero dallo Stato e alle domestiche cure stesser contenti, può riguardarsi come rappe

(1) Macchiavelli Stor. Fior. lib. III. p. 144. an. 1557.

(2) Vedi Hallam, L'Europa net medio-evo.

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sentante di quella egoistica non curanza, e di quel disgusto della cosa pubblica del quale qui sopra toccammo. Dice Jacopo Pitti, nella sua storia fiorentina, che „, i Medici non ebbero nel governo molto disturbo; sì per li molti fautori che » sotto quella insegna si adagiavano; sì ancora per lo poco seguito che aveva chiunque si fosse voluto opporre in una cittadinanza più curiosa dei traffichi privati, che dei pubblici affari (1),,. In una repubblica, che priva di forze materiali, e esposta, come Firenze, alla influenza de' denarosi, e ai rivolgimenti della politica straniera, non aveva altro più efficace mezzo per conservarsi, che lo associare strettamente l'interesse individuale de' suoi cittadini allo interesse dello Stato, non fu impune questa diversione operata dagli Albizi nello spirito pubblico. Nell'antico ordinamento delle elezioni, quando la creazione dei magistrati si solea fare alla giornata, ogni cittadino ponea maggior cura ad acquistarsi que' meriti, che potevano rivolgere l'elezione in suo favore; ma quando fu trovato l'ordine dello imborsare anticipatamente i nomi de' magistrati di più e più anni, la sicura speranza degli onori infiacchì la vita politica de' cittadini. Il Leo, loda assai questa matazione, ma gli storici fiorentini ne intesero il guasto. e Macchiavelli e Nardi la biasimano, e parmi a ragione; dei quali quest'ultimo dice espressamente che questo tale modo di fare i magistrati corruppe assai i buoni costumi della città, perciocchè facendosi detto squittinio ogni tre, ovvero ogni cinque anni, e non alla giornata, come sarebbe stato convenevole, secondo la qualità de' cittadini e de' corrosti tempi, perchè coloro che una volta avevano ottenuto, e vinto il partito, e erano imborsati nelle borse per ciò ordinate, essendo sicuri di avere ad ogni modo a conseguire qualche volta gli onori e gli uffici a' quali essi erano disegnati, diventavano negligenti e stracurati nei buoni portamenti della vita loro (2) „. Fu poi questo per sè cattivo ordine reso anche più pernicioso alla repubblica, quando entratevi di mezzo le brighe degli Albizi, cominciarono a farsi gli squittini sotto l'influenza della parte; per la quale fu operata una grande compressione morale nella città, e venne quasi per intero a cessare quella energia, che la partecipazione a' pubblici uffici comunica alle facoltà dell'animo umano, traendolo fuori del ristretto circolo dell'egoismo individuale identificando i privati interessi con quelli dello Stato, e aprendo i cuori alle più nobili e generose espansioni. Questo sentimento della propria dignità, questa sublime idea dei doveri che ne stringono alla società, s'era a poco a poco venuta spegnendo in Firenze, e per una viziosa deviazione, della quale gli Albizi furono in gran par e responsabili, gl'interessi particolari, dissociati da quel principio che solo può nobilitarli, in luogo della patria, l'idea della quale era stata corrotta, presero a idoleggiare alcuni tristi figliuoli di quella, che colle loro arti e coi loro mezzi seppero a sè legarli, e farsene centro. Così tutta Firenze gareggiava nel piaggiare quel malvaggio istrumento delle ambizioni di Cosimo,

(1) Archivio Storico Tom. I.

(2) Nardi Storia Fiorentina lib. I.

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