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che fu Luca Pitti; e de' Medici, che scopertamente affettavano il principato, non s'accorse, o volentieri li comportò.

Io ho sino ad ora delineato a grandi tratti il dramma esteriore degli avvenimenti: ma questi fenomeni della storia, questo complicarsi, urtarsi, combattersi romoroso delle passioni, non sono che problemi, se non si cerca d'intravedere la vita segreta, che muove la volontà, e la spinge all'azione. Perocchè è la volontà umana, modificata da una duplice serie di rapporti e relative tendenze, cioè dai rapporti che la legano al sistema delle leggi fisiche, e la imprigionano, per così dire, in una staccata, cieca ed egoistica individualità, e dai rapporti superiori, dietro a' quali si solleva e aspira, sull'ali del sentimento e della ragione, dalla servitù de' sensi a cercare e porre in atto le eterne leggi dell'ordine e del bello morale, è la volontà umana, dico, che fa la storia. Dalla proporzione o sproporzione tra queste due potenze operanti sulla volontà, dalla giusta o ingiusta misura che si faccia tra l'uomo de' sensi e l'uomo dell'idea, tra l'uomo dell'arbitrio e l'uomo del dovere, tra l'individualismo assorbente e la socialità espansiva, parmi dipenda il bene o il male delle umane associazioni. Il predominio della prima potenza ci dà le epoche di decadimento, di barbarie, di dissoluzione sociale; il faticoso emanciparsi della seconda dalla grossezza de' sensi, dall'impero della forza brutale, dal privilegio, dall'egoismo individuale di casta, il suo costituirsi sulla domata natura materiale colla provvida operosità, ci da le epoche ascendenti, le epoche di sviluppamento civile. Il medio-evo, che ricostruisce la società, spenta moralmente dal paganesimo, e dispersa dai barbari, fu una di queste epoche; e la comune risorta colla religione cristiana, col diritto civile, coll'agricoltura e coll'industria, fu la più alta espressione di questo segreto travagliarsi dell'uomo morale alla realizzazione de' suoi diritti e de' suoi doveri. Ma questo movimento del medio-evo s'iniziava tra le recenti reliquie del paganesimo, tra le ferità dell'individualismo barbarico, tra gli ostacoli di una natura abbandonata e selvaggia, ed operavasi da masse d'uomini slegati tra loro e grezzi di mente; sicchè tutte queste circostanze doveano naturalmente contrastare alla riedificazione sociale, segnarvi le loro grossolane impronte, e rendere impossibile un pieno risorgimento d'umanità nelle associazioni municipali. Le comuni non poterono mai svestirsi gli abiti feudali, non poterono comprendere tutta la parola sociale del cristianesimo, furono discordi tra loro, divise dentro, piene d'avari interessi e di superbe passioni, disumane coi poveri, e dovetter cadere. Mirabile documento e sanzione d'ingiuste esorbitanze individuali sopra le leggi dell'ordine sociale. Ma poco gioverebbe il tener dietro, nella storia, alle abberrazioni e malizie dell'umana volontà, se, come abbiam detto, non si cercasse di cogliere gli agenti segreti, che operano tutto questo movimento. I nostri storici ci hanno lasciata una preziosa eredità in quelle lole loro vive pitture delle azioni esteriori de' nostri padri; essi ne han dato gli ultimi effetti pratici e le forme estetiche dell'umano pensiero; ma il valor reale dell'esperienza storica non istà tutto in questo spettacolo delle azioni umane; egli fa di mestieri sopratutto, come osservò un nostro grande politico, conoscere i mo

venti di queste azioni, onde tenere la scienza delle cause modificabili, dall'umana podestà: e veramente l'utile d'ogni cognizione è nella scienza de' mezzi con cui si produce una cosa, non già nella nozione fenomenica della medesima. Sarà adunque prezzo dell'opera l'entrare qui un poco nella considerazione dei principii e degli elementi coi quali s'iniziò il movimento civile della comune.

Lasciando alle erudite cure di molti illustri contemporanei la quistione sulla genesi romana o spontanea delle comuni, a noi basti di ricordare, che per l'indebolimento della gerarchia feudale allo spegnersi de' Carolingi, tra le ambiziose emulazioni de' Duchi e Magnati, e sotto il più civile regime delle immunità ecclesiastiche, allargatesi a danno della giurisdizione de' Conti, molte associazioni d'uomini si vennero in Italia componendo in vere città, sotto unità d'amministrazione. In queste, fatta loro facoltà di cignersi di mura per difendersi dalle scorrerie ungare o saracene, donate di contadi e franchigie dalla politica degli imperadori, intesi a farsi appoggio d'esse contro la poca soggezione de' signori feudali, molte e contrarie nature d'uomini si erano insieme mescolate. Vi aveano nobili, discendenti dalle schiatte degl'invasori longobardi, franchi e tedeschi, con loro servi e fedeli, e loro castelli fuori; eranvi liberi proprietarii, vassalli francheggiati, uomini manifatturieri e commerciali, infine una plebe affaticata nelle vili opere manuali. I primi, specialmente dopo la legge (1) di Corrado il Salico, che regolò le successione de' feudi, e stabili il dominio privato delle terre, ove prima non era che un potere politico personale, e l'altra di Lotario III. che (2) proibiva aí minori vassalli l'alienazione libera de' feudi, rappresentavano l'immobilità territoriale, gl'istinti tradizionali dell'occupazione bellica ; come ne abbiamo vestigi sin nelle appellazioni prediali passate in uso volgare, in quelle parole, notate anche dal Vico, podere, presa di terra ec.; le quali si risentono del diritto della forza esercitato dagl'invasori; i secondi rappresentavano l'interesse della migliorazione e sicurezza della campagna, della permutazione e vendita libera de' terreni, della dilatazione del contado immune da privilegi territoriali; gli altri la previdenza industriale e commerciale, il bisogno della lealtà, del credito, della sicurezza ed economia de' trasporti; l'ultima infine era l'erede della schiavitù francheggiata ma non provvista, rappresentante il bisogno del lavoro indipendente e libero. I nobili coi loro istinti personali, colla loro fiera e guerresca educazione, col dispregio d'ogni arte che non fosse la guerra, colle loro tradizioni estranie e nimiche, coi loro privilegi ed esazioni feudali, formavano, per così dire, tanti pnnti d'intoppo allo svolgimento economico della società. I liberi proprietarii e gl'industriali coi loro interessi ed aspettative agricole e commerciali, formavano propriamente l'elemento dell'affinità comunale, il primo germe dell'ordine, e del progresso civile. Da ciò vediamo impegnarsi una duplice guerra della comune contro i castelli della nobiltà rurale, da' quali spesso uscivano ma

(1) In fine del Cod. Giust. Consuetudines feudorum: lib. I.
(2) Lib. Feudorum: lib. II. tit. 52. De prohibita Feudi alienatione.

snade d'uomini d'arme a saccheggiare i contadi (1), e contro i nobili, che s'era messi in casa, pei loro cattivi portamenti verso i popolani, e tra sè medesimi, e pel tentare che facevan continuo di pigliarsi un esclusivo potere. Da ciò ancora læ tendenza delle comuni a favorire le prerogative della chiesa contro l'imperio, centro e nutrimento de' diritti e pretese feudali, e la loro generale affezione al guelfismo, se non in quanto ne deviavano, per invidie ed emulazioni, che eran sovente tra loro, e per accidentale convenienza de' loro interessi coll'interesse che aveano gl'imperadori a dislegarle, e farsene alcune amiche per poter meglio tenere in soggezione le altre, come seguì di Pavia e di Pisa amiche all'impero, perchè nimiche l'una a Milano, l'altra a Firenze. Questo movimento economico della comune portava naturalmente seco lo svolgimento relativo d'altri bisogni; il bisogno cioè di un regolamento formulato e stabile de' conquistati diritti, ed ecco compilarsi statuti in ogni città, ecco risorgere lo studio del diritto civile romano, per provvedere con positive autorità in que' casi, a' quali la scarsa ragione de' tempi non soccorreva; il bisogno di una garanzia politica contro gli attentati del privilegio, ed ecco coi consigli, coi priori, coi potestà, colle milizie cittadine fondamentarsi la comune; il bisogno infine di conservare con segni stabili e noti a ciascuno, e comunicare ai nepoti i propri sentimenti, la memoria cara delle virtù cittadine, gli affetti religiosi e sociali, ed ecco elevarsi a lingua scritta la lingua volgare ecco rinnovarsi si ne' concetti che nelle forme un'arte (2) e una poesia tutta religiosa, tutta patria, tutta italiana. E parmi sia da notare, come interessante per la storia razionale dell' umanità, questo fatto che la ricostruzione della libertà civile nella comune fu accompagnata dall'assunzione della lingua volgare a dignità di lingua scritta. Noi veggiamo che in molte comuni, e in Firenze più che altrove, gli storici delle cose patrie hanno raccomandato alla lingua del popolo la memoria e i giudizi delle buone o ree operazioni de' loro concittadini, e che e' sono pieni di civile bontà, e semplici e proprii di modi come innocenti d'animo. E di questo interessante passaggio della lingua volgare a lingua scritta, e della sua, quasi direi, virginale bellezza, dobbiamo saperne grado principalmente ai monaci e asceti popolari, i quali usarono quella per comunicare alle grosse menti del popolo la morale cristiana, colla predi

(1) Negli anni di Cristo 1125 i fiorentini puosono l'assedio alla Rocca di Fiesole, che ancora era molto forte, e teneanla certi gentiluomini cittadini di Fiesole, i quali vi teneano masnadieri, o sbanditi, che alcuna volta faceano danno alla strada, e ruberie nel contado di Firenze... Malaspini cap. 77. col. 954. apud Murat. Tom. VIII. e al capo 60. col. 924, an. 1107 avea detto “che la città di Firenze essendo molto avanzata, volendo i fiorentini lor contado distendere, ordinarono, che qualunque castello, o fortezza non ubbidisse, di fargli guerra..

(2) Il Ghiberti disse di Giotto "lasciò la rozzezza de' greci, rimutò l'arte del dipingere di greco in latino, e ridusse al moderno. Vedi Rio Della poesia cristiana nelle sue forme

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cazione, e con que' loro semplici scritti procedenti per staccati esempi e precetti, quali si convenivano a menti rozze, che si piacciono de' particolari; e a questo santo fine posero diligente cura nel ripulire i dialetti, come ognuno potrà riconoscere per poco che attenda ai primi testi classici, che sono appunto opere di religiosi. Di che la nostra lingua, nelle sue prime produzioni, fu eminentemente casta e civile, quale si vede ne' primi trecentisti ascetici e storici, e nel sublime viaggio che ella fa sino alle più alte forme religiose, filosofiche e politiche nella divina commedia; e se vestì poi maniere più pesanti, e sensuali, ciò fu più tardi, quando l'epicureismo fiorentino, aiutato dal classicismo pagano, produsse al mondo la sua parola. Chi studia nelle cronache questi primi tempi della restaurazione comunale, rimane preso, non solo dalla spontaneità e proprietà con cui sono dettate esse storie, ma da certa pura ed ingenua aria di bontà, che tra i fieri abbattimenti indispensabili in un'epoca di crisi sociale, traspare ad ogni momento tra' costumi di que' cittadini di buona fede e leali, come li chiama Giovanni Villani, quando

Firenze dentro dalla cerchia antica

Viveva in pace sobria e pudica.

Se, per esempio, un comune volea combattere una gente vicina, la martineļļa suonava continuo un mese innanzi, perchè il nemico avesse comodità di provvedere alla propria difesa (1). L'una città si prestava con fede e con amore alle necessità dell'altra, e quando tutta Pisa uscì a portar guerra all'Isola di Maiorica, li fiorentini, a inchiesta de' cittadini di quella repubblica, guardarono le donne pisane, rimase sole con vecchi e fanciulli nel paese, con tale scrupulosa esservanza, che ne fu condannato a morte un cittadino, per non aver badato alla legge, che s'erano imposta di non entrar quelle mura, custoditrici delle vergini e delle spose dell' amica città (2). Ma come erano leali nature, erano anche passionate e irascibili; si movean guerra per un nonnulla, si faceano grosse beffe e villanie (3); erano prosuntuosi, facili a gonfiarsi per poco, pieni di borie municipali; proni a farsi giustizia di privato arbitrio, estimanti le ingiurie con impeto di vive e grossolane fantasie, vogliosi di vendetta, come n'abbiamo esempio in quella che si prese Messer Bertacca de' Cancellicri di Pistoja sul feritore del figliuolo, che fu poi l'origine delle fazioni de' Bianchi e Neri; era insomma l'umanità nella sua adolescenza, quando la razionale

(1) ....... tanta virtù era allora in quelli uomini, e con tanta generosità d'animo si governavano, che dove oggi l'assaltare il nemico improvvisto si reputa generoso atto e prudente, allora vituperoso e fallace si reputava. Macehiav. lib. II. p. 70.

(2) Ricord. Malasp. cap. 70. col. 933-34. Apud Murat. tom. VIII.

(5) E negli anni di Cristo mille ducento trenta quattro i fiorentini feciono grande oste a Siena, ed assediarono Siena dalle tre parti, e con molto edificio vi gittarono entro pietre assai, e per più dispetto vi manganarono entro asini, e molta bruttura. Ricord. Malasp. cap. 120. col. 956. apud Murat.

natura non si mostra, per così dire, che a baleni tra la salvatichezza delle passioni. E come nell' uomo individuo l'abbandonarsi sbrigliato degli affetti, e le violente alterazioni del cuore sono rattemperate dalle reazioni morali, dal bisogno di pace con se medesimi, da que' miti sentimenti dell'anima, che si presentano sotto le forme di pentimento, di amore di riordinarsi a morale armonia, così nella società si riproducono più distesamente i medesimi fenomeni, vi si vede la medesima lotta tra il bene e il male, e una aspirazione continua dell'umanità all'ideale della ragione e del sentimento. Nè altrimenti si spiegherebbero certi spontanei affratellamenti di natura umana avvenuti nel medio-evo tra lo scompiglio medesimo delle battaglie e il furore della guerra civile: quel subito e inopinato commuoversi, per esempio, di tutte le genti toscane a religiose e caritatevoli espansioni, che seguì nel luglio dell' anno 1311 (1); quel passare dalle vendette e dagli odii a un mutuo cercarsi tra nemici, a un abbracciarsi pietoso, a un caldo pregarsi dal cielo il perdono d'ire e di falli, che dopo poco avrebber ripreso lor seggio ne'cuori. Là, in que' tempi, tra il predominio della forza, rieccitata ad ogni ora da dolorose scosse di materiali interessi, esce fuori la provvidenziale influenza del cristianesimo. Credete voi, che senza una religione, la quale, non arrestata da qualsiasi inviluppo di condizioni sociali, va diritto a cercar l'uomo morale e, giunta a quella cima, lo conduce a rivolgersi sopra i suoi rapporti esteriori e le sue allusioni, e gliene fa fare la stima che meritano, che si piega benignamente a tutte le fortune, ascende al castello feudale, penetra il tugurio del povero per trarne fuori e celebrare l'uguale natura umana, credete voi, dico, che senza una così fatta religione i forti e i deboli, i padroni e gli schiavi, i vincitori e i vinti si sarebbero mai composti insieme per far risorgere dalla dissoluzione morale dell'antico mondo la vita feconda del nuovo? E qui ne corre il pensiero a quelle diverse famiglie di Benedettini che, guidate da un'avventuroso istinto di solitudine, si mettevano ne' luoghi deserti e mal sani e vi portavan la vita e la salubrità, si frapponevano tra' castelli feudali e le serve popolazioni e vi destavano la carità e, dandosi ai miti studi dell'agricoltura ringiovanivano le terre, e alla vita interiore ridonavano esca e fomento, tramandando ai posteri il pensiero filosofico dell' antichità rinfrancato dal cristianesimo. E anche ne vengono a mente que' fraticelli umiliati che nel XIII secolo, promovendo nelle città italiane i lanificii e le altre manifatture, davano al lovoro un valor morale che l'antico mondo mai non ebbe in sua ragione, e che fu un gentile e fecondo pensiero della cristiana società.

Ma a fronte della pia missione del cristianesimo, che facendo lor giusta parte alle due nature unite nell' uomo, si conforma al senso comune di tutta l'umanità, ed ha in se una maravigliosa confacenza sociale, come osservarono anche i politici, molte opinioni esorbitanti nel medio-evo levarono alta la testa.

(1) Vedi il diario sincrono di Giovanni di Lemmo, riportato dal Lami Deliciae eruditorum, tom. VIII. p. 91.

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