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sero alla storia, nel ravvicinamento, nella comparazione di tutte le scienze fra loro. Esse per via diretta od indiretta le dieder la mano, e da tutte qualche importante conseguenza si derivò nella meditazione della storia antica, nella osservazione della moderna. Pochi cenni ne abbiam fatto sul proemio, e mano mano che l'opportunità si presenti ne verrem discorrendo. Per ora non fa mestieri trattenersi in troppo lunghe considerazioni.

Il mio ragionamento avvicinandosi al fine è costretto toccare un fatto poco gradevole agli italiani; ma è una verità, e da questa non fia mai che ne allontani l'amor della patria. Il Vico ed il Muratori, misero i semi della filosofia storica, e della storia positiva presso i moderni. Quei semi tardarono indiscretamente il frutto, colpa del tempo che forse a quelle dottrine non era ancora maturo: è corso più che un secolo dalla pubblicazione della scienza nuova, e gli scriptores rerum italicarum vedevano quasi medesimamente la luce; ma son troppo pochi anni che gli studi storici han progredito così largamente in Europa e particolarmente in Italia. Chi avrebbe predetto che la patria del Vico sarebbe l'ultima a comprenderne la sapienza? Nel rinnovamento degli studi storici la Germania, l'Inghilterra, la Francia ci ha preceduti. A non dire di mille pubblicazioni, quei regni videro storie romane scritte secondo i dettami della scienza moderna, mentre l' Italia desidera ancora il medesimo da qualche suo figlio. Di questa maledizione fu causa principalissima una scuola perduta, la quale per venti anni almeno bamboleggiando, e snervando l'energia delle menti tenne la gioventù italiana a disputare del romanticismo e del classicismo, del dizionario della crusca e della proprietà delle parole. Quindi non si videro per molti anni, salvo pochissime eccezioni, che sonetti, anacreontiche, capitoli, epigrafi, biografie, polemiche, lettere, raccolte, carmi, ed altrettali inezie che, per fortuna del temche le produce, non passano alla posterità. Ma giunse pure

po

la volta che gli italiani risensassero e, sdegnandosi al tempo perduto ed ai progressi degli oltremontani, con tutta la lena a questi più utili studi rivolgessero l'animo. Per buona sorte la tempera degli ingegni italiani (e qui l'amor di patria non fa velo al giudizio) e la loro svegliatezza è cotanta che in poco d'ora è certissimo che si lascieranno indietro quanti son gli stranieri i quali dicono, impunemente fin quì, che non siamo contemporanei del secolo XIX. Ora tutta Italia è dedicata alla storia; e ne fan prova, non foss'altro, le molteplici pubblicazioni istoriche, per lo più importantissime, che tuttodi si succedono in ogni parte della penisola senza eccezione; a tale che riguardando ai soli documenti, una nuova collezione di scrittori italiani, già per lo meno raddoppierebbe la raccolta del Muratori. Le società storiche pubbliche e private si moltiplicano ogni giorno in ogni città, ed in esse non è gara che di utilità; e generalmente può dirsi che in cosiffatti studi l'Italia fe' tanto progresso da essere non solo al livello delle nominate nazioni, ma da avanzarle. Delle opere originali più recenti noi ci proponiamo tratto tratto discorrere, e perciò qui non ne facciamo motto che generalmente, contentandoci di avvisare come un dotto nostro amico, che ne ha promesso la sua cooperazione in questo giornale, sia ben oltre nel dettare una nuova storia romana che compenserà, speriamo, la troppo lunga mancanza.

Nelle trattazioni storiche, daremo le nostre prime cure alla storia del medio evo, incominciando da quella del signor Troya. Poco monta l'aver contro noi gente che appella stupido e scapestrato il medio evo; lo abbiamo detto nel proemio, non ci spaventano i nomi, ma le ragioni. Se così non fosse, il sapere che Carlo Botta tenne quella sentenza, e stimava che niuno se ne dovesse occupare, quasi, come egli pensava, lo studio del medio evo stesse nelle leggendacce e cronicacce delle quali discorre, dovrebbe bastare a tenerci da ciò. Non parlo degli altri, al ragionamento de' quali io col poco inANN. I.

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gegno non giungo, perciocchè non mi riesce comprendere come nella storia si possa lasciare inosservato un periodo di secoli.

ACHILLE GENNARELLI.

DI UN DIARIO D'EMMANUELE FILIBERTO DUCA DI SAVOIA

SCRITTO DA LUI Medesimo.

Emmanuele Filiberto duca di Savoia, principe nell'arti di guerra e di pace famosissimo, e massimo forse tra i capitani dell'età sua, ebbe, come Cesare, vaghezza di tenere giornalmente un commentario delle cose da lui operate. E nelle guerre che in nome di Carlo V combattè contra Francia di cui si prodigiosamente seppe abbassar la fortuna, notò in modo sommario, e in lingua spagnuola i fatti di cui voleva serbar memoria. Non erano questi ricordi che la materia prima di cui intendeva valersi per tessere poscia i suoi commentarii; e qua e là si vede cenno di cose dimenticate che poi si dovean supplire, e di cose appena indicate di cui si parlerebbe nel dar forma a quelle memorie assai più distesamente. Qualunque ne sia stata la causa Emmanuel Filiberto non incarnò mai questo suo disegno, e quei ricordi gettati a furia sopra la carta sono ora il solo monumento dell'intenzione che ebbe di scrivere la propria storia. Nondimeno quali sono non tralasciano d'avere qualche interesse storico, ed utili possono riuscire a chi pigliasse a raccontare con qualche larghezza i successi di quella guerra, a cui si rannodavano le sorti d'Italia, e per essa e con essa quelle di mezza Europa.

Affinchè i nostri lettori sieno in grado di recarne giudicio noi ne tradurremo in italiano di parola in parola alcuni articoli, scelti a caso.

Luglio XV. 1555 a Namur.

Mi sono alzato alle quattro, ed ho trattato con Beugnicorte e coi commissarii delle vettovaglie dell'affar dei prevosti; si fece un progetto del modo con cui s'aveano da governare e riscuotere i dritti, cosa giusta. Dopo vennero gli auditori ad informarmi dell'occorrente rispetto al loro ufficio (qui si può parlare di colui che uccise un uomo difendendosi, e della spia doppia). Fui al Lugar a dar conto a S. M. di ciò che recava e diceva un ussero fatto prigione dai soldati di S. Martino, il quale confermava il detto dagli altri se non in quanto affermava che avean lasciato due bandiere a Denan sinchè si fossero vettovagliati, e che dopo intendevano d'abbandonarlo. Ancora diceva che gli Svizzeri costavano al Re quarantamila scudi al mese. Pregai S. M. di dirmi se le bandiere di Megua doveano prendere stanza al Lugar, come avea comandato il giorno prima. Rispose di no, fino a vedere ciò che farebbero i nemici, e che non si mandino questa notte se non le due bandiere di solita guardia. Ancora parve a S. M. di non far cambiamento finchè si vedesse ciò che farebbe il nemico, in conformità di ciò che si risolvette jeri, regolandosi in conseguenza. È un ora, e non si ha maggior notizia del nemico che stamattina (La notte scorsa non andai al Lugar per non andarvi con don Fernando).

Agosto Xa Tilers.

Fui la mattina a riconoscere un molto buon sito per accamparsi; e però tornai al campo a dirlo a S. M. la quale ordinò che si partisse tosto. Fummo in quel luogo di cui non so il nome. Arrivato appena andai a riconoscere per ordine di S. M. un altro alloggiamento vicino a Teroana e trovai buon apparecchio. I nemici stavan già sopra Renti, e quelli della terra rispondevano gagliardamente.

XI.

Giunsi qui e tutt'oggi si è sentito battagliare a Renti. Appena giunto andai subito a riconoscere un altro alloggia

mento ad una lega e mezza da Renti, che trovammo buono ed il cammino buono da poter marciare in battaglia. Perciò si determinò di partir la mattina.

XIV.

Don Fernando e Aremberg cercavano di persuadere a S.M. che si ritirasse, e la cosa era tanto avanti che già si consultava se dovea farlo di giorno o di notte. Se non fossimo stati Antonio Doria ed io l'imperatore si ritirava e si contaminava del maggior disonore che mai uom ricevesse. Fui a dormire alla trincera.

XV.

Alla mattina mi vennero a dire come i nemici se n'andavano. Fui a vedere e trovai ch'era vero. Li insegui S. M. con tutta la cavalleria più d'una lega, ma non potè danneggiarli perchè andavano speditamente. Fu a veder Renty e fece molte carezze a quei di dentro. I nemici camminarono fino alle vicinanze di Montreuil da questa parte dell'acqua.

Ottobre 1555. di Fiandra. Brusella VI.

Ho baciato le mani di S. M. per il carico che mi avea detto il Re che S. M. mi dava di questi paesi; e dopo si tenne consiglio, a cui furono chiamati Eraso, Arras, Viglius, Vasquelz, Myco, la Regina, il Re, sua Maestà (l'imperatore ) ed io; e si trattò del tempo in cui potrebbe esser pronta l'armata, che era di diecissette navi fra cui nove orche, e si risolvette di por trecento uomini per nave, e che si trovassero in punto pe' quattordici del mese venturo.

XV A Brusella

Si esaminarono i debiti che si hanno verso le genti da guerra e verso ai privati, e si trovò che sommano a cinque millioni di fiorini. Non si parlò del modo di soddisfarli. Piaccia a Dio che si trovi.

XXV A Brusella

Rinunció S. M. al figliuolo tutti questi stati, ed essi lo accettarono per Signore (y ellos le acetaron por Senôr ). Vi

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