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Il pensiero filosofico della Grecia fu riassunto dal'e scuole, e v'ebbe guerra d'idee non non meno fiera che d'armi. Sotto le forme del nominalismo e del realismo riproducevansi gli esclusivi sistemi degli antichi materialisti e idealisti; e, fosse per opera delle tradizloni orientali e neoplatoniche comunicate all' occidente dagli Arabi, fosse per piega spontanea della ragione umana, che nella sua tendenza all'unità, e nella superbia di volere spiegare il rapporto tra i due termini estremi della conoscenza l'infinito e il finito, passa di leggieri a confonderli insieme, anche il panteismo (1) s'innestò nel'e idee di que' tempi, e la filosofia si condusse con Almarico, o Amaury, a pron unciare tutte le cose essere una cosa sola, essere Iddio; Iddio essere l'essenza di tutte le creature (2); e con David de Dinant; Iddio essere la materia prima (3). Una tale filosofia, che nelle sue applicazioni sociali veniva a torre di mezzo ogni sorta di distinzioni, non tardò ad incontrare le simpatie di menti ancora preoccupate dai sensi, e alle quali, tra i presenti dolori di una società divisa in oppressori ed oppressi, era dolce cosa il promettersi grande ricchezza di materiali felicità nell'avvenire: ed ecco quel predcarsi da molti il futuro regno del paradiso in sulla terra, quel confondersi de' seguaci di fra Dolcino in una indistinta communione di tutte le cose, non esclusa la donna, che erano appunto altrettante realizzazioni pratiche delle dottrine unitarie; di che la libertà umana, ferita ne' suoi più vivi interessi cordiali e sociali, cioè nella famiglia, nell'individualità dell' amore, nella proprietà, si rivolse a combatterli fieramente, come leggiamo nella storia di fra Dolcino (4): e così veniva a tradursi nel dramma esteriore della società la lotta, già prima lungo tempo agitata dal pensiero, tra l'unità panteistica e la libertà, tra la tradizione pagana e la restaurazione cristiana. Oltrechè, d'altra parte, le forme voluttuose ed epicuree del paganesimo, i raffinamenti de'piaceri e del lusso, e l'egoismo sensuale passavano, colla cresciuta industria e co' rinnovati studii del classicismo grecolatino nelle corti degl' imperadori e de' reali di Napoli, nelle case de' ricchi signori e mercatanti delle città, e chi ritorni col pensiero in Firenze prostituita d'intorno ai dorati palagi di Cosimo de' Medici, vedrà di que' semi qual frutto ella mietesse.

Io ho sino a qui toccati alcuni capi sì di storia esteriore e politica, che di storia interiore, senza prosunzione di delineare il quadro intiero degli studii da farsi, ma solo per avvalorare sempre più quel pensiero oramai accettato dalla opinione colta degl' italiani, che per comprendere bene ne' fatti umani ciò che si manifesta al di fuori bisogna penetrare il magistrato di quelle leggi morali, che

(1) Vedi Rousselot "Etudes sur la philosophie dans le Moyen-age chap. VIII e XII.

(2) Sic dixit omnia esse unum et omnia esse Deum. Dixit enim, Deum esse essentiam omnium creaturarum. “ Apud Gerson, de Concord. Metaph. cum log. pars IV.

(3) Deum esse materiam primam.

(4) Apud Murat. vol VIII.

agli occhi non si rivelano. Io non penso che sia da porre in obblio quella faccia della storia, che s'informa e riscalda nello spettacolo visibile delle azioni; credo anzi che ne' suoi rapporti morali ed attivi sul più dei lettori, la storia abbia da parlar loro coi monumenti, cogli usi e costumi domestici, cogli atti passionati e magnanimi, colla vista del valore civile o guerriero de'nostri avi. So e sento anch'io quali simpatie e quali fiamme destino nel cuore anche i più minuti racconti delle pie e generose opere de' trapassati, di tanti uomini, che ne' sacrifici fatti, più che di se medesimi, si mostrarono pensosi de' loro fratelli e dell' avvenire dell' umanità. Ma la storia non è fatta solo pei più, e in ogni modo anche la storia estetica, non potra mai esporsi ne'suoi veri aspetti, se la sua parola non venga animata da più profondi principii.

AURELIO SAFFI

LETTERATURA

PERMUTAZIONI DELLA POESIA

Art. II. *

Poesia degli Orientali.

L'amore delle arti imitatrici, il desiderio delle grandi emozioni, la vaghezza dell'ordine, del moto, del numero e di quel tanto che i Greci significavano col nome di pulμоñola, è così congenita all'uomo che più facilmente si ritroverà un popolo sprovveduto di villerecci strumenti che del ritmo e dell'armonia. Il perchè quando Platone statuiva doversi sbandeggiare dalla sua repubblica la poesia, non pensava conforme a sapienza: doveva si procacciare di sbarbarne gli abusi e di ricondurla a' suoi nobilissimi offict, non già interdirne l'uso e lo apprendimento: chè quando pure fosse venuta a luce cosiffatta repubblica, non ostante il bando universale, sarebbero dal seno di lei pullulati e cantori e poeti.

* Vedi l'art. 1. Sagg. n. III. pag. 90.

Egli è vero che Dione Crisostomo in quella orazione che Iliaca intitolò, ci narra avergli attestato un sacerdote egiziano della prefettura d'Onufite che in Egitto non era lecita alcuna ragione di poesia, come quella che adescando col piacere gli orecchi insinuava all'animo il veleno della mollezza: ma questo o fu veracemente narrato a Dione o il finse egli stesso: se la prima cosa, quel sacerdote ignorava la storia di sua patria, se la seconda, la ignorava e con minore disdoro, Dione. Dunque tutti i popoli e più sovente i meno inciviliti amarono il regolato movimento della voce e delle membra, ciò è dire la danza e la musica, e tutti o presso l'ara della divinità, dopo il conseguimento delle spoglie nemiche abbigliarono o con la danza e con la musica le poetiche composizioni. Io non parlerò della poesia d'Israele compresa nei libri canonici, poesia che quantunque non si lontani dalla indole de' poemi orientali, si deriva meno dalle naturali potenze che dalla sapienza celeste, la quale secondava le forze della umana fantasia, e si attemperava alle forme dell'idioma aramèo. Tengo obbligazione di favellarne altrove alla distesa. Dal libro de' Numeri (1) si manifesta che gli Amorrei coltivavano la poesia: Mosè riferisce un cantico popolare per la conquista di Escbon città moabitica, fatta da Scheon principe Amorréo, epinicio che si dee tenere il più antico monumento di profana poesia che sia pervenuto a nostra memoria. Ezechiele (2) minaccia in nome di Dio a cittadini di Tiro che loro saranno tolte le canzoni e le cetere: e Isaia (3) invita le delicate femmine che in quello emporio di oriente facevano copia di sè, a correre le vie della città cantando e toccando la cetera: dal che argomenta l'erudito Fleury (4) che la poesia fiorisse molto tra Fenici;e un monumento prezioso consegna

(1) Cap. XXI. v. 27.

(2) Cap. XXVI v. 13.

(3) Cap. XXIII v. 16.

(1) Exercit. in u rivers. pɔesim. ANN. I.

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to a scrittura romana ma nell'idioma nativo ne abbiamo nel Poenulus di Plauto. Giuliano caldeo voltò in greca favella non isciolta ma legata i libri di Zoroastro: dal che Francesco Patrizi (1) congettura che quel famoso mitografo e legislatore li dettasse in sermone poetico, non già prosaico. Degli egizi attesta Platone (2) che sino da remota età professavano la musica, col quale vocabolo il sublime filosofo comprende ancora la poesia, e poco stante rammemora i poemi d'Iside sorella e moglie di Osiride. Diodoro ci racconta che costui dilettavasi, oltre ogni estimazione, de' cori e delle armonie e che voleva compagne delle sue militari espedizioni alcune vergini erudite e del cantare spertissime: ed Ermete nel libro che intitolò vergine o pupilla del mondo (chè l'uno e l'altro significa la voce zopn ne accerta che tale Asclepio fu tenuto in Egitto rinnovatore della poesia. Le quali cose, benchè si volessero connumerare alle novelle falsate, pure alcun vero comprenderebbero, ciò è dire che l'arte del metro e del canto non fosse sconosciuta del tutto su le rive del Nilo, come narrava quel sacerdote egiziano, o favoleggiava Dione. Ma qual fosse la indole e forma della poesia degli egizi, de' cananei, de' fenici, e degli etruschi, chi può mai statuire? Per l'una parte poco ne favellarono gli antichi scrittori di storia o civile o letteraria, greci la più parte, e però studiosissimi di menomare o tacere la gloria di ogni nazione straniera per magnificare le geste e lo ingegno della propria: per l'altra monumenti del loro valore poetico non pervennero a' nostri tempi, e benchè fossero pervenuti, non potrebbero riuscire di gran pro, quanto al conoscere lo spirito e la forma di quell'antica poesia, per la immensa e alcuna volta non superabile difficoltà dello interpretarne il dettato. Tre poemi soltanto ne abbiamo, il cantico degli Amorrei, il frammento fenicio (4) Art poet. lib. 1.

(2) Delle legi lib. II.

nel Poenulus di Plauto, che dal Bochart fu restituito nella lingua ebrea così somigliante alla fenicia, come un dialetto provinciale alla lingua comune, e un orzio (1) etrusco interpretato, come si potea meglio nella incerta notizia di quello idioma, da Giambatista Passeri e volgarizzato da Saverio Mattei. Per quanto si può conoscere da questi rilievi, mi pare che la poesia orientale offerisca non lievi tracce di somiglianza e di affinità con la ebraica, ritrovandosi nell'una quella incantevole semplicità e variata ripetizione di pensieri e audacia di traslati che nell'altra come in nativa sede, dimora e riluce. Così nel frammento fenicio « ci aveva un >> cotale a me noto, ma n'andò alla congregazione di coloro >> che abitano le tenebre » cioè mori: espressione somigliantissima a quella de' Salmi « siedono nelle tenebre e nell'ombra della morte » e a quella del Genesi « fu giunto al popolo suo ». Ancora in un sarcofago della famiglia Volunnia, conforme alla nuova interpretazione del Betham (2) la tomba o la vita ventura è detta la casa di tutti. « Le lamentazioni » delle donne furono udite quando egli entrò nella casa di » tutti ». E nell'epinicio degli Amorrei è detto « il fuoco usci di Esebon, la fiamma dal castello di Scheon >> tautologia ne' salmi e nè vaticini usitatissima.

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PAOLO MAZIO.

NUOVI FRAMMENTI DI POETI LATINI DEL SECOLO D'AUGUSTO.

È noto a qual pensiero amministrativo e letterario insieme il sig. Villemain abbia conformato il suo progetto, divenuto poi ordinanza reale, di far pubblicare, mediante una commissione diretta da' membri dell' Istituto, un catalogo

(4) Componimento notabile per intensità di metro e altezza di canto da oplos diritto, rilevato

(2) Etruria celtica.

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