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IL SAGGIATORE GIORNALE ROMANO NUM. 12.

STORIA

DI UN DOCUMENTO CHE RIGUARDA LA RINUNZIA DI CARLO V.

ALL'IMPERO; TRATTO DALL' ARCHIVIO COLONNA.

Fu avvenimento memorabile nel sedicesimo secolo l'inaspettata rinunzia che dei suoi regni fece Carlo V. imperatore, ritiratosi dalle grandezze del mondo in un chiostro fra i confini della Castiglia e del Portogallo per dedicare a Dio la vita che gli rimaneva. Fu nel dì 25 ottobre del 1555 che nella città di Bruselles alla presenza degli Stati e degli ordini rassegnò a don Filippo suo figlio i Paesi Bassi e la Borgogna: la ceremonia trasse a tutti gli astanti le lacrime << Rinunciò sua Maestà (così Emmanuele Filiberto di Savoia lasciato al governo di quelle provincie dal Re Filippo) al figliuolo tutti questi stati ed essi lo accettarono per signore. Vi furono grandi pianti. Domattina giureranno fedeltà nella galleria» (1). Avrebbe forse in quel giorno medesimo svestito la porpora ed in essa tutte le pompe della terra se non fosse stato ritenuto dal pensiero che lasciava in mezzo a guerre e tumulti il suo figlio. S' affaticò dunque in modo che nel giorno 5 febbraio del 1556 fu conclusa, mediatore il cardinal Polo, una tregua di cinque anni fra esso e suo figlio da una parte, ed Arrigo II. Re di Francia dall' altra, ritenendo ciascuno pacificamente ciò che possedeva nel Piemonte o nella Toscana. L'atto di tregua fu pubblicato dal Du Mont e da altri i quali malamente

(1) Saggiatore, num. I. ANN. I.

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giudicarono che si riferisse all'anno precedente, senza badare, come bene avvertì il Muratori, che il 1555 della data, dovette essere secondo l'anno fiorentino e veneto, terminante nel di 25 di marzo dell' anno seguente. Acconciate così le cose secondo il suo desiderio, nel dì 6 febbraio del mese stesso, Carlo salito nuovamente sul trono ed avendo alla destra Filippo perchè Re d'Inghilterra, alla presenza de' Grandi e di infinita nobiltà rinunziò tutti i regni così del vecchio come del nuovo mondo al medesimo figlio, riserbandosi solamente il titolo di Cesare e l'amministrazion dell' impero. Il quale però nel settembre di quell' anno stesso abbandonò, inviando lo scettro e la corona imperiale al fratel suo Ferdinando I Re de' Romani d'Ungheria e di Boemia, cedendogli ogni suo dritto e pregando gli elettori a confermare la scelta. Questa riserva e questa tardanza parrebbe alquanto strana in chi aveva deliberato di allontanarsi da ogni cura. Gli storici concordemente asseriscono che egli non poteva patire di lasciare al figliuol suo un eredità minore di quella che aveva goduto ei medesimo; e che perciò facesse moltissime prattiche presso il fratello Ferdinando Re de' Romani perchè si contentasse di rinunziare ai diritti che aveva sul Impero. Ma avendoglielo Ferdinando ricusato più volte, non disperò che mutasse proposito, e così nella rinunzia del 6 febbraio ritenne ancora l'Impero; finchè fallita dopo qualche mese ogni lusinga, si accomodò alle circostanze (1). Una relazione però del vescovo Delfino esistente fra gli innumerevoli documenti storici dell' archivio Colonna, viene a spiegare diversamente la cosa; e tacendo affatto di questo desiderio di Carlo V, vi aggiunge che l'indugio non venne da lui, ma bensì dal suo successore., Il quale stimava che quel monarca fosse la forza dell' Impero, rimossa la

(1) Robertson, vita di Carlo V all'anno 1556: cita le Ambassades de Noailles, tom. V. p. 356. - Pfeffel, nel ristretto cronologico dell'istoria e dritto pubblico d'Alemagna,

quale tutto sarebbe stato sconvolto. E che quindi fece moltissime prattiche perchè non si venisse a quel passo; con che altro non ottenne che il ritardare il fine alcuni mesi. Pare anzi da questo documento che fin dall' anno antecedente l'imperatore avesse messo il campo di ritirarsi dagli affari pregando il fratello a prendere in luogo suo nell' Impero. Ma di ciò meglio giudicheranno i lettori leggendo la relazione.

Sulla quale però è mestieri fermarsi per alcune considerazioni. Il suo autore è sicuramente Zaccaria Delfino il quale, per testimonianza del Ciacconio, era sotto Paolo IV Pharensis episcopus, e distintissimo per la sua eloquenza e per la svegliatezza dell'ingegno. Fu più volte nunzio in Germania appresso Ferdinando e Massimiliano suo figlio, e massimamente occupato dalla corte romana nelle trattative religiose. Pio IV lo creò cardinale, e non rimise mai della sua attività nelle più difficili circostanze della chiesa. Mori non giovane e fu sepolto nel tempio di s. Maria sopra Minerva.

La relazione è indirizzata al card. Carlo Caraffa nipote di Paolo IV e si deve all' ignoranza dell' annotatore la memoria appostavi, cioè che fosse diretta a Paolo IV ancora cardinale, poichè, come sa ciascuno, Giovan Pietro Caraffa fu assunto al Pontificato il giorno 23 di maggio 1555, vale a dire 16 mesi prima della rinunzia di Carlo. Così alla inesattezza dell' amanuense debbe riferirsi l'errore nelle date dei recessi.

Era già noto che Paolo IV ricusò di approvare la rinunzia si gran dignità, perchè fatta senza sua espressa licenza; e che perciò Ferdinando non fu universalmente riconosciuto imperatore che nel 1558. Non è quindi meraviglia che su questo punto il relatore serbi il più perfetto silenzio, dilungandosi solamente sulle cause che produssero per parte di Carlo V l'abdicazione del soglio, e per parte di Ferdinando l'incertezza e la difficoltà dell' accettazione.

Dopo queste avvertenze recitando il documento quale è lascerò che i lettori ne pesino il valore, e cerchino fin dove se ne può giovare la storia.

ACHILLE GENNARELLI

Informatione del Vescovo Delfino data al Cardinal Caraffa (1) per la rinunzia che uoleva fare Carlo V. dell'Imperio.

La presente scrittura è solo per informare V. S. Illma di quanto è venuto a notitia sopra il fatto, così della cessione dell' Imperio, co→ me sopra li tre recessi, cioè Passauia del 52 (2), Augusta del 55 (3), Ratisbona del 57 (4), et l'ultimo colloquio fatto in Vuormatia, conforme a quanto V. S. Illma si è degnata di commandarmi, ma hauendo a cominciare della cessione dell' Imperio voglio prima riverentemente haver detto, che per cosa, che qui sia narrata da me circa al fatto, io non intendo pregiudicar punto alla mia prima opinione detta et inculcata tante volte; idest quod Carolus Quintus nulla ratione poterat se abdicare Imperio, sine scitu Smi D. N. Papae quodque omnia ea, quae in francorfordiense Conventu, hoc super negocio inscia sua sanctitate acta sunt inita, nulliusque ualoris ueri censeri debêt.

Doppo la ribellione, la qual fece il Duca Mauritio di Casa Sassonia alla Mtà dell' Imperatore Carlo V, restò quella Mtà cosi mal sodisfatta degli umori, andamanti et trame della Germania, che non poteva più veder huomini Todeschi, nè veder negotio alcuno dell' Imperio. Per questo adunque, et per la crescente sua indispositione deliberò di non voler essere più Imperatore, onde scrisse, credesi, l'anno del 55 al Sermo Ferdinando, ch' egli non voleva saper più cosa alcuna, ne di Diete, nè d'altri negotij di Germania et che intendeva rinuntiare quel carico, rispose S. M, Regia esortando et pregando, che

(1) L'amanuense vi ha aggiunto con manifesto errore le parole « che fu poi Paolo IV.

(2) Il documento per errore legge 35, mentre è certissimo che il trattato fra Maurizio di Sassonia e l'imperatore fu concluso il giorno 2 agoslo 1552 in Passavia.

(3) La relazione mette 15 pure con equivoco, perchè la conclusione di quella dieta fu nel 25 settembre 1555.

(4) Anche qui vi è errore poichè nel 1557 non vi fu dieta a Ratisbona, ma bensì nel 1556 per la guerra contro i turchi, e nel 1558 per ricevere gli ambasciatori di Carlo V e riconoscere imperatore Ferdinando. È molto probabile che il Delfino parli di quest'ultima perchè più analoga alla materia. Se ciò fosse vero avremmo una data approssimativa della sua relazione,

S. M. Ces. pensasse ad ogni altra cosa, perchè come ella rifiutava qual sivoglia fatica nell' Imperio absente S. M. Ces. per amor, et riverenza di quella, così conosceva, ch'all' Imperio (1) era gran freno solo il nome di Carlo V. et che per amor di Dio ella rimanesse da tal pensiero. Continuò l'Imperatore nella sua opinione, et scrisse assolutamente, di voler così, tanto più che pensava di lasciar ogni cura mondana, et ritrarsi solo per vivere a Christo in Spagna. Ferdinando, che vedeva importar troppo all' Imperio et a tutti li regni, et stati di casa d'Austria, la perdita di sì gran personaggio, S. M. Regia, per provare di rimovere la Cesarea da questo pensiero, defiberò di mandare il Sermo suo secondogenito Ferdinando Arciduca d'Austria ad essa Mtà Ces. a pregarla, et con varie ragioni persuaderla, che si levasse da questa opinione; et finita dell'anno del 55 la Dieta di Augusta, andò S. M. Regia ad Ispruch onde chiamò di Boemia l'Arciduca pred. et mandollo all' Imperadore, sperando pur, ch' egli havesse a mutarsi. Ritornò l'Arciduca con risposta, che l'Imperatore voleva così, et ch'era impossibile del contrario. Hora contento il Sermo Re Ferdinando di questi offizij deliberò mandar il primo genito suo Re di Boemia insieme con la figliuola di S. M. Ces. moglie del d. Sermo Re per veder se fusse possibile toglierla da questo proponimento: andorono quelle Mtà et parlarono indarno, perchè l'Imperatore già si apprestava di passare in Spagna, et concluse, che lasciarebbe mandato a cedere tutto quello, che egli haveva, come Imperatore ad esso Ferdinando.

Passò finalmente Carlo V in Spagna, nel tempo ch' Italia, Francia et Spagna, erano in arme, et doppo la partita sua, fu sempre pubblica voce, ch' il Principe d'Oranges haveva mandato a consignare il sigillo Imperiale, la Corona, et Scetro al Sermo Re, nè per altro (si come ho intes' io) et salva sempre la verità si differì un tempo l'escguire questo mandato salvo perchè S. Mtà Regia non poteva patire, che Carlo V lasciasse il nome d'Imperatore, et le cause principali sono queste.

Sapeva il Sermo Ferdinando la malignità et pravità heretica sparsa, et multiplicata in quasi tutti li principi, et stati dell' imperio causar continui mali pensieri, seditioni, tumulti, et voglia d'usurpare quello d'altri, s'avedeva che a queste cose serviva per gran freno la riputatione del nome di Carlo V. conosceva in somma, che nell' Imperio non può essere pace per amore, ma più tosto per timore, il quale dalla persona sua era certa, che malamente poteva nascere, per li continui travagli, che ricevono dalla vicinanza del Turco et per convenire impiegare di

(4) Nel documento si legge Imperatore.

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