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nella sua descrizione dell'antico Tuscolo pag. 46, il quale sedotto dalle molteplici ed antiche memorie dei Furii di quella città ha voluto correggere L. Furius nel testo di Plinio l. VII c. 44 « Est et L. Fulvius inter insignia exempla tusculanorum rebellantium consul, eodemque honore quum transisset, exornatus confestim a populo romano, qui solus eodem anno, quo fuerat hostis, Romae triumphavit ex his quorum consul fuit. » Il che per conseguenza ha dovuto poi fare a pag. 50 anche nell'altro luogo di Cicerone pro Plancio cap. 8 « Num quando vides tusculanum aliquem... de tot Fulviis gloriari. » Ma l'inopportunità di quella correzzione vien dimostrata da un terzo passo dello stesso Tullio il quale non ammette mutazione, e che trovasi nella Filippica III, c. 6. ove rinfaccia a M. Antonio di avere per moglie una tusculana. Ora chi non sa che la moglie di M. Antonio non fu già una Furia ma Fulvia figlia di M. Fulvio Bambalione? Perlochè io sono del parere del Perizonio, che il detto Fulvio di Plinio sia il L. Fulvio Curro console del 432 da cui provennero i tanti consoli delle case dei Centonali dei Flacchi e dei Nobiliori, uno dei quali abbiamo veduto onorato al Tusculo colla lapide sopraccitata. Però se il nostro M. Furio fu tribuno militare converrà bene ammettere che egli fosse insieme cittadino romano, non potendosi nè meno supporre che avesse sotto i suoi ordini un corpo di socii, imperocchè i comandanti di questi non si dissero già tribuni ma prefetti. Ciò per altro non genera intoppo perchè si sa che tutti i tusculani conseguirono la cittadinanza romana poco dopo il 373, quantunque in appresso si rivoltassero più volte, e si sa pure che dopo l'ultimo perdono ottenuto nel 431 restarono fedeli e goderono pacificamente il diritto di dare il loro suffragio nella tribù Papiria. Per la qual cosa, purchè non si tratti della gente patrizia, non m'impegnerei a negare che dal Tusculo possa anche aver dedotto l'origine alcuna delle famiglie plebee che poscia troviamo in Roma con questo nome, quali furono

quelle degli Aculeoni, dei Loschi, dei Brocchi, e de' Crassipedi. Non vi è dunque difficoltà dopo il 431 che il M. Furio della nuova pietra, possa aver conseguito il tribunato militare in una legione romana, e combattendo in alcuna delle guerre contro Pirro, o piuttosto nella prima cartaginese, dalla preda fatta nella Sicilia o nella Magna Grecia possa aver riportato il donario che dedicò nella sua patria.

BARTOLOMEO BORGHESI.

ARCHITETTURA

Di una recente murazione dell'architetto Giovanni Moretti.

Carlo Pieri e Filippo Gazzani, possessori di un fondo urbano in cima alla salita della Panetteria, con rivolto sopra il vicolo dello scalone, per ascendere al pontificio palazzo del Quirinale (dal canto di verso tramontana) han finito pur ora di fabbricarlo col disegno e colle pratiche di Giovanni Moretti, autore di altra architettura, da me lodata, all'arco di Parma.

Ora io ho veduto anche questa casa, e dico che si il suo spartimento dentro, e sì ia sua decorazione fuori mi ha piaciuto pure assai: quello perchè libero di ambienti, in altezza sfogati, in larghezza spaziosi (a misura e proporzione del luogo); con scala al suo posto, non ingrata al salire, ma dolce graziosa e viva di lumi: questa perchè semplicissima, naturale, necessaria. Non parallelismo di piani; non porta di bottega o bugigattolo per entrata; non stanziboli bucherati di vani; non appartamenti sopra cornicione; non finestre spesse, spesse, spesse; non ringhierine a raffi e sgraffi; non mezzadi; non basamento divorantesi la fabbrica superiore; non risalti inutili; non finestre a far capolino; non angoli a penna di saetta, a corna di lumaca, a tu per tu: neppure ornati oziosi, niun cavicchio, niun pasticcio, oibò.

Elevasi la fabbrica sur un zoccolo o muricciuolo (che si livella e confondesi collo spazzo superiore di detta salita) e partesi in tre piani con apertura di sette vani per ogni zona. La porta d'ingresso, colpa il montar della via, non è nel mezzo della facciata; e non vi poteva, e non vi doveva veramente stare a voler cansata una scalèa esterna, per troppi gradi incomoda al transito pubblico, su per quella ascendente via, ma è sita al cantonale superiore, a discender giù pel vicolo dello scalone prefato. Que' piani (in fasce o davanzali continui gli ultimi due, il primo in poggiuolo interrotto) sono digradati in misura decrescenti di sopra dallo zoccolo al cornicion della fabbrica, che è un dentellato alla ionica. L'ornato delle finestre del piano terreno è un ordine di arte con cornice architravata: quello del piano nobile o di mezzo rilieva, di più, in fregi e frontispizi: quello del terzo de' soli stipiti informasi. La porta, rialzata sopra tre scalini, si orla essa pure di stipiti, ed ha finimento di fregio e cimasa. Nel fianco (dissi rivolto della casa), che dà sul vicolo dello Scalone di sopra ricordato, seguitano le medesime linee ei medesimi ordini della facciata, con questo solo divario che i vani non sono ivi che tre per ciaschedun piano.

Questa è la fabbrica a chi la vede di fuori: nella quale, oltre la modinatura, quasi in ogni dove aggraziata e piacente, a me sembra da encomiare soprattutto la quiete della massa, e la ragione delle sue divisioni in misure decrescenti da basso in alto, se è vero, come verissimo è, che le fabbriche non vogliono ingrevirsi alzandosi, ma si bene allegerirsi, conforme insegnano i meglio esempi de' classici nostri, per tacere di quelli degli antichi: e non di meno, in opere moderne, io non vidi mai, o raro vidi, messa ad effetto questa pratica bellissima, e savissima.

Sul medesimo principio, del doversi ingentilire le fabbriche innalzandosi, è qui anche basato l'ornamento recato a nobilitar le finestre. Chè se la distinzion marcata di quello

de' vani del piano nobile in frontispizi, e non nella usata cimaccia a mensole, potesse parere e paresse anzi riprovevole, a qualche miliziano e lodoliano fracido, ah! numi, numi di Montezuma, cosa potrò io mai dire in difesa del Moretti? Metterò io forse innanzi le autorità della Farnesina di Michelangelo a' Baullari, e di altri cento edifizi riputatissimi dalle finestre timpanate? Mai no, no e no, Moretti mio: va e trovati pure miglior difensore di me, chè qui proprio io non ti posso proprio coprire col mio picciolo scudo dai giavelotti che è per iscaricarti sopra la matta falange de' miliziani e lodoliani fracidi!

Ma per non andar soverchio in lungo, tra perchè l'opera non dà materia, e perchè le grandi trombazzate su cose picciole, sogliono movere a sdegno anche gli uomini più discreti e pazienti, mi ristringerò a dire sommariamente... Che il cornicione che regge il tetto della fabbrica è fatto con proporzione della facciata; che i pieni tra finestra e finestra sono grandi; che le fasce a partizione de' piani sotto le finestre non eccedono; ma che la porta d'ingresso avreila voluta più appariscente di linee e di ornato, la parete in bozze, il porger de' frontispizi minore.

Finalmente non vorrò posare la penna, senza augurare e desiderare al Moretti più benigno influsso di amica stella, perchè so (e godo poterlo dire in pubblico) che i signori Pieri e Gazzani si lodano pure un mondo dell'esattezza de' preventivi di lui, e della più ragionevole economia da esso guardata nel ristabilire co' descritti ordini, e colle accennate comodità il loro fondo.

FRANCESCO GASPARONI.

LETTERATURA

Sul Romanzo. Art. I

È indubitato che fra le opere dello ingegno quelle che in questa età ottengono più universalmente lettori sono i romanzi, e ciò in ogni paese, sia dell' Europa, sia dell' America: non è quindi predilezione di un popolo particolare, è indole di tutto il secolo. V'ha chi riguarda ciò come un traviamento una sventura del tempo, e quindi o deride o maledice questo genere di letteratura, spesse volte senza averne alcuna conoscenza: e ciò argomento da questo che non vidi finora uno scritto che discorrendo profondamente della materia, mostrasse al mondo il suo errore. Il sentenziare che un secolo intero, che tante nazioni e per tanti anni s'ingannino, ed in tale età che di tutto dimanda ragione a me parve sempre non solo temerario ma stolto; e stimo che chi fa professione di lettere anzichè arrogarsi di predicare la insensatezza de' suoi contemporanei, dovrebbe meglio studiar le cagioni delle varie loro tendenze, e meditare onde sia che una generazione corra prepotentemente e concordemente verso un segno, idoleggi fervidamente una idea, se ne piaccia e vi aneli. In queste considerazioni dimora una scuola profonda delle vie che percorre l'umanità, da queste il sapiente può trarre la piena notizia dell'età sua ed influire a migliorarla; per altra strada io non credo. Essendo dunque il romanzo in tanta voce presso l'universale, è debito di chi vuol camminare ad un passo con la letteratura della età sua, ragionarne: impresa invero difficile, specialmente in Roma, dove per la esclusiva tendenza al vero o falso classicismo non mancherà chi rida di simiglianti ricerche e dottrine; il che non mi reca punto scoramento, dovendo essere prima udito che giudicato. Sarà in vari articoli che tratterò il soggetto con la estensione che merita, bastandomi qui poche osservazioni generali.

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