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Il romanzo (parlo del concetto, non della forma), fu di tutti i tempi, e parve che l'uomo fino da suoi primi passi verso il miglioramento avesse bisogno di deliziarsi in pensieri che lanciandolo fuori della realtà lo trasportassero in un mondo ideale. Ciò fu sempre e sarà se l'uomo abbia passioni. E siccome una religione un essere soprannaturale fu costantemente il suo primo movente, i primi romanzi si risentirono di questa influenza: durano ancora i poemi di Esiodo e la mitologia greca e romana. E che altro sono fuorchè romanzi la pugna degli dei coi giganti, la nascita di Giove, il giudizio di Paride, i fatti di Amore e Psiche e tanti altri? L'umanità camminando per gradi, dalla religione si passò alla storia delle domestiche delle comuni imprese, e qui dall'entusiasmo nacque e fu cantata la storia eroica, di tante passioni vestita che dura ancora, piacere e delizia di quaranta secoli. I progressi però della mente umana non erano ancora tanti da separare dalla storia il romanzo, che andarono insieme confusi per lunghissima età: le narrazioni della guerra troiana, dalle canzoni omeriche ai paralippomeni diQ. Calabro dove i numi non sono mai separati dagli uomini alla natura e allo spirito dei quali partecipano, ne porgono luminosissima prova. Nè avvenne diversamente nella Italia antica ed in Roma. Le primitive leggende del Lazio sono sacre e celebrano Saturno, Pico, Fauno ec. e le romane confondono del pari storia e mitologia, come nella morte di Romolo, nella Ninfa Egeria ed in Numa, nei libri sibillini ecc.: passano in seguito agli eroi nazionali e si pascono di origini meravigliose di eventi straordinari. Fu tardi che i greci e i romani divisero dalla storia il romanzo. Né, per quella legge eterna dell'umanità della quale abbiamo discorso, si cangiò quest'ordine nel rinnovamento della barbarie. Qui pure furono prime le superstiziose leggende nelle quali il soprannaturale primeggia come idea signora; successero le croiche colla superstizione confuse; vennero le cavalleresche mi

rabili e gentili insieme, dopo le quali lungo intervallo separò dalla imaginazione la storia. Nel raffronto di queste varie età s'incontrano si rinnovano, come dicemmo, i diversi periodi e gli eventi quasi egualmente. Le varie cause delle poche modificazioni fra un popolo e l'altro fra l'una età e l'altra stanno nelle condizioni dei secoli, nella diversa indole degli avvenimenti che produssero i medesimi effetti. La guerra di Troia, le Crociate, la scoperta dell'America trasfusero egualmente nelle generazioni lo spirito di avventura e di cavalleria; pure, si potrebbero imaginare più diverse cagioni? Discorrendo io delle condizioni attuali della storia accennava come un grado di differenza corresse nel raffronto della barbarie primitiva, e di quella che succede alla civiltà: ed eccone, se io non erro, un altra certissima prova. Si guardi agli eroi di Omero, ed ai cavalieri di Carlo Magno ai palaladini di Francia; la ferocia dei primi e la cortesia dei sesecondi spiega a parer mio la diversa indole dei tempi sebbene nelle medesime circostanze costituiti.

Nella nuova barbarie gli italiani furono primi a distinguere dall' ideale la storia. I cronisti e i novellieri del XIII e XIV secolo ne fanno sicura dimostrazione; chè gli uni narrarono i fatti, gli altri offersero pascolo alla imaginazione. E qui vorrei si facesse un altra considerazione alla quale non so come potrebbero rispondere coloro che maledicono ai romanzi senza pietà. La storia, specialmente pei passati secoli, e l'esposizione degli eventi, i quali spesse volte derivano non già dal naturale progredimento delle cose umane, ma da forza prepotente che fa camminare una nazione a ritroso. Allora la storia non è più l'espressione delle opinioni, le quali conviene altrove cercare. E siccome i romanzi son fatti per i contemporanei, e debbono informarsi delle loro passioni delle loro tendenze, così diventano in tali circostanze soccorso potentissimo della storia positiva, rappresentando lo spirito degli individui.

Di questo vero sono i sapienti del giorno così persuasi che gli storici della letteratura e dei tempi meditano profondamente consimili opere, e ne traggono conseguenze non meno importanti che utili. Anzi pare che stimino non bastare la storia a dipingere con la richiesta verità la vita domestica; poichè la Germania e l'Inghilterra hanno già dato romanzi che alla Grecia antica ed a Roma si riferiscono, dove è evidentissimo che gli autori mirano solo ad esporre la vita privata dei greci e dei romani nelle varie età. Il plauso che hanno ottenuto quelle opere (1) fa ragione della giustezza del tentativo. Diversa forma vestirono, ma non ebbero spirito diverso le ultime produzioni poetiche del sig. Macaulay sulle vetuste età di Roma (2).

Ma ragionando nel presente, sono veramente nel nostro secolo una necessità i romanzi? Da essi nacque la corruttela della letteratura e del gusto? Esercitarono essi la loro influenza sulla pubblica morale e fino a quel segno? In che si distinguono dagli antichi i recenti? Ebbe l'antichità il romanzo storico, e nel nostro secolo qual è l'indole del medesimo? Fino a qual segno se ne può giovare la storia? Quale potrebbe dirsi nella età nostra perfetto romanzo? A queste e a moltissime altre questioni verrò io rispondendo mano mano, secondo che mi sarà dato; dichiarando però fin da ora che non prenderò particolarmente in mira alcuno dei romanzieri italiani nella trattazione generale.

La causa principalissima per la quale vennero in si cattiva fama le opere delle quali componesi questo ramo della letteratura, fu il numero strabocchevole di pessimi romanzi che inondarono il mondo. Io non vorrei essere frainteso : (1) Gallus, Romische scenen aus der zeit des Augustus, von A. W. Becker.- Leipzig 1838.

Charikles, bilder altgriechischer Sitte, zur genaucren Kenntniss des griechischen privat lebens, von W. A. Becker. – ibi 1840.

Bulwer, The last days of Pompei.

(2) Says of the ancient Rome.

il ragionamento mio non risguarderà mai i romanzi quali essi esistono, e non proclamerà giammai le infamie delle lettere; ma guarderà generalmente il concetto e cercherà se ancora si aggiunse la perfezione, e quale essa sia nella materia.

E sebbene per me l'autorità nulla giovi, pure per farmi scudo a quello che sarò per trattare in appresso e per mostrare a certi pedanti in che conto sieno tenute dai veri sapienti le stupende opere dell'ingegno, comunque esse s'intitolino, conchiuderò il mio dire con le parole di uno de' più grandi storici del secolo, del signor Thierry, intorno ad alcuni romanzi dello Scott.

L'histoire particulière de l'Écosse, quoique moins riche en points de vue de ce genre, m'offrit pareillement, comme une base solide d'inductions et de similitudes, l'éternelle hostilité de race des montagnards et des gens de la plaine,hostilité dramatisée d'une manière si vive et si originale dans plusieurs des romans de Walter-Scott. Mon admiration pour ce grand écrivain était profonde; elle croissait à mesure que je confrontais dans mes études sa prodigieuse intelligence du passé avec la mesquine et terne érudition des écrivains modernes les plus célèbres. Ce fut avec un transport d'enthousiasme que je saluai l'apparition du chef-d'oeuvre d'Ivanhoe. Walter-Scott venait de jeter un de ses regards d'aigle sur la période historique vers laquelle, depuis trois ans, se dirigeaient tous les efforts de ma pensée. Avec cette hardiesse d'exécution qui le caractérise, il avait posé sur le sol de l'Angleterre, des Normands et des Saxons, des vainqueurs et des vaincus, encore frémissans, l'un devant l'autre, cent vingt ans après la conquête. Il avait coloré en poète une scène du long drame que je travaillais à construire avec la patience de l'historien. Ce qu'il y avait de réel au fond de son oeuvre, les caractères généraux de l'époque où se trouvait placée l'action fictive, et où figuraient les personnages du roman, l'aspect politique du pays, les moeurs diverses et les relations mutuelles des classes d'hommes, tout était d'accord avec les lignes du plan qui s'ébauchait alors dans mon esprit. Je l'avoue, au milieu des doutes qui accompagnent tout travail consciencieux, mon ardeur et ma confiance furent doublées, par l'éspece de sanction indirecte qu'un de mes aperçus favoris recevait ainsi de l'homme que je regarde comme le plus grand maître qu'il y ait jamais eu en fait de divination historique.

ACHILLE GENNARELLI.

CANTI POPOLARI DELLA BRETAGNA MINORE.

Niuna poesia, credo io, può eguagliare la grazia e il candore de' canti popolari che si trovano o fidati alle cronache o più spesso consegnati alla memoria delle nazioni: sono il linguaggio della natura, la voce spontanea del sentimento. Fra questi canti popolari chiamerei vaso d'ogni leggiadria quei della Bretagna minore che Tommaso de la Villemarqué raccolse e publicò. La massima religiosa gl'informa in tanto che paiono spirati dalla fede più pura: la parte fantastica e direttiva, quella che gli antichi retori chiamarono machina, è fidata a due specie di esseri soprammondani ed invisibili, ai nains e alle fees: sono i nains ombre o genii della mitologia tradizionale de' bretoni che danzano al chiaror delle stelle (1) sono le fees le anime di alcune principesse che non sommisero l'intelletto loro alla verità cristiana quando fu predicata nell' Armorica, o, come altri credono, le anime de' Druidi che procurarono a tutt'uomo di mantenere la religione di Eso e di Teutate. Ecco un saggio di questa poesia:

Canto amoroso.

« La prima volta che io vidi la piccola Maetta, faceva la prima pasqua nella chiesa del villaggio una con molti garzonetti; ella era in dodici anni, in dodici io pure: splendeva fra quei garzonetti come il fiore giallo della ginestra, come una rosa in un cespuglio. Io ho nella corte di mia madre un melo carico di frutti, intorno intorno un praticello e poi un boschetto: quando la mia bella verrà a trovarmi, ci

(1) Ancora i greci del nostro tempo credono che sul meriggio vadano errando per la campagna alcune ninfe che chiamano Anaraidi forse da Auadouxdes (Biondioli presso il Cesarotti T. I. lib. VI).

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